Diversi nomi con i quali si invoca Dio nel chiuso di una cella o nel chiuso di una cappella o nel chiuso di un prato circondato da mura o nello spazio aperto dell’intimo umano. Nel chiuso di un carcere aperte restano le questioni su più livelli: la religiosità aiuta a vivere o appesantisce il senso di colpa? Aspetto libertà dalla pena o libertà nella pena? Come convivono giustapposte identità religiose diverse? «Prego Dio che mi liberi da Dio» (Meister Eckhart).

a cura della Redazione di “Ne vale la pena”

 Ma Dio è plurale?

C’è fede se detenzione fa rima con religione?

DIETRO LE SBARRE

 Sulla via della Dozza

Domenica mattina. I preparativi fervono. Barba, un controllo al capello, i vestiti più belli e una goccia di profumo.

L’appuntamento è topico. Quanto di sincero c’è in quelle poche decine di minuti che intercorrono tra l’inizio e la fine della messa? Difficile la risposta. Eppure, le nostre celle sono tappezzate di immagini devote (padre Pio sugli scudi), di rosari e simboli religiosi vari che dovrebbero testimoniare una sensibilità (ri)trovata verso il sacro. Forse l’aspra materialità della nostra condizione spinge alla ricerca di un senso che impedisca il naufragio definitivo di chi, qualunque sia il reato commesso, cerca di raggiungere un approdo che lo mantenga a galla.
Sarà così o le immagini sono segni ridotti a mero fatto estetico o, peggio, superstizioso? Esibiti perfino da chi, nel suo percorso criminale, ne faceva un uso distorto, come accade nelle mafie durante i riti di affiliazione. Le conversioni “sulla via della Dozza” non si contano; e non solo nel mondo cattolico romano, ma anche tra gli ortodossi, sempre più numerosi, e tra gli “ospiti” di provenienza araba. La preghiera, con tanto di chiamate dell’imam di turno, scandisce per molti il passare delle ore e il ramadan è un imperativo a cui non ci si sottrae.
Per tradizione, per necessità identitaria, per non sentirsi fuori dal gruppo. Se questo fosse un sentimento necessario, semplicemente umano? Un sentimento che coinvolge anche chi, per missione evangelica o laica, continua, con testarda determinazione, a percorrere i corridoi delle sezioni per portare una testimonianza “antica” ma, in un mondo di esclusi, di ultimi fra gli ultimi, quantomai contemporanea. C’è un tempo per le domande e un tempo per l’azione. Ma è sempre tempo di speranza. E, in definitiva, ognuno sa quanto di autentico c’è in sé. Basta questo.

Sergio Ucciero

 Chiamata e rumori di fondo

Pregavo il santo di turno preparandomi a commettere reati, quasi che l’intercessione di una figurina potesse garantire buon esito ai miei intenti. In carcere tutto è diverso. Chi si confronta con se stesso cambia il proprio approccio al mondo in maniera profonda. Mi sono avvicinato a Cristo nostro Signore dopo tanto. Sono riuscito ad ascoltare la chiamata tra i tanti rumori che la disturbavano, perché ho incontrato un religioso che, ispirandomi fiducia, mi ha accolto senza domande scomode sul mio passato e soprattutto senza chiedermi perché quel giorno io fossi a messa.
L’essere consapevole che esiste qualcosa di più grande mi ha reso una persona profondamente diversa. Non si tratta dell’osservanza ai precetti della fede abbracciata, ma della profonda consapevolezza che tutti noi siamo al mondo per un fine superiore. Vedo tanti avvicinarsi agli insegnamenti del vangelo. Sarà per l’aspettativa di un tornaconto personale? Non mi scandalizzo, anzi, mi rendo conto che il Signore chiama in mille modi. Per me è iniziata per mera curiosità, per altri, magari, con una sigaretta; quello che conta è il modo in cui il cammino prosegue.
Ho visto tanti pregare, cristiani e di altre religioni. Quello che però più mi colpisce è che le intenzioni delle preghiere quasi mai sono egoiste. Il carcere insegna cosa sia la vera sofferenza, cosa sia la fame di affetti. E così il più delle volte si prega con dedizione affinché i nostri cari stiano bene. Per alcuni è una sciocchezza andare a messa, per altri siamo solo degli opportunisti in cerca di un aiuto per un permesso. Penso non siano ancora riusciti ad ascoltare il richiamo del Signore. Il rumore di fondo è forte, occorre solo attendere.

