Quando la collettività non intorbidisce, diventando amorfa massificazione; quando ogni singolo della collettività ha un suo ruolo ed una sua peculiarità che lo contraddistinguono; quando un coro polifonico riesce ad amalgamare le voci in armonia, permettendo a ciascuna la sua percezione, allora ogni racconto diventa epopea. Gustiamo questo piacere nel romanzo di Julie Otsuka “Venivamo tutte per mare” e nel film “Crash” del regista Paul Haggis.

Alessandro Casadio 

Venivamo tutte per mare

un libro di Julie Otsuka

Bollati Boringhieri, Torino 2012, pp, 143

Una di quelle storie che passano in second’ordine, quella delle ragazze giapponesi che nei primi anni del XX secolo divennero “spose in fotografia”, accordandosi via lettera con i loro connazionali precedentemente emigrati negli Stati Uniti, accettando di sposare quel giovane che traspariva da una foto in bianco e nero, piuttosto sbiadita, scattata magari ad un amico più bello di lui. Le traversie del viaggio in nave si assommano così ad una serie di difficoltà e disillusioni nel constatare come l’America, terra dei sogni di ogni emigrato, non mantenesse tutte le promesse fatte. Loro che scappavano da situazioni di miseria per trovare in quel miracoloso mondo nuovo una casa da accudire e curare con dolcezza e premura, secondo quanto la tradizione aveva loro insegnato. L’accettazione delle difficoltà e delle traversie, quasi come un destino assegnato secondo il loro credo buddhista, e la mansuetudine dimostrata nei confronti di una sorte avversa, che le porta spesso ad essere trattate male dai loro stessi mariti, sono le armi irriducibili della loro lotta, fino a quando, anno 1942, lo scoppio della guerra tra Giappone e Stati Uniti, le trasforma agli occhi della gente in subdole spie e pericolose terroriste.

C’è tutto il dramma dell’emigrazione di ogni tempo in questo libro con annessi i facili e beoti pregiudizi del popolo ospitante, ma ciò che lo rende originalissimo, trasformandolo in suggestivo romanzo corale, è la narrazione in prima persona plurale di tutta la vicenda. Una narrazione che non massifica queste giovani donne in un amorfo destino, ma cogliendo le situazioni più intime di ciascuna le proietta in un affresco coloratissimo ed enorme, dove puoi cogliere il dettaglio più minuscolo.

Un libro che spiega, in profondità, le motivazioni delle scelte di queste giovani, che appaiono distanti anni luce dalla nostra mentalità, facendocele apprezzare anche nella loro inevitabile parabola sacrificale, ma che, in qualche modo, ci restituisce la tenerezza quasi espiatoria di un mondo lontanissimo, che impariamo ad apprezzare.

A.C.