Divide et prospera

Una rilettura della diversità religiosa nella fiducia di uno Spirito fantasioso 

di Lorenzo Raniero
preside dell’Istituto di Studi ecumenici “San Bernardino” a Venezia

 «Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina».

Stupisce non poco la prospettiva fiduciosa ed ottimista presente in queste parole del Documento sulla Fratellanza umana firmato ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb. Vi è in esse uno sguardo e un orizzonte che vanno ben oltre le nostre vedute ristrette, capaci solo di leggere in superficie ciò che ci circonda o di interpretare i fenomeni sociali del nostro mondo con categorie di autodifesa e individualismo. Sta sotto gli occhi di tutti il fenomeno della diversità religiosa, non solo a livello globale, ma anche locale, particolare e addirittura familiare. Allo stesso modo la grande mobilitazione dei popoli ha messo tutti di fronte al pluralismo delle culture, delle fedi e delle religioni. È una situazione che il Documento di Abu Dhabi interpreta come una ricchezza donata da Dio agli uomini e come segno di una “sapiente volontà divina”.

 Dio disse “diversità”

L’invito è quello di aprirsi al mistero di Dio e al suo disegno di vita sull’umanità, che fin dagli inizi ha creato il mondo nella diversità dei suoi elementi. Ne è testimone il capitolo primo di Genesi in cui l’opera creatrice di Dio procede per separazioni, all’interno del grande inno liturgico della tradizione sacerdotale, quasi a sancire un’impostazione plurale, o se non altro diversificata, del mondo stesso. Anche nella tradizione islamica il principio della “separazione degli elementi” sta all’origine della creazione del mondo (Corano 21/30). Ad ulteriore conferma di questo, la stessa rivelazione cristiana vede nel dono dello Spirito l’origine dei differenti carismi della Chiesa e il principio di unità nella diversità. È ampiamente conosciuto il paragone del corpo che fa san Paolo nella prima lettera ai Corinti, in cui viene presentata la ricchezza dei diversi membri che lo compongono e il loro peculiare compito, e come proprio grazie a questa diversificazione può sussistere la vita stessa di un tutto organico. L’apostolo Paolo non ha paura ad affermare che questa diversità di doni e di operazioni ha la sua origine in Dio, affinché gli uomini possano vivere la comunione: «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1Cor 12,4-6). La cifra della differenziazione costituisce dunque la chiave interpretativa per leggere la vita umana: creando una distanza tra gli elementi del mondo Dio rende possibile la relazione tra diversi. Lo stesso Spirito con la varietà dei suoi doni agli uomini realizza il disegno di Dio per il mondo: la comunione di tutti gli esseri umani, e la loro interconnessione con il mondo intero. In tal senso, l’esperienza della diversità è la via per portare a compimento la vocazione di tutti gli uomini, che sono esseri di relazione e quindi chiamati alla comunione nella differenza. Ogni uomo è creato diverso dall’altro ed ognuno ha un cammino unico e personale per arrivare a Dio. Questa molteplicità di percorsi per arrivare all’unico Dio testimonia ancora una volta un pluralismo diffuso, pari a quanti sono i cammini degli uomini sulla terra che cercano la Verità.

