Iniziamo un ciclo di riflessione sulla scuola, quale luogo educativo che coinvolge, o perlomeno dovrebbe coinvolgere, tutta la realtà sociale. Luogo così in fondo alla gerarchia degli interessi dell’attuale politica, tremendamente avara di risorse da investire in questa fondamentale realtà, al punto che si parla di abbandono scolastico, neoanalfabetismo e fuga all’estero per specializzarsi. Iniziamo con i film “Les choristes” di Christophe Barratier e “La classe” di Laurent Cantet.

Alessandro Casadio

Image 244Les choristes

un film di Christophe Barratier (2004)

distribuito da FilmAuro

Il film è un remake di un vecchio e ormai invisibile film del 1945, “La gabbia degli usignoli”, e ha ottenuto grande successo di pubblico, aiutato dall’efficace rievocazione dell’ambiente dei primi anni del dopoguerra. La rivisitazione della realtà dei collegi, in cui venivano accolti (forse reclusi) i ragazzi che presentavano problemi di adattamento o di inserimento nel tessuto sociale, si appoggia con sicurezza sulla distinzione dei ruoli, dalla solitudine e incomprensione in cui vivono i bambini all’istituto al rigore dispotico del direttore, al professore buono che utilizza metodi educativi innovativi. Lavora sui diversi personaggi che, pur rispondendo a dei cliché, individuano un preciso modo di vivere la relazione educativa. Il film, benfatto e commovente senza eccedere nei troppi sentimentalismi che spesso caratterizzano questo genere, ha una regia pulita e capace, che contrappone la chiusura dell’ambiente (quasi tutte riprese interne) all’effetto liberatorio della musica, opera di Bruno Coulais.

Il regista Barratier ci mette nelle mani un film fatto di sguardi, di piccoli gesti e delle enormi conseguenze che essi possono scatenare. Azione, reazione: è la regola imposta dal direttore del collegio, che si rivela, ribaltata, la morale del film. Non sono il direttore, l’insegnante o il sorvegliante a reagire, ma i ragazzi che, abituati ad un rapporto di sottomissione all’autorità, scoprono un nuovo e migliore modo di rapportarsi con essa. Così, dal ruolo di carceriere, Mathieu finirà per ricoprire quello di padre, passando soprattutto per quello di salvatore: un nugolo di ragazzini senza prospettive scopre grazie a lui come crearsele, imparando a costruire il proprio futuro. Il canto è il mezzo attraverso il quale si trasmette questo messaggio, da Mathieu ai ragazzi e da questi allo spettatore. Nel canto c’è bellezza, speranza e riconoscenza. Il “musicista fallito” riesce nella sua impresa più importante e la cartellina che gli studenti rubano all’inizio si scopre contenente il tesoro più prezioso.