I sentieri sotterranei dello Spirito

Oltre il tempo e lo spazio: vicini in Cristo 

di Paolo Raffaele Pugliese
responsabile della pastorale giovanile e vocazionale

 È ormai da qualche anno che mi intrattengo con un grande santo vissuto qualche centinaio d’anni prima di Francesco, e un po’ più ad oriente: Isacco il Siro.

È una figura che si sta pian pianino scoprendo anche in occidente, per la bellezza dei suoi scritti.
Isacco di Ninive fu un monaco, solitario, e per un breve periodo prestò servizio anche come vescovo. Nacque verso gli anni Trenta del VII secolo, da qualche parte in Qatar, morì in età avanzata nel Bet Huzaye, in Mesopotamia (Iraq).
Nel presente articoletto vorrei condividere con voi solo alcune brevi note, relative all’amore di Isacco per l’umiltà e la povertà, che ce lo rendono molto prossimo a Francesco.

 Dio è umile!

Credo di affermare qualcosa di noto e assodato, se dico che Francesco si è convertito continuamente al volto di Dio, conquiso principalmente dalla piccolezza di Dio. Questa piccolezza non è una mera attitudine morale, ma il luogo teologico in cui Dio si è rivelato, nel presepe, sulla croce, nell’Eucarestia, nei lebbrosi e in ogni realtà minore. Francesco quindi, nella sua vita e nei suoi scritti, anela e ricerca Dio e la sua umiltà: Francesco è fratello minore, piccolino, innamorato di un Dio fattosi piccolo. L’umiltà è il luogo teologico in cui Dio si è svelato a Francesco, e la povertà è la sua traduzione concreta, luogo di esperienza e annuncio della bontà di Dio. Ecco su questi argomenti in Isacco troviamo delle assonanze molto forti. L’umiltà è uno dei suoi temi maggiori, Isacco si sofferma sia sull’umiltà di Dio che su quella dell’uomo, e della sua relazione con il creato. Proviamo ad ascoltare Isacco, lasciandoci toccare dalle assonanze con Francesco: «L’umiltà è la veste della divinità. Se ne rivestì il Verbo che si fece uomo e con essa ci rivolse la parola nel nostro corpo. Tutti coloro che sono stati rivestiti di umiltà sono stati resi veramente somiglianti a colui che discese dalla sua altezza, nascose lo splendore della sua maestà e dissimulò la sua gloria dietro l’umiltà, per timore che la creazione nel contemplarlo ne fosse totalmente annientata» (I,72).
Come non richiamare alla mente «Ecco, ogni giorno egli si umilia come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile» (Amm I, 16-17, FF 144)? «È per questo che tutti gli uomini, che sono coperti dalla veste nella quale è apparso il Creatore attraverso il corpo che aveva assunto, indossano il Cristo. Giacché la somiglianza con cui è stato visto dalla sua creatura e nella quale ha voluto accompagnarla, egli ha anche voluto prenderla su di sé nel suo uomo interiore e con essa farsi vedere da amici e servitori» (I,72).

 Non sarà umile l’uomo?

Isacco spiega anche che proprio dall’umiltà scaturisce la dolcezza della relazione dell’umile (Francesco!) con l’intero creato: «L’umile accosta le bestie feroci e quando il loro occhio posa su di lui, la loro brutalità si acquieta, e subito gli si avvicinano e si accostano come al loro padrone, scuotendo la coda e leccandogli mani e piedi, poiché [percepiscono] il buon profumo che emanava Adamo prima della trasgressione del comandamento, quando si erano riuniti presso di lui ed egli aveva imposto loro i nomi, nel paradiso; quell’odore che noi abbiamo perso e che Cristo, con la sua venuta ci ha restituito rinnovato; lui che ha reso profumato l’odore del genere umano» (I,82).
Probabilmente scorrendo gli scritti di Francesco saremmo persuasi che la sua viva percezione della kenosi del Nazareno, il suo vivido amore a Cristo sono i motivi del suo amore per la via regale scelta da Cristo e dalla sua Madre poverella. Isacco ci dà le sue ragioni per la scelta dell’umiltà, manifestandoci ancora una volta una sensibilità molto prossima: «L’umiltà del cuore può sussistere nell’uomo per due ragioni: o in conseguenza di un’esatta nozione dei suoi peccati, o come frutto del ricordo dell’abbassamento di nostro Signore o, piuttosto, del pensiero della grandezza di Dio e del punto fino al quale la grandezza del Signore di tutto l’universo si è abbassata per rivolgersi agli uomini e impartire loro i suoi insegnamenti » (II,18, § 6).

 Elogio di Madonna povertà

Per chiudere questo breve excursus di suggestioni e assonanze vorrei suggerire delle assonanze tra Isacco e Francesco anche sul tema della povertà. L’attaccamento a Madonna povertà è in Francesco (e Chiara) la traduzione concreta dell’esser stato scelto dall’umiltà di Dio, ebbene anche Isacco parla a più riprese della povertà, dando delle motivazioni sulla sua preziosità. Isacco afferma: «Ama i poveri e per mezzo di loro troverai misericordia. [...] Non fuggire i malati di malattie ripugnanti, perché anche tu sei rivestito di carne» (I,5).
Non risuona distante l’esperienza della conversione di Francesco… Nei poveri e negli ammalati, nei lebbrosi, si incontra la misericordia, dice Isacco, e Francesco, prendendosi cura dei poveri e dei lebbrosi, sembra mettere in pratica esattamente quel che Isacco scriveva ai suoi monaci: «Se possiedi qualcosa in più del sostentamento quotidiano, va’ e dallo ai poveri, poi vieni ed offri la [tua] preghiera con parresia, cioè parla con Dio come un figlio col Padre suo. Non c’è nulla che avvicini il cuore a Dio come l’elemosina e nulla che dia pace alla mente quanto la povertà volontaria» (I,4). «Ritieni uomo di Dio quello che per la molta compassione costantemente si tiene dalla parte della povertà. Chi fa del bene ai poveri troverà in Dio chi si cura di lui e chi patisce il bisogno per amore di Dio troverà in Dio un grande tesoro» (I,5).
Ma c’è un altro aspetto che manifesta l’importanza della povertà: essa è unificante, risorsa di abbandono all’Unico, è la strada per innalzare a Lui la cospirazione di tutte le nostre forze: che tutto sia solo in Lui e per Lui! Dice Francesco: «Nient’altro dunque dobbiamo desiderare, nient’altro volere, nient’altro ci piaccia e diletti, se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio, il quale è il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene, che solo è buono…» (Rnb XXIII, 9, FF 70).
Ecco che in quest’ottica avere poco e abitare nella scarsità è una strada di unificazione, confidenza e abbandono fiducioso: «Ama la povertà con fortezza perché la tua mente possa raccogliersi dalla dispersione» (I,4). «Abitare da stranieri, povertà, dimora solitaria generano l’umiltà e purificano il cuore» (I,74). «I nostri antichi padri […] sapevano che non si può contare sul vigore dell’intelletto e nemmeno è sempre possibile mantenersi in un certo stato senza cedimenti, custodendo se stessi. […] Essi pertanto hanno esaminato il problema [dell’attaccamento alle cose] e hanno abbracciato la povertà volontaria, come arma che libera da molte lotte, come sta scritto, perché così grazie a questa sua indigenza, l’uomo possa sottrarsi a molti inciampi» (I,78).
A conclusione di questa breve panoramica, speriamo di aver dato ragione della nostra simpatia per Isacco, e della sua empatia con Francesco. Non abbiamo la pretesa di affermare o dimostrare alcuna dipendenza letteraria, e tuttavia ci pare di aver ascoltato musica che pur suonata con strumenti diversi, con tempi diversi, dà luogo a temi simili ed emoziona l’uditorio con la sua semplice bellezza, che tocca l’esperienza…