Diamo spazio alla cultura anche in convento. Poteva essere un azzardo recensire il libro scritto da un confratello (amico!) e da una sua collaboratrice? No, di fatto, non poteva! E non è stato. Si riporta poi il bando per la 17ª edizione del Premio Nazionale biennale di Poesia “Agostino Venanzio Reali”.

a cura della Redazione di MC

 

Un ponte per l’Altro

Laboratori di prossimità in convento

 di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC

 I sentieri dell’Altro (Edizioni San Lorenzo), di fr. Antonello Ferretti e Sarah Virgenti, sua storica collaboratrice,

racconta l’esperienza formativa che da circa dieci anni nei locali del convento dei frati cappuccini di Reggio Emilia coinvolge scolaresche quasi sempre multietniche.
Invito subito i lettori a non farsi bloccare da un possibile inciampo. Chiunque scriva e pubblichi un libro fa errori di stampa. In questo caso quelli sfuggiti all’ultima revisione sono tanti e tali da creare fastidio. Conviene, tuttavia, superare l’ostacolo. Fr. Antonello e Sarah hanno scritto nei mesi della primavera del 2020, quelli della prima ondata e del lockdown più duro. È evidente che i loro sono errori d’anima: hanno scritto correndo per condividere la speranza radicata nel bene fatto e ricevuto durante i laboratori che, da minuscolo seme, erano diventati albero tanto cresciuto.

 Le mani e gli occhi per pensare altro

L’introduzione individua come risorse privilegiate «la narrazione, la visione ed analisi di opere d’arte, l’audizione musicale e il linguaggio mimico teatrale». Ricorda poi che obiettivo del laboratorio «non è solo pensare con la testa, ma anche con le mani» e che «il laboratorio per sua natura deve essere incompleto, deve nascere mancante, senza una conclusione che sia quella una volta per tutte. Deve essere uno stimolo per intraprendere nuovi sentieri sia didattici che esistenziali».
E poi si buttano gli occhi sulla pala Bardi. Viene mostrata per mezzo di una
riproduzione su legno, in grandezza naturale. Al centro San Francesco «è scalzo, non ha i pantaloni, lega i “non pantaloni” con una corda e non con una cintura, insomma è proprio diverso da noi, è un po’ fuori dagli schemi». Tutt’intorno gli episodi della sua vita. In particolare se ne affrontano tre. Francesco tra i lebbrosi mette i bambini di fronte alla provocazione che il Vangelo passato nella vita è per noi: «E voi cosa avreste fatto?». Le risposte vengono ascoltate senza fare valutazioni o esortazioni perché l’importante, adesso, è che ciascuno si metta in gioco. La spogliazione, in cui Francesco restituisce al padre e alla madre «i vecchi vestiti ricchi che non servono più a nessuno perché non danno la felicità». Adesso la strada nuova passa dall’incontro con il povero. Cosa sarà più bello? Dargli una moneta o fermarsi a giocare un po’ con lui?
Infine, l’incontro con il sultano, che, diversamente dalla rappresentazione giottesca, non presenta qui la sfida del fuoco, ma tanti volti di uomini e donne estremamente attenti nell’ascolto di frate Francesco. La diversità, dunque, può essere occasione di comunicazione aperta e di ascolto rispettoso invece che una minaccia.
Si lascia la pala per incontrare il lupo di Gubbio. Per i contadini è cattivo lui che sbrana i loro animali, per il lupo sono cattivi i contadini che danno tutto ai loro animali e niente a lui. Per uscire dal vicolo cieco delle accuse e delle cattiverie si può provare a cambiare approccio all’alterità e scoprire insieme che «l’incontro e il confronto sono le due vie maestre per la crescita fraterna sia come uomini che come cristiani». Così sarà un bastoncino mosso da ciascun ragazzo a decidere se il loro lupo, appena costruito e colorato, sarà buono o cattivo.

 Nel grande bosco a ballare il blues

Ci si inoltra poi nel grande bosco dell’arte moderna per meravigliarsi dei ritratti strambi di Picasso che diventano racconti che si muovono nel tempo abbracciando diversi punti di vista. Capita addirittura che un quadro sulla guerra può essere «bello perché è brutto». Magritte offre una paletta per scavare dentro di noi e toccare la differenza tra realtà percepita e realtà dipinta. Goya chiede di non abbassare lo sguardo davanti all’uomo che sta per essere fucilato per vedere anche la violenza senza volto di chi spara. Fa tanta paura morire, ma se ricordiamo che ti cancella il volto, anche uccidere, forse, può far paura.
Van Gogh aiuta a «misurare tutta la fatica che “il peso dell’altro” ci impone». Il suo buon Samaritano si fa prossimo dell’uomo ferito dai briganti, e «schiena arcuata, piede puntato a terra, fatica a issarlo sul superbo cavallo». Insomma «il nostro prossimo è spesso un peso che ci si butta addosso». Si arriva fin qui dopo essere saliti in barca ricordando chi sale su un barcone rischiando la morte per continuare a sperare nella vita.
Inizia poi l’avventura tra le sfumature del blu. C’è la pace del cielo stellato del mausoleo di Galla Placidia e del gregoriano, la paura della fiaba di Barbablu e Munch che incoraggia a vincere la paura per fare compagnia all’uomo solo e seduto a capo chino in una stanza buia, così che la paura, condivisa, faccia meno... paura.
Chagall, che rappresenta sempre vestita da sposa la moglie amata e già morta, sfida ad osare la fantasia dell’arte per ritrovare nella memoria le presenze care per non lasciarsi rubare la speranza nemmeno da ostacoli che, come la morte, sembrano insuperabili. Ora ci si può scatenare un po’ ballando il blues.

 Una sfida e tre simboli

La sfida che nei laboratori si tenta di assumere seriamente è dunque questa:
«educare all’ethos del buon samaritano». Educare cioè ad accogliere l’altro, non tanto come portatore di valori buoni per me, ma come evento (Levinas) «non riconducibile all’io, assoluto, sciolto, estraneo al mio mondo. In quanto tale, lo misura detronizzandolo, come realtà che si sottrae al mio possesso e potere, epifania di qualcosa e qualcuno di altro a cui rimanda se stesso e me».
Il libro trova la sua conclusione raccontando alcune esperienze nate in diverse parrocchie intorno alla figura di don Milani e a tre simboli che ne riassumono la parabola esistenziale di pastore e maestro. Il mosaico di Santo Scolaro, per dare un protettore a tutti gli studenti del mondo. L’astrolabio per studiare le stelle e, infine, il ponte di Luciano, che per arrivare a scuola doveva camminare due ore nel bosco, spesso al buio e guadare un torrente. Il ponte insegna che devono essere abbattuti tutti gli ostacoli, che «bisogna trovare mediazioni perché tutti possano arrivare alla realizzazione della propria identità».