La Chiesa ha fatto giustizia a san Giuseppe e ha indetto finalmente un anno dedicato a lui, l’uomo che, nell’umiltà della quotidianità, ha insegnato la vita al Figlio di Dio: siamo contenti, anche perché a san Giuseppe è dedicato il nostro convento e santuario di Bologna. Scopriremo poi una bella parentela tra san Francesco d’Assisi e Isacco, un monaco siriano del VII secolo. Infine il ricordo di fr. Aurelio Capodilista, sempre sorridente in mezzo alla gente.

a cura della Redazione di MC 

Anche il Redentore aveva un custode

L’anno di san Giuseppe 

di Nazzareno Zanni
vicesegretario provinciale

 Sul fronte occidentale

Ogni tanto anche la Chiesa fa giustizia e, questa volta, a un uomo che in vita è passato quasi inosservato:

uomo della quotidianità discreta e nascosta, che ha avuto coraggio affrontando i problemi della sua famiglia, tra cui anche quello di dover migrare. La devozione verso san Giuseppe ha fatto fatica a imporsi nella Chiesa latina, mentre in Oriente la sua figura era già popolare e a lui era dedicata una festa. Dall’Oriente il suo culto fu portato in Occidente nel medioevo, non senza fatica. In particolare sappiamo che nel 1129, una chiesa era a lui dedicata a Bologna, in Borgo Galliera il cui titolo è stato traferito nel 1566 alla chiesa appena fuori Porta Saragozza, oggi dei cappuccini.
Nel sec. XIII troviamo attestata la data del 19 marzo come sua festa, seppure localmente, e nei secoli XIV-XV il suo culto conobbe un notevole sviluppo presso francescani e carmelitani, che ebbero la facoltà di inserirlo nel loro breviario. Alla fine del XV secolo Sisto IV approvò ufficialmente la festa del 19 marzo. Accanto alla festa di san Giuseppe sposo della B.V. Maria, in vari Ordini religiosi e diocesi, si celebrava la festa del patrocinio di san Giuseppe, poi sostituita nel 1955 da Pio XII con l’istituzione della solennità di san Giuseppe operaio, fissata al 1° maggio, poi trasformata in memoria facoltativa.
L’8 dicembre 1870 san Giuseppe fu proclamato da Pio IX patrono della Chiesa universale. Papa Francesco, l’8 dicembre 2020, ha indetto un Anno speciale di san Giuseppe, al fine di perpetuare l’affidamento di tutta la Chiesa al patrocinio del Custode di Gesù. Accanto al decreto di indizione, il Papa ha pubblicato la Lettera apostolica Patris corde (Con cuore di Padre), che ha come sfondo la pandemia da Covid-19, che - così annota - ci ha fatto comprendere l’importanza delle persone comuni, quelle che, lontane dalla ribalta, esercitano ogni giorno pazienza e infondono speranza, seminando corresponsabilità. Per questo il Papa così definisce san Giuseppe.
Padre amato, tenuto sempre in grande devozione presso il popolo cristiano. A tale riguardo Paolo VI ha lasciato scritto che la paternità di Giuseppe si è espressa «nell’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell’incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta».

 Ritratto di cuore paterno

Padre della tenerezza, che vide crescere Gesù giorno dopo giorno. Come il Signore fece con Israele, così egli «gli ha insegnato a camminare, tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare (cfr Os 11,3-4)». Così Giuseppe «ci insegna che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca».
Padre nell’obbedienza, sia nei confronti di Maria, accogliendola come sua sposa, sia nei confronti di Maria e del Bambino appena nato e già minacciato da Erode, fuggendo nella notte in Egitto, facendo poi ritorno dopo la morte di quanti volevano uccidere il bambino.
Padre nell’accoglienza, come «figura di uomo rispettoso, delicato che, pur non possedendo tutte le informazioni, si decide per la reputazione, la dignità e la vita di Maria». «L’accoglienza di Giuseppe ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli, perché Dio sceglie ciò che è debole (cfr 1Cor 1,27), è padre degli orfani e difensore delle vedove» (Sal 68,6) e «comanda di amare lo straniero».
Padre dal coraggio creativo: una lettura dei racconti dei vangeli dell’infanzia può creare «l’impressione che il mondo sia in balia dei forti e dei potenti, ma la “buona notizia” del Vangelo sta nel far vedere come, nonostante la prepotenza e la violenza dei dominatori terreni, Dio trovi sempre il modo per realizzare il suo piano di salvezza. Anche la nostra vita a volte sembra in balia dei poteri forti, ma il Vangelo ci dice che ciò che conta, Dio riesce sempre a salvarlo, a condizione che usiamo lo stesso coraggio creativo del carpentiere di Nazareth, il quale sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza».
Padre lavoratore: «ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro», per cui «il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione».
Padre nell’ombra: «Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. L’amore che vuole possedere alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù».
In tutti questi attributi San Giuseppe, custode di Gesù e di Maria, non può non essere custode della Chiesa, della sua maternità e Corpo di Cristo: ogni bisognoso, povero, sofferente, moribondo, forestiero, carcerato, malato, è il Bambino che Giuseppe custodisce e da lui bisogna imparare ad amare la Chiesa e i poveri. 

Padre e non padrone

Così il Papa conclude: «Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione». E sottolinea ancora una volta un concetto che è diventato come un programma per la società di oggi: «Ogni figlio porta sempre con sé un mistero, un inedito che può essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà. Un padre consapevole di completare la propria azione educativa e di vivere pienamente la paternità solo quando si è reso inutile, quando vede che il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita». Così, «tutti possono trovare in san Giuseppe un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà», perché «ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in seconda linea hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza».