La pentola miracolosa e altre storie vere

Breve ritratto di Fra Cecilio, testimone di un Dio che vuole bene

 di Giovanni Spagnolo
frate cappuccino, poeta e scrittore

 C’era una volta, nel convento dei cappuccini di Monforte a Milano, un fraticello chiamato Cecilio che non passava inosservato, se non altro per la sua barba fluente e i suoi grandi occhi azzurri, sempre atteggiati al sorriso e con le braccia allargate, sempre pronte ad accogliere quanti ricorrevano a lui.
Dovete sapere che prima di chiamarsi Cecilio, nel battesimo, ricevuto nella chiesa del suo paesello, Nespello di Costa Serina in Val Brembana in cui era nato il 7 novembre del 1885, settimo di nove figli, i suoi genitori l’avevano chiamato Pietro Antonio.
La svolta nella vita del giovane Cortinovis (questo il suo cognome) si verificò attorno ai vent’anni, l’età dei sogni e degli innamoramenti, quando egli si liberò dei suoi averi, come scriverà poi nei suoi Diari: «Quel poco che avevo lo diedi ai poveri per amore di Dio», e inizierà l’avventura controcorrente della vita religiosa tra i frati cappuccini.
E proprio con la vestizione del saio dei novizi, a Pietro Antonio fu dato anche il nome nuovo, Cecilio, nome destinato a diventare sinonimo di una carità senza limiti che farà di lui, a Milano, l’angelo della città, con il suo essere povero tra i poveri.
Arrivato al convento di viale Piave a Milano nel 1910, vi rimarrà fino al 1982 cioè fino a due anni prima della sua morte, avvenuta nell’infermeria del convento di Bergamo il 10 aprile 1984, alla veneranda età di novantanove anni, dopo aver vissuto e attraversato quasi tutto il Novecento, “secolo breve”.

 I poveri della minestra

Nel 1921 i superiori affidarono a Cecilio il compito di portinaio del convento di Monforte, incarico esercitato per ben quarantatré anni, fino al 1964, mentre nel frattempo aveva ricevuto il permesso di andare in giro per la città a chiedere aiuti di ogni genere per i suoi poveri, oltre che per i confratelli, con la qualifica nel gergo cappuccinesco di “questuante di città”.
Quello della portineria, giova ricordarlo, è uno dei servizi più delicati da esercitare, anche perché ogni giorno, si direbbe a tutte le ore, vi approdano persone di ogni estrazione sociale ognuno con le sue richieste, per venire incontro alle quali non devono mancare al fratello portinaio dosi elevate di fantasia, pazienza e buon senso.
Inoltre alla portineria del convento di viale Piave, fin dalle prime ore del mattino, si formava una coda di gente, a volte sostituita da scodelle, ciotole e recipienti di ogni tipo, che proveniva da ogni angolo della città per aspettare l’ora fatidica, attorno a mezzogiorno, quando alla porta appariva Cecilio con quella che potremmo chiamare la sua “pentola miracolosa” da cui il frate cappuccino riusciva ad attingere continuamente mestoli di minestra per i poveri, senza che venisse mai a mancare.
Nel venire incontro a questa folla sempre più numerosa di bisognosi, che accorreva alla mensa dei frati, suscitando peraltro la curiosità della stampa: «È cresciuta la clientela ai cappuccini di Monforte», «Sono i poveri della minestra», Cecilio non faceva altro che mettere francescanamente in pratica il vangelo, alla lettera e “senza commento”, come aveva più volte raccomandato san Francesco ai suoi frati minori!
L’umile fraticello credeva infatti profondamente, e metteva in pratica, quanto è scritto: «Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto». (Lc 11, 9-10) e: «In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile» (Mt 17,20).

 Mestolo, grembiule e pentolone

Il binomio che costituisce la narrazione della vita di Cecilio è infatti quello declinato sulla dedizione di sé, fino all’eroismo, e sulla fiducia illimitata e sconfinata nella Provvidenza che veniva incontro alle necessità del fraticello quando distribuiva il pane o confezionava i pacchetti con pasta e riso, in modo che nessun giorno rimaneva “sprovvisto di cibo” per sovvenire alle necessità dei poveri, sempre più numerosi.
Era in queste occasioni che le ceste di pane si rivelavano senza fondo come pure i sacchi di riso o pasta e, immancabilmente, non solo nell’oggi ma anche per l’indomani, “c’era pane e minestra” che Cecilio distribuiva a tutti, a prescindere che fossero “bianchi, neri o gialli”, senza nulla chiedere ma intercalando qualche Ave Maria o invocazione delle Litanie e aggiungendo parole di bontà che provenivano da molto lontano.
Dovendo ricorrere a una immagine che rappresenti pienamente la lunga vita e la straordinaria attività caritativa di Cecilio, sceglieremmo senza dubbio quella pubblicata sull’Enciclopedia della Resistenza, edita da Feltrinelli, in cui il cappuccino è ritratto nel momento in cui, «con le maniche leggermente rimboccate, indossando sopra la tonaca un grosso grembiule, è intento a servire la minestra: una mano tiene il mestolo, che pesca in un grande pentolone, l’altra allunga una scodella alla prima delle tre o quattro persone che si riescono ad intravvedere attraverso un piccolo sportello».
Mestolo e pentolone dunque, elementi indispensabili nell’iconografia di Cecilio, intorno ai quali sbocciavano episodi da fioretti francescani che lasciavano basiti i confratelli come quella volta in cui, dopo aver preparato con la solita amorevole cura la minestra, si accingeva a portarla in portineria e il pentolone si era rovesciato nel chiostro e, non si sa come, con la sua fede ostinata il fraticello era riuscito a fare come se nulla fosse accaduto, con la minestra rientrata intatta nel suo contenitore, fedele all’appuntamento con i suoi poveri.

 Fra preghiera e carità

Ma non era solo per la minestra e il pane distribuiti ogni giorno che Cecilio era ricercato. Infatti era risaputo quanto grande fosse il cuore del frate cappuccino e come egli facesse affidamento alla preghiera, che spesso sfiorava l’estasi, alla meditazione e, soprattutto, alla devozione filiale che nutriva verso la Madonna la cui statua teneva in portineria, affidandole la soluzione dei casi più difficili.
Un vero e proprio escamotage, messo in atto dall’umile cappuccino in modo che potesse schermirsi quando qualcuno tornava a ringraziare, per le guarigioni e i miracoli ricevuti, con un: «È stata Lei, io non c’entro!». E il discorso finiva lì.
Soprattutto d’estate poi, quando Milano si svuotava, la portineria del convento di viale Piave, e in seguito una stanzetta adiacente in cui Cecilio avrebbe dovuto ricevere per poche ore, diventava approdo e, in certi casi, ultima spiaggia per casi disperati. Un cronista, a proposito, ha notato argutamente: «In questi chiari d’agosto, ci va più gente affamata di conforto e preghiere».
Dal 1959 la carità, scaturita nel cuore di Cecilio, ha trovato il suo quartiere generale nell’Opera San Francesco, con ingresso da corso Concordia, divenendo nel tempo punto di eccellenza nel declinare le opere di misericordia anche con quella che potremmo chiamare la “succursale” di piazzale Velasquez.
Il colloquio con Cecilio invece, dal 1989, continua con la sosta e la preghiera presso la sua tomba nella chiesa dei cappuccini di viale Piave, dove ripete a tutti, senza stancarsi mai: «Sai che il Signore ti vuole bene?».

 Con questo Editoriale, di sapore natalizio, la Redazione di MC augura ai lettori buone feste e un anno nuovo di pace e bene