Nell’ottobre scorso si è svolto a Roma il Convegno nazionale dei segretariati missionari italiani per un ampio confronto su cosa significhi oggi “missione”. Ne è emerso un nuovo modello di missionarietà, chiaramente ispirato allo stile di san Francesco.

a cura di Saverio Orselli 

Missione modello mangiatoia

I cappuccini e il modello missionario di Greccio 

di Nicola Verde
collaboratore delle Missioni

 Se necessario anche con le parole

«Si tratta di non lasciare inascoltato e inoperante il comando missionario del Signore».

Con queste parole il ministro generale dell’Ordine dei frati minori cappuccini, frate Roberto Genuin, ha esortato i frati cappuccini italiani a non spegnere lo spirito missionario ricevuto in dono, e lo ha fatto nel contesto specifico di un convegno nazionale voluto fortemente dal nuovo segretario generale delle missioni, frate Mariosvaldo Florentino.
Durante il mese missionario di ottobre fra Mariosvaldo ha convocato a Roma, presso il Collegio San Lorenzo da Brindisi, tutti i frati che lavorano nei segretariati missionari per l’animazione missionaria delle provincie religiose italiane. Il convegno, per il quale si è adottato il metodo del “vedere, giudicare e agire”, si è articolato in tre giorni nei quali gli interventi e i momenti di confronto in aula si sono alternati a laboratori e lavori di gruppo, permettendo a tutti di incontrarsi, discutere, confrontarsi e riascoltare il mandato missionario del Signore.
Vedere è stato il primo passo fatto da tutti i partecipanti. Ciascun segretario delle missioni ha messo in luce, ha fatto appunto vedere, le forze e le debolezze della propria realtà missionaria, dei propri volontari, dei collaboratori e benefattori, come anche le opportunità e le minacce che il mondo sociale ci mette davanti come sfide. Giudicare è stato il momento in cui il vangelo e la nostra tradizione cappuccina ci hanno consegnato un patrimonio vivo per interpretare la realtà di oggi e per indicarci la strada futura della missione. Agire è il passo da compiere per mettere in moto nuovi processi e nuove dinamiche di animazione missionaria. Tre sono i punti principali che sono emersi al convegno: un nuovo modello missionario; un nuova prospettiva di animazione missionaria; il coinvolgimento dei laici nella missio ad gentes.

 Un nuovo modello missionario

Tutti i frati hanno espresso la difficoltà di vivere e tenere in piedi un modello missionario ormai al tramonto. Il missionario, nell’immaginario storico e culturale italiano, è colui che viene mandato in terre lontane per annunciare il vangelo e per creare delle opere sociali per lo sviluppo e il progresso dei popoli che incontra. Progetti sanitari, educativi e sociali diventano il segno di una carità fattiva che va incontro alle necessità e alle povertà morali ed economiche della gente. Questo modello missionario ha come ricaduta un’animazione missionaria tutta impegnata a suscitare nel cuore di tanti cristiani il sostegno spirituale ed economico per i tanti progetti che il singolo frate porta avanti in terre “tenebrose ed esotiche”.
Le radici di questo modello missionario vanno cercate nell’orizzonte storico del colonialismo quando gli stati europei, “evoluti e sviluppati”, assumono la “missione” di civilizzare gli altri popoli, senza peraltro che fosse stato loro chiesto, per generare un progresso economico e industriale oltre che morale e spirituale. Lo sviluppo economico e la civiltà del progresso diventano l’orizzonte esistenziale che produce le categorie culturali per interpretare l’altro sottosviluppato, l’altro diverso, primitivo e selvaggio, da civilizzare. Si definisce il selvaggio per definire se stessi civili, instaurando relazioni di potere economico e militare.
Il comando missionario del Signore vissuto invece da san Francesco d’Assisi ci consegna un altro modello missionario: la missione è l’annuncio del vangelo della fraternità, della minorità e del dialogo. La missione è l’annuncio di un Dio vicino che in Gesù si fa fratello povero tra i poveri per amore dell’uomo. San Francesco indica ai suoi frati la strada della missione come testimonianza mite del Regno di Dio, dell’amore fraterno e della minorità che si concretizza nell’essere sottomessi a tutti in uno spirito di preghiera, di pace e di dialogo fraterno.
Il nuovo modello missionario allora è quello della fraternità. Si va in missione da fratelli per vivere la fraternità, la preghiera e la vicinanza alla gente, soprattutto ai più poveri, e per riconoscere che Dio è già lì, presente nel bene che lo Spirito ha fatto germogliare nelle culture, nelle tradizioni, nella storia e nel cuore di ogni popolo. In questa prospettiva la fraternità missionaria, e non più il singolo missionario, non solo annuncia il vangelo ma è un vangelo, ed è essa stessa evangelizzata dalla gente che incontra. In altre parole la minorità, sorella della povertà, permette di scoprire un nuovo volto del vangelo che germoglia nel cuore dei popoli e delle comunità incontrate dai frati missionari. Il vangelo antico diventa nuovo (Mt 13,51-52) dentro la ricchezza della diversità culturale. Forse un piccolo racconto dell’esperienza di san Francesco e dei suoi frati può essere illuminante e può farci comprendere questa dinamica missionaria di inculturazione del vangelo.

