La corsa a ostacoli di Madonna Povertà

La scelta di Francesco è, ancora oggi, assai difficile e attuale più che mai

 di Pietro Messa
frate minore, storico, docente alla Pontificia Università Antonianum

 Ricordava un giorno il cardinale Carlo Maria Martini che secondo un’antica espressione latina vi sono tre cose le quali non possono essere eliminate dalla vita, ossia mors, mos, mas.

Se è evidente che la morte - mors, mortis - è una realtà irremovibile dall’esistenza, meno lo è la mascolinità - mas, malis - nel senso di passionalità e libido e molto meno i mores patrum, ossia i modi di essere e fare appresi nella famiglia d’origine. Questo vale anche per Francesco d’Assisi, il figlio del mercante Pietro di Bernardone; infatti, nel suo lessico è ben presente tutta una serie di termini economici quali bene, ricevere, restituire, appropriarsi, e così via. Anche quando cambiò vita tale strato culturale più profondo della sua formazione non è scomparso ma è stato recepito nella scelta evangelica; e non poteva essere che così, vista l’età in cui optò di vivere secondo la forma del Vangelo. Infatti contrariamente a quanto spesso si crede non era un’adolescente ma un adulto - circa ventiquattr’anni dell’inizio Duecento - che già praticava l’attività mercantile del padre Pietro di Bernardone e per questo aveva appreso a scrivere, leggere e far di conto.

 Senza nulla di proprio

Volendo seguire le orme di Gesù Cristo, ne assume anche la povertà che nella Regola dei frati Minori sarà espressa in modo poco astratto e molto concreto, ossia quale vivere «senza nulla di proprio». Tale aspetto sarà sempre presente nel suo pensiero e spiritualità come testimoniano gli scritti; persino nel Testamento composto nel 1226 pochi mesi prima di morire in cui afferma che il fare misericordia con il lebbrosi fu l’aspetto che determinò un cambiamento di vita non è assente la riaffermazione per sé e per i frati della scelta del non possedere nulla. Tuttavia perché la povertà non rimanga un sogno o un’utopia ma sia una realtà vissuta che funzioni, sia l’Assisiate che i frati sono costretti a parlare di beni, proprietà e anche denaro: ecco che è permesso di avere gli strumenti per lavorare - tra cui figurano per i chierici anche i libri per adempiere il ministero proprio, in primis la recita della liturgia - come anche la tunica e altre vesti a seconda del clima.
La realtà costringe i frati ad un approfondimento continuo che ha un’accelerazione con la crescente diffusione dei frati nelle diverse terre nonché a motivo delle obiezioni soprattutto del clero secolare di Parigi. C’è chi ritiene la volontà di non possedere nulla impraticabile visto che per vivere è necessario mangiare, bere, dormire e quindi fare uso dei beni; altri considerano tale scelta pressoché suicida a meno che non si viva in una ipocrisia di fondo per cui alle affermazioni di principio non segua la realtà dei fatti. In poche parole il confronto con posizioni diverse costringe ad affermare la propria identità che per i frati Minori sempre più è fatta coincidere con la povertà assoluta tanto che lo stesso san Francesco viene denominato il poverello di Assisi.

 L’uso e l’abuso

Con lo scorrere del tempo, le distinzioni si fanno sempre più precise: vivere senza nulla di proprio esige la rinuncia alla proprietà ma non all’uso dei beni indispensabili per l’esistenza. E così conventi, chiese, libri e quant’altro rimane di proprietà dei benefattori oppure della Sede Apostolica mentre i frati ne hanno solo l’uso. Spesso però quest’ultimo diventa un abuso tanto che sarcasticamente alcuni affermano che i frati non posseggono nulla ma usano tutto; altri poi sostengono che i Minori predicano la fine del mondo ma guardando i loro conventi sembra che debba essere eterno! Nel tentativo di frenare tali scandali le costituzioni minoritiche diventano sempre più dettagliate nelle indicazioni. Così ad esempio le chiese usate dai frati possono avere un modesto campanile a vela ma assolutamente non deve esserci il campanile a torre che rendeva tali edifici simili a fortezze.
Alcuni frati nella fine del Duecento affermano che per essere veri seguaci di san Francesco non è sufficiente vivere l’uso di fatto dei beni ma serve un uso povero; pertanto la virtuosità non consiste unicamente nella rinuncia alla proprietà ma anche - per non dire soprattutto - nella modalità d’uso delle cose. Il frate provenzale Pietro di Giovanni Olivi svilupperà tale pensiero offrendo riflessioni che in termini odierni si denominerebbero etica economica: come per i frati la perfezione è data dall’uso povero, ossia dalla modalità sobria di usare i beni di cui hanno rinunciato alla proprietà, così i mercanti possono anche loro vivere evangelicamente se usano le loro proprietà per il bene comune. Ubertino da Casale andrà oltre affermando che si deve rinunciare al dominio, ossia alla possibilità e pretesa di difendere i diritti acquisiti d’usare le cose. Bernardino da Siena recepirà tutta questa riflessione e la diffonderà nella sua predicazione; contemporaneamente tali idee troveranno una concretizzazione nell’istituzione dei Monti di pietà, ossia l’aiutare i poveri meno poveri perché non peggiori la loro situazione diventando accattoni.

 Migliori o Minori?

Tali discussioni svilupparono un pensiero e una terminologia che saranno usati nei secoli successivi per elaborare una vera e propria dottrina economica. Tuttavia per controparte queste riflessioni spesso fecero passare da una povertà vissuta ad esempio da frate Francesco d’Assisi ad una povertà pensata; se agli inizi nella fraternità evangelica assisana vi era una povertà dell’apologia, ossia dell’ostentazione di se stessi e dei propri meriti, pian piano si procedette ad un’apologia della povertà. Di conseguenza si rafforza l’affermazione che i frati Minori sono l’eccellenza e i migliori avendo rinunciato alla proprietà personale e comunitaria proprio come gli apostoli che furono poveri personalmente e comunitariamente. Un’affermazione quest’ultima condannata da papa Giovanni XXII riguardo alla quale i frati si divisero tra loro: mentre alcuni dovettero ricredersi per non essere dichiarati eretici, altri continuarono con pervicacia e difendere le loro idee. E così il radicalismo evangelico diventò ideologico facendo passare dal non possedere nulla di proprio al diventare ricchi della loro povertà.
Mentre quest’ultima posizione ricurva su se stessa si insterilì, vi fu uno sparuto numero di Minori che recuperarono una vita povera per sé e insegnarono agli altri l’importanza di una retta economia in cui il profitto è da lodarsi e accrescersi perché destinato al bene comune. Ma una volta venuto meno il binomio ricchezza-bene comune, la prima si avvinghiò su se stessa e il secondo rimase un buon proposito tanto bello quanto sterile. La crisi finanziaria contemporanea ha costretto a confrontarsi con questa polarizzazione dagli effetti indesiderati e non a caso oggi molti studiano e riscoprono quel pensiero e spiritualità economica nel nome di san Francesco intravvedendo in essa una via di uscita dall’impasse generale.

 

 

Dell’Autore segnaliamo:
Francesco misericordioso. La sfida della fraternità
Edizioni Terra Santa, Milano 2018