In questa rubrica abbiamo dato spazio a esperienze pastorali “innovative”. Ma queste esperienze abitavano fuori o ai margini della vita pastorale di base, ordinaria, delle parrocchie. Credo sia giunto il momento di mettere la lente anche su questa vita ordinaria parrocchiale e di vedere se e come essa possa rinnovarsi e rendersi creativa e attraente. Seguiremo le tracce della riflessione di Sergio Di Benedetto. Qui presentiamo la prima parte delle sue riflessioni, quella sulle crisi della parrocchia, riservando le proposte costruttive al prossimo numero di questa rubrica.

a cura di Gilberto Borghi

 Quando la crisi è in casa

Le piaghe della parrocchia nel mondo che cambia 

di Sergio Di Benedetto
docente, scrittore e blogger di Vinonuovo.it

 Cambiamento d’epoca

Come ha più volte detto Papa Francesco, viviamo un “cambiamento di epoca” più che “un’epoca di cambiamento”.

 Vale anche per la parrocchia. Ci sono stati tentativi di cambiamento, è vero; tentativi che tuttavia sono molto localizzati, legati a un parroco, a un gruppo di laici, a qualche vescovo lungimirante. E bisogna pur dire che il recente documento La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa, datato 20 luglio 2020, sembra animato da spinte contraddittorie e pretese uniformatrici che lasciano non pochi dubbi. Ogni soluzione, o ogni tentativo di rinnovamento, deve però avere il coraggio dello sguardo sincero. Bisogna cioè partire dalla realtà e da lì provare strade nuove. Perciò, per essere sinceri, non si può parlare di una sola crisi della parrocchia. Ne ho individuate sette e penso che, se forse nessuna comunità le ha tutte, di certo è rarissimo trovare una parrocchia che non viva almeno una di queste. 

 Le sette piaghe della parrocchia

1. La parrocchia vive una crisi di fede. Tra tensioni novecentesche, tridentine, conciliari, la parrocchia fatica nel fare propria la sequela di Cristo in modo vivo, interessante, umano. In essa sopravvive tanta religione, ma si fatica a scorgere una proposta di vita di fede buona per il XXI secolo. Stretta tra molteplici spinte, non riesce a mettere a fuoco il kerygma in modo convinto nelle sue proposte e attività. La parrocchia non riesce a far vivere la fede oltre il culto e il rito che spesso stancamente si trascinano. È necessario ridestare il fuoco della fede, avendo il coraggio di rinunciare a molto, per l’unum necessarium: il Cristo.

2. La parrocchia vive una crisi di persone: quantitativamente i fedeli diminuiscono. Ciò significa anche meno volontari, minor disponibilità per svolgere attività. Ma c’è anche una crisi che - dobbiamo ammetterlo - riguarda la ‘qualità’ umana degli assidui alla parrocchia. Non raramente essa diviene il luogo dove si manifestano frustrazioni, piccole lotte di potere, concezioni proprietarie che hanno sovente fragilità umane evidenti, fatte pagare ad altri.  Può succedere che i volontari allontanino altri volontari, in una sorta di strana competizione che assorbe vite personali caratterizzate da profondo disagio. Così può accadere che donne e uomini liberi e acuti, intraprendenti e coraggiosi, formati e capaci vengano messi ai margini, o si allontanino spontaneamente perché non si sentono più ‘a casa’. La parrocchia rischia di diventare un fortino identitario, assai refrattario a chi non si riconosce nella linea dominante, spesso indicata dal clero. 

3. La parrocchia vive una crisi di pensiero: meno persone significa anche meno menti pensanti, meno figure capaci di leggere i segni dei tempi e elaborare un pensiero per l’oggi. La maggior parte delle diocesi italiane non ha né un vicario né un ufficio che si occupi della cultura. Ma crisi di pensiero significa anche un progressivo impoverimento culturale della parrocchia. Spesso basta sfogliare un bollettino parrocchiale, ascoltare qualche omelia per avere contezza di come crescano la sterilità di pensiero e di studio, la mancanza di ricerca e di acutezza. Essere cristiani non vuol dire disprezzare la semplicità. Vuol dire però avere consapevolezza del mondo e dei suoi fenomeni. Vuol dire entrare in dialogo fecondo con il mondo, rifuggendo da muscolarismi identitari anacronistici che spesso sono solo miopia intellettuale. Vuol dire anche accogliere il dissenso, la critica, il contrasto, da leggere come momenti di crescita e non come reati di lesa maestà.

4. La parrocchia vive una crisi di strutture: frutto di un passato di mobilitazione, di fedeltà e di generosità, le parrocchie oggi possiedono beni materiali e strutture sproporzionate rispetto al numero delle persone che la frequentano e dei fondi che essa raccoglie. Tali strutture sono spesso vecchie e bisognose di ristrutturazione: segni di bellezza artistica, di preoccupazione educativa, di carità fattiva. Tra restauri, debiti, vincoli normativi, le strutture oggi sono spesso un peso sul cui utilizzo si fatica a decidere, tra nostalgie, legittimi dispiaceri e dubbi, legacci comunitari.

5. La parrocchia oggi vive una crisi di comunicazione. Oggi ci si trova a competere con agenzie ed enti molto più capaci di comunicare, perché in grado di intercettare le giovani generazioni o di valorizzare competenze professionali, così da oscurare il canale comunicativo parrocchiale. Nell’era di Internet tante parrocchie non hanno un sito web o, se c’è, può accadere che non sia aggiornato. La fatica di comunicare è anche conseguenza di un problema di linguaggio: la grammatica e il lessico parrocchiale troppe volte non dicono più niente all’uomo di oggi.

6. La parrocchia oggi vive una crisi di credibilità, dovuta a scandali, ipocrisie, ruberie, cattiva gestione. Purificare la memoria, chiedere perdono, ammettere colpe e responsabilità, agire in modo trasparente sono state e sono azioni necessarie. Dobbiamo sapere che la fiducia si perde facilmente, mentre si riacquista con tempi lunghi, tanta umiltà e tanta pazienza.

7. La parrocchia oggi vive una crisi di identità, frutto spesso delle crisi precedenti. Nel XXI secolo, cosa vuole essere la parrocchia? Erogatrice di sacramenti? Rassegnata comunità di superstiti nostalgici del tempo antico? Banco vendita dei proprio talenti? Agenzia sociale? Agenzia del culto? Gruppo autoreferenziale di amici? Centro anziani? Cerchia di impauriti che si riconosce in poche parole d’ordine? Ente pellegrinaggio? Centro estivo per bambini? Non sapendo chi è, privata della guida del clero sempre più anziano e sempre meno numericamente disponibile, deve elaborare una nuova identità a partire dal battesimo, mentre non sa cosa dire al mondo.

 Sale senza sapore?

Sette crisi della parrocchia, sette nodi da sciogliere, con il dialogo, il confronto, la riflessione, l’innovazione, l’ascolto dello Spirito. Sette punti da cui partire per evitare di stare chiusi nel cenacolo per paura del mondo, o con l’illusione che il mondo cerchi qualcosa dalla parrocchia. No, oggi il mondo dimostra che sa vivere anche senza la parrocchia. Se oggi in parrocchia non si vive più un’esperienza significativa per la vita, e quindi per la fede, rischiamo di essere il sale che ha perso il sapore. E rimane la domanda evangelica: con che cosa lo si renderà salato?