Joseph Arangio Febbo

 

 Religioni e spiritualità

Qui alla Dozza sono presenti cattolici, protestanti, ortodossi e testimoni di Geova; rilevante la presenza dei fedeli dell’Islam, ma non mancano anche induisti e sikh. C’è infine chi si dichiara ateo. Il credo religioso porta spesso e paradossalmente divisione, nonostante le religioni abbiano in comune il messaggio che siamo tutti fratelli. I detenuti cristiani hanno un luogo di culto e guide spirituali, mentre i musulmani non hanno, per ora, un imam, che si prenda cura di loro, e non tutti hanno la possibilità di uno spazio adatto alla preghiera. Tutti possono pregare in cella, ma sarebbe fondamentale la presenza di una guida preparata, che aiuti l’approfondimento della fede durante il percorso di detenzione. A volte si commette un reato a causa di un’errata comprensione del credo religioso.
Sono molti i “religiosi non-praticanti” che condividono la credenza in un Dio creatore e nei vari profeti e santi, ma non approvano l’organizzazione clericale istituzionale e preferiscono una loro personale adesione diretta e non mediata con la divinità. Per molti la religiosità è adesione a tradizioni religiose, senza un autentico percorso di fede.
In carcere tra alti e bassi, allontanamenti e avvicinamenti, la religiosità resta un’ancora di salvezza. La fede vacilla, ma rimane presente perché aiuta i detenuti a sopportare condizioni umilianti. Mantiene viva la speranza di ritornare liberi, di rivedere i propri cari e di avere un futuro migliore.

Luciano Martucci

 Il bene di tutte le religioni

In questo periodo di restrizioni, e di sospensione delle liturgie, il rischio è quello di perdere il senso più autentico della fede, che per noi cristiani è “festeggiare” insieme alla Messa; per i cristiani la domenica è davvero festa! Anche qui è un giorno diverso: è occasione di incontro con i compagni delle altre sezioni, ma soprattutto è la possibilità di ascoltare parole di conforto e di speranza da chi celebra e ci spiega la Parola di Dio.
E in questo periodo mi sembra che la religiosità dei musulmani abbia una “marcia in più”. Sono attualmente in cella con un ragazzo del Gambia. Ogni giorno prega: osservandolo, vedo che la sua anima ha bisogno di spiritualità, e che quando prega sta bene. Quando prega abbassiamo il volume della televisione, facciamo silenzio, e sento che la sua preghiera prende anche la mia anima. Capisco che pregare per loro è sentirsi protetti dalla mano di Dio. Mi colpisce anche il loro immancabile “grazie” prima di mangiare, un grazie che noi cristiani, per lo più, ci dimentichiamo di pronunciare, anche solo mentalmente.
Quando ho conosciuto il nuovo compagno di cella, lui mi ha chiesto “di che religione sei?”. “Di tutte le religioni”, gli ho detto. Lui, stupito, mi ha chiesto cosa significasse la risposta. Gli ho spiegato che semplicemente credo nel bene, credo che la Bibbia o il Corano contengano tante Parole preziose e giuste per la vita e che, se anche non pratico tutte le religioni, credo che tutti i percorsi spirituali ci aiutino a diventare persone migliori. Lui, dopo aver sorriso, ha annuito e con il pollice indirizzato verso l’alto ha detto “Ok, è vero!”.

Pasquale Acconciaioco