 L’incontro missionario di san Francesco

San Francesco, in missione a Greccio, inventa una nuova forma di annuncio del vangelo attraverso cui lui stesso e i suoi frati vengono evangelizzati. Con la messa in scena e il travestimento rituale e teatrale del presepe, Francesco annuncia un Dio povero e vicino che viene adagiato in una mangiatoia. Ora la mangiatoia, nel contesto locale della valle reatina, è il simbolo potente del mondo sociale e culturale contadino. È la forma culturale, storica ed esistenziale, attraverso cui i poveri contadini di Greccio vivono la loro esistenza e il loro rapporto con il lavoro, con la terra, con il mondo animale e con la fatica della povertà. Certamente i nobili e i commercianti nella struttura sociale del tempo non con-vivevano con le bestie nelle stalle, a differenza dei poveri che servivano e lavoravano le terre dei ricchi.
Gli abitanti di Greccio incontrati dai frati e da Francesco, grazie al simbolo familiare della mangiatoia messo in scena col travestimento rituale, comprendono e fanno esperienza dell’amore di Gesù che sceglie di nascere in mezzo a loro e come uno di loro: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello» (FF 468).
Francesco adagia un bambino in una mangiatoia per contemplare l’umiltà e la povertà di Dio, una greppia certamente diversa dalla grotta di Betlemme scavata in una roccia. L’annuncio del vangelo avviene in un contesto sociale diverso da quello della Palestina ma è a quella gente, a quegli animali e in quel luogo preciso che Francesco annuncia l’incarnazione di Dio. Il Natale viene narrato e rivissuto dai frati e dalla gente di Greccio attraverso i simboli, i canti, le fiaccole e i vestiti del mondo contadino rendendolo familiare e comprensibile a tutti. Quel bambino avvolto in fasce e annunciato ai pastori emarginati della Palestina viene inculturato sapientemente dai frati, tanto da penetrare la struttura sociale del tempo, raggiungendo i poveri e gli ultimi della gerarchia sociale medievale, e Greccio “diventa una nuova Betlemme”: «Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia» (FF 469).
Con questa modalità missionaria Francesco riesce ad arrivare al cuore culturale della valle reatina, e i frati presenti all’evento e Francesco stesso ricevono grande gaudio e letizia da questa esperienza di annuncio. Le fonti francescane ci raccontano anche che gli abitanti di Greccio conservarono il fieno della mangiatoia per il potere di guarigione che aveva sugli animali ammalati e per il potere di far partorire le donne felicemente se si mettevano addosso quel fieno durante un parto lungo e doloroso. L’evento rituale di Greccio è così sapientemente inculturato da san Francesco che ancora oggi continua ad essere una fonte viva di annuncio che si rinnova ogni Natale nelle case di tante famiglie italiane e non solo. Inoltre è un evento che si è impresso profondamente nella memoria collettiva italiana tanto che ogni anno si moltiplicano le scene di travestimenti rituali nelle città italiane, nei borghi e nelle scuole per celebrare la nascita di Gesù nel presepe.
Il nuovo modello missionario dunque, che prende forma dallo spirito di san Francesco e della prima fraternità riunita intorno a lui, “autorizza” i missionari cappuccini ad “inventare” forme di annuncio dentro la realtà culturale delle società che incontrano. Si tratta per i missionari di conoscere i riti di passaggio, i rituali culturali, i travestimenti teatrali e la saggezza storica e poetica di un popolo, per riconoscere il bene presente nei simboli e nelle forme culturali che strutturano la vita sociale con i suoi significati. Solo così si può annunciare un Dio Vicino che ama l’uomo e che semina la sua Parola (semina Verbi) dentro le diverse forme sociali e culturali che l’uomo costruisce.
Questa trasformazione missionaria delle fraternità è già in atto nelle nostre provincie religiose italiane e sta generando nuovi processi di collaborazione tra i frati cappuccini italiani che partono per la missione e i frati locali che vivono nelle varie missioni con le loro comunità.

