Come può una madre la cui figlia di 21 anni si è suicidata, avere uno sguardo così sereno, un viso così disteso e un sorriso così accogliente? Eppure Andreana Bassanetti, nella sua maturità di donna ancora molto bella, trasmette subito una sensazione di pace, suscita attorno a sé un’atmosfera familiare, un’intimità che non riesci a decifrare, ma che fa sentire bene. A lungo. L’associazione FiglinCielo ne è la prova.

di Gilberto Borghi 

Tutti perdono qualcuno

Uscire dalla propria volontà per tornare a vivere

 Il buio in una stanza

Andreana è psicologa e psicoterapeuta. Sposata, con due figli, poi separata.

Affermata professionista, conosciuta e stimata a Parma, come a Roma, dove aveva già abitato, vive nella certezza che la scienza psicologica sia in grado di curare le ferite delle persone. Fino a quando sua figlia Camilla, una splendida ragazza con i lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri, si è tolta la vita, non sopportando più il malessere che le artigliava la mente e il cuore, fino a buttarsi dalla finestra. É il 27 giugno 1991.
Andreana, che aveva cercato in tutti i modi di aiutarla, si sente morire anche lei: «Ero sola, senza radici, disperata di fronte alla mia impotenza, al mio nulla, immersa in un buio sordo e mortale. Io, che avevo aiutato in terapia tante ragazze, non ero riuscita a salvare mia figlia, non avevo saputo o potuto aiutarla. Questo pensiero mi aveva tolto ogni desiderio di vivere. Avevo fallito come madre e come psicologa».
Né gli studi fatti, né la fede nella quale era stata allevata, le sono di aiuto. «Quando mia figlia se ne andò, tutto volò via con lei come in un soffio. Le mie viscere urlavano: Camilla dove sei? Volevo capire se la vita, la morte avessero un senso, se tutto quanto era successo avesse un senso. Cercavo la verità, quella verità che sempre avevo inseguito, ma che ora si faceva più esigente».
La stessa luce del giorno le è insopportabile, si mette a letto, si chiude in una stanza. Per mesi.

 L’ora di un appuntamento

Poi una sera, obbligata a uscire, s’imbatte in una chiesa sulla cui porta c’è scritto: «Venite con me, in disparte». «Rimasi ferma un momento, come paralizzata, fulminata, come se quelle parole penetrassero, una ad una, la mia fragilità, fino in fondo, e s’incidessero nel profondo del mio cuore. Sono stati solo pochi attimi, ma intensissimi. Avevo l’impressione di essere giunta ad un appuntamento importante, come se qualcuno mi stesse aspettando proprio lì, in quel luogo, da tanto tempo. Avvertii che stava succedendo qualcosa di molto grande e di unico, anche se in verità non mi rendevo ben conto di che cosa stesse veramente accadendo. Entrai e proprio lì iniziò il mio cammino di fede, la confessione dopo decenni, l’Eucaristia e la preghiera quotidiana. Lì iniziò la mia rinascita, l’incontro con il Risorto, una nuova vita in Lui e la strada da percorrere.
Essendo psicoterapeuta da più di trent’anni, all’inizio pensai di aprire un centro per il disagio giovanile, perché nessuno soffrisse come mia figlia, ma era solo un progetto. Iniziarono a cercarmi genitori da tutte le parti d’Italia e a chiedermi di aiutarli a “ritrovare” i loro figli scomparsi, a “parlare” con loro. Ma vennero da me anche sorelle e fratelli che avevano avuto la vita sconvolta da questa tragedia. Si era costruita una strana rete che mi avvolgeva e mi impediva di occuparmi del mio progetto iniziale. Incontravo tante persone straordinarie, mamme e papà, che avevano vissuto la mia stessa esperienza. Chi era ancora nella disperazione, chi era già incamminato sulla via della fede e della speranza, ma in tutti c’era lo stesso bisogno d’incontrarsi, stare insieme fraternamente, condividere i momenti buoni e quelli difficili.
Quando perdi un figlio, gridi: “Perché proprio a me?”. Non c’è una risposta umana. Rimane il mistero di un accadimento che ci deve indurre a chiedere: “Che cosa devo fare, che cosa Dio vuole da me?”. Se non esci dalla tua volontà e con umiltà non cerchi di entrare nella volontà di Dio, nei suoi pensieri e nei suoi progetti che sono lontani dai nostri quanto il cielo dalla terra, è la fine. Devi fare questo primo passo anche fra dubbi e paure, altrimenti non rimane che arrendersi».

 

Nasce la comunità

È nata così, spontaneamente, la Comunità “FiglinCielo”, Scuola di Fede e di Preghiera, per condividere, oltre il grande dolore e le esperienze personali, la bellezza dell’incontro con Gesù risorto, unico Consolatore. Quasi da subito arrivarono circa 1.500 genitori che avevano vissuto il medesimo dramma e cercavano insieme, attraverso maestri spirituali, incontri comunitari e ritiri, di scrutare e di tendere con amore ai misteri della fede, in particolare al mistero pasquale della morte e risurrezione.
Inizialmente, le famiglie si radunavano presso il monastero benedettino di Torrechiara (Parma), dove venivano organizzate settimane di spiritualità e dove iniziarono spontaneamente anche gli incontri settimanali e mensili, principalmente per le famiglie appartenenti alla diocesi di Parma e alle diocesi vicine, desiderose di potersi incontrare con una maggiore frequenza, condividere il proprio dolore e partecipare alla santa Messa. In seguito, molti Vescovi, costatando la serietà e l’originalità del sostegno offerto e desiderando assicurare alle famiglie un cammino autentico e sicuro, sollecitarono la presenza di FiglinCielo nella propria diocesi, per inserirla nel loro programma pastorale. Via via, le Comunità si moltiplicarono e si estesero in quasi tutto il territorio nazionale.
Oggi, le famiglie sono migliaia e migliaia, provenienti da ogni parte d’Italia e anche dall’estero. La nascita di “FiglinCielo” non è frutto di un progetto personale di natura assistenziale, ma deriva esclusivamente dall’”incontro con una Persona viva”, da cui la fondatrice si è sentita chiamata e che continua a chiamare ogni famiglia in lutto, perché «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Deus caritas est).
«La nostra Chiesa è attenta a tante nuove povertà come la droga, l’Aids, la violenza, ma rischia di dimenticare chi ha perso tragicamente un figlio. Noi cerchiamo di aiutare queste persone a vedere con uno sguardo di misericordia i figli. È lo stesso sguardo con il quale i figli contemplano dal cielo i genitori e che permette di ricostruire un dialogo con chi è scomparso nella logica di una fede che non è consolatoria, ma provoca una trasformazione di vita. Tutto avviene in diverse tappe: si parte da un rifiuto, seguito da una timida accoglienza, per arrivare a un cambiamento radicale che si manifesta soltanto quando i genitori si liberano dai sensi di colpa».