 Missione o proselitismo

Davanti a questi principi fondamentali e in una situazione sociale caratterizzata dal pluralismo delle religioni e delle culture, anche l’annuncio della fede deve ripensare se stesso nei contenuti e nelle modalità. Il compito missionario della Chiesa non può prescindere oggi dal dialogo interreligioso. Infatti, a partire dal concilio Vaticano II è cambiato l’approccio della Chiesa nei confronti delle altre religioni, dal momento che esse “riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (NA, n. 2). Di conseguenza l’azione missionaria della Chiesa non può più essere quella dell’imposizione della fede cristiana in nome di una verità creduta di proprietà del cristianesimo. Per secoli lo scopo dell’evangelizzazione era quello di “fare cristiani”, cioè di introdurre gli uomini ad una appartenenza confessionale. La stessa pratica del proselitismo era basata sulla convinzione che una religione contenesse tutta la verità e che avesse il dovere di introdurre tanti più uomini possibili dentro i propri recinti. Ma questo accade quando una religione mette al centro se stessa, anziché il disegno di Dio sull’umanità. Quando, infatti, viene meno il primato dell’opera di Dio e non si riconosce la sua azione nel mondo, il pericolo del proselitismo è dietro l’angolo. Questo “zelo nella diffusione della fede”, nel momento in cui una religione assolutizza se stessa, si pone in atteggiamento di rifiuto della diversità e del pluralismo delle fedi. Ma se si mette al centro l’opera di Dio, l’impegno missionario sarà decentrato dai propri interessi di parte e orientato a testimoniare e ad annunciare l’iniziativa divina a favore di tutti gli uomini. La sapiente volontà divina è quella della comunione nella diversità, e pertanto nell’opera missionaria della Chiesa (e delle religioni) deve apparire in maniera incontrovertibile il disegno di Dio su ogni uomo.
Nel tempo del diritto alla libertà religiosa, dunque, l’annuncio missionario ha il compito di rispondere ai segni dei tempi e abbracciare la via del dialogo con le altre religioni. Questo chiarisce anche il contenuto dell’annuncio missionario: l’umanizzazione, vale a dire l’impegno di portare ogni uomo ad una vita compiuta, al massimo grado di realizzazione e di bellezza della propria esistenza. E l’uomo è pienamente tale solo nella relazione e nel dialogo con gli altri uomini, a prescindere dalla differenza di razza, religione, cultura e sesso. Dio non può accettare che un suo figlio viva una vita dimezzata, segnata dall’egoismo, dall’individualismo, dal dominio sull’altro e dall’autoreferenzialità. Il compito dell’annuncio missionario, dunque, esige che le religioni si trovino d’accordo nel perseguire questo scopo, perché dalla loro collaborazione possa apparire che il compimento di sé si raggiunge nel dialogo, nella relazione e nella solidarietà.

 
Decentrati e orientati

Vorrei concludere queste semplici riflessioni sul valore della diversità religiosa ricordando un celebre passaggio del discorso che l’ex arcivescovo anglicano di Canterbury Rowan Williams ha tenuto nel 2012 alla comunità camaldolese di Roma. Affermava: «Dio ha usato le spesso tragiche divisioni della storia cristiana in modo tale che a ogni comunità è stato dato di scoprire nuove profondità in un particolare aspetto della sua dottrina o devozione». Non solo le diversità sono una risorsa, ma addirittura le divisioni! Quello che molto spesso gli uomini giudicano disprezzato o che è stato vissuto nel segno della divisione, nel piano misterioso di Dio sono vere e proprie occasioni date all’umanità perché ciascuno scopra il dono che può ricevere dall’altro diverso, e nello stesso tempo perché, nel confronto con la differenza, ogni religione possa riscoprire se stessa e rivalutare aspetti dei propri contenuti di fede che le vicende della storia hanno messo in ombra o fatto dimenticare. Solo davanti alla diversità, l’uomo scopre e costruisce la sua identità. È illusorio pensare di potersela dare da soli!
Dal punto di vista del dialogo ecumenico il proselitismo è compreso in stretta connessione con la testimonianza cristiana delle Chiese. Infatti se si intende la testimonianza comune come l’atto cristiano con cui una comunità credente proclama gli atti di Dio nella storia e l’impegno di rivelare Cristo come la vera luce per ogni uomo, il proselitismo esprime tutti quegli atteggiamenti e comportamenti che non sono in armonia con questa testimonianza. Esso abbraccia tutto ciò che viola il diritto della persona umana, cristiana o non cristiana, di rimanere libera da coercizioni esterne nelle questioni religiose. Non è quindi in conformità con i modi con cui Dio attira a sé gli uomini liberi in risposta ai suoi appelli nel mondo. Se inizialmente il proselitismo si può definire come lo zelo nella diffusione della fede, nel momento in cui una religione si pone come l’assoluta detentrice della verità, porta a degenerazione questo fervore religioso conferendogli un significato peggiorativo. Infatti, nell’attività proselitistica una chiesa o più in generale una religione mette al centro se stessa in un atteggiamento autoreferenziale assoluto, e di conseguenza non si farà scrupolo a convincere e manovrare le altre fedi pur di condurre tra le proprie file il maggior numero di fedeli. Quando viene meno il primato dell’opera di Dio e non si riconosce la sua azione nel mondo, il pericolo del proselitismo è dietro l’angolo, Ma se viene messa al primo posto l’opera di Dio che costituisce la Chiesa, gli sforzi saranno decentrati da se stessi e orientati all’impegno di annunciare prima di tutto l’opera di Dio che ha sempre il primato. Proprio in questa prospettiva, dunque, il proselitismo rifiuta la diversità e il pluralismo delle fedi poiché vuole portare tutti sotto un’unica religione considerata come la sola detentrice della verità.

 

Dell’Autore segnaliamo:
Le parole del matrimonio
Messaggero, Padova 2019