 Frati e laici: una nuova animazione missionaria

La nuova prospettiva missionaria fatta di scambi, di collaborazioni e di sostegno reciproco tra i missionari italiani e le comunità in missione genera una nuova sfida: avviare processi di cooperazione e di animazione missionaria con i frati locali e le loro comunità affinché ci siano progetti che nascano dal territorio e per il territorio, secondo i bisogni della gente, tenendo conto delle risorse reali e delle opportunità locali.
Il mero invio di denaro per progetti pastorali, sociali, sanitari, educativi ecc., rischia di alimentare un paternalismo e un assistenzialismo nella gente, e di confermare atteggiamenti e modalità di aiuto che ricalcano modelli post-coloniali, ovvero strutture che creano dipendenza economica e di potere tra noi e le comunità in missione. Siamo a un cambiamento di prospettiva: si tratta di coinvolgere i laici e avviare processi di studio, cooperazione, formazione e scambio tra le comunità locali in missione e le nostre comunità italiane fatte di laici impegnati nel volontariato, nella catechesi e nella formazione missionaria. In altre parole si tratta di rendere partecipi i gruppi locali nella progettazione, collaborazione e co-costruzione di progetti sul territorio secondo una prospettiva antropologica culturale locale, facendo rete con le altre risorse sociali del territorio. Inoltre dobbiamo fare luce e riconoscere il reale impatto sociale, politico ed economico che hanno i progetti sanitari, educativi e pastorali sia in Italia che nei vari contesti locali in relazione alle prospettive globali, cioè bisogna tenere conto dei rapporti di forza tra Europa e Africa, del passato coloniale, delle politiche internazionali e delle politiche economiche post-coloniali. Questa consapevolezza risulta fondamentale per rimanere nello spirito della minorità indicato da san Francesco per i frati che vanno in missione oggi, in un mondo globalizzato.

 Cosa vuol dire tutto questo per i segretariati dell’animazione missionaria?

Vuol dire fare rete, prendersi a cuore i progetti sociali e le comunità locali, fare strada insieme. Vuol dire anche riconoscere il dono che scaturisce per noi dalla missione: quale ricaduta sociale e culturale dei progetti missionari nel nostro territorio italiano? Quali conseguenze nell’immaginario collettivo sullo straniero e l’immigrato in Italia? Quale ricchezza pastorale e formativa per i nostri frati, per i giovani in formazione e per i nostri fedeli?
Il segretariato delle missioni nasce per l’evangelizzazione, l’animazione e la cooperazione missionaria e dovrà assumere sempre di più il compito di formare, animare e sostenere in modo trasversale ogni azione pastorale delle fraternità, per promuovere lo spirito missionario in ciascun frate e nel popolo di Dio. Per le province cappuccine italiane si tratta di avere il coraggio di rimettere al centro della propria pastorale il mandato missionario di Gesù che ancora oggi chiama frati e laici ad essere insieme testimoni del vangelo secondo la minorità e la fraternità di san Francesco d’Assisi.