A volte lo studio e perfino una tesi di laurea portano a fare incontri ed esperienze che si rivelano poi importanti per la vita. È quanto è accaduto a Lucia di Scandiano, che ha incontrato Francesco e il francescanesimo e che ora con piacere condivide tale «virtute e canoscenza» (Dante Alighieri, Commedia, Inferno, XXVI, 120).

Chiara Gatti  

Ardente e dolce forza d’amore

L’incontro con san Francesco passando per Dante Alighieri

di Lucia Bodecchi
autrice di una tesi sul canto XI della Commedia di Dante Alighieri

Image 223La fonte dell’incanto

Come ogni albero nasce da un seme gettato lontano nel tempo, così il mio incontro con Francesco non avvenne “nel mezzo del cammin” (cf. Commedia, Inferno, I, 1) della mia vita, ma molto prima, quando ancora non immaginavo il fascino che egli avrebbe esercitato su di me. Ancora ricordo il giorno in cui il maestro elementare dispose le sedie nel corridoio della mia piccola scuola di provincia. Ci preparavamo a guardare un film: Fratello sole e sorella luna. Quel protagonista stravagante (e in quel film anche particolarmente stralunato) incantò il mio animo di bambina e mi innamorò di sé e della bellezza che annunciava. Francesco era diventato l’immagine della dolcezza di Dio, silenziosa e continuamente presente nelle piccole cose, quelle che un bambino ancora si dà la pena di apprezzare. Negli anni questa tenerezza divina che Francesco aveva contribuito a farmi scoprire non mi abbandonò mai, neanche nel buio dell’età matura. Ma posso dire che neanche Francesco mi abbandonò più... Anni fa, non saprei dire per quale motivo, entrai nel convento dei cappuccini di Scandiano. Un frate piccolo e magro, Diego, stava parlando di santi: una predica dal sapore antico, un’agiografia, medievale nello stile, che mi fece rimanere. E così a quel convento sono tornata spesso, ogni giorno, quasi senza accorgermene, per tanti anni.

La ricchezza porta ricchezza e la messa divenne occasione per conoscere molte persone, frati e non, che come me ruotavano attorno a quel luogo. Occasione per pregare insieme, per parlare, per gustare un ritaglio di pace profonda, per riempirsi di serenità, per trovare coraggio. Un po’ come Marcellino pane e vino mi abituai a pregare tra i frati, assieme all’invisibile Francesco, e questa vicinanza, anche se spesso silenziosa, arricchì la preghiera dell’amicizia. Perché lo Spirito di Dio, si sa, è Spirito d’Amore...

Goccia dopo goccia nasce un fiore

Forse fu proprio per questa quotidiana presenza, per questo quotidiano incontro con Gesù in un luogo francescano, che, dovendo scegliere il tema della tesi di laurea, tra le tante cose belle, ho pensato a Francesco d’Assisi. Se la tesi doveva dar voce a una mia passione, se doveva riflettere il cammino intellettuale e spirituale fatto in quegli anni fecondi, non poteva allora di certo non parlare anche di Dio. Francesco, così, si presentò di nuovo e, ora, nell’immagine di un’alta forma poetica. L’amore per la poesia, quello per Francesco e quello per Gesù si legarono assieme nel commento al Canto XI del Paradiso della Commedia, canto in cui Dante, per bocca di Tommaso D’Aquino, parla della vita di san Francesco. Leggendo Dante è evidente a tutti la bellezza di una poesia che lega la forza espressiva con un’alta sapienza, coinvolgendo il pensiero non meno che il sentimento, anzi mettendo in luce che, nell’uomo, l’intelletto è passione, capacità di riflettere e sentire, in un modo complesso, inscindibile e profondo. La ricerca intellettuale, inoltre, nella Commedia, è segnata dalla ricerca di Dio definito proprio «il ben de l’intelletto» (Inferno, III, 18). La sapienza che lì si indaga, pertanto, tocca anche l’anima e arricchisce lo spirito. Fu questa splendida ricchezza a colpirmi. E Francesco faceva parte di questa ricchezza, in perfetta armonia, come strumento che si accorda su una melodia.

Iniziare a scrivere, però, non era così semplice. Avevo letto Dante, ma degli scritti di Francesco nulla o poco più. Ma come avviene sempre, quando è interpellato, lo Spirito non tardò ad aiutarmi e mi trovai a scrivere molto più di quanto avrei creduto. Nel leggere Dante e le Fonti Francescane, anzi, scoprii la ricchezza dei continui richiami biblici, la profondità dei significati, la bellezza di una spiritualità fatta poesia e un Francesco meno stralunato di quello di Fratello sole e sorella luna, eroico e fermo, ma ugualmente innamorato di Dio. «Umiltà perfetta, senno e cognoscimento, ardente e dolce forza d’amore», ma anche coraggio, forza d’animo, perseveranza: il Francesco di Dante e quello di Bonaventura davano vita ad una figura ora meno iconografica e più reale. Nella Commedia Dante presenta Francesco nel cielo dei sapienti e parla di lui come di un serafino ardente d’amore: «serafico in ardore» (Paradiso, XI, 37). È la prima cosa che dice di lui. Francesco è un innamorato che lascia tutto per amore dell’Amore: null’altro serve perché Dio è il suo tutto, ciò che sazia da un lato e continua ad assetare di sé dall’altro, così che l’anima mai si stanchi di cercarlo e desiderarlo. Dante arriva a chiamare Francesco “sole”, forse ricordando il collegamento presente nel Cantico delle creature: «De Te Altissimo porta significazione». Francesco è poi un umile re, semplice di aspetto, regale nella dignità, come lo fu Gesù. Egli, infine, diviene immagine di Cristo nella carne attraverso le stigmate, segno esteriore di una conformità di spirito interiore. Così si confonde col suo Gesù e così da quel momento verrà ritratto.

Image 229Come alberi una volta cresciuti

Scrivere fu bello e appassionante. Ma i frutti di quel seme gettato quando ero bambina non erano ancora terminati, nonostante io, come sempre, lo ignorassi completamente. Poco dopo essermi laureata il padre superiore del convento di Scandiano, padre Prospero Rivi, si interessò della tesi per la quale già gli avevo chiesto consiglio. Leggendola ebbe l’idea di parlare anche ad altri di questo Francesco ritratto da Dante. E così da uno studio solitario mi trovai, assieme a lui, a parlare di quella bellissima poesia ad altre persone, con entusiasmo da un lato e con una certa incredulità dall’altro, anche se, si sa, Francesco è un predicatore ed era improbabile che un’opera compiuta col suo aiuto non trovasse modo di coinvolgere anche altre persone. Andammo anche in alcune scuole per parlare ai ragazzi, per leggere Dante e cercare di trasmettere ciò che vi è dietro ogni impresa sorprendente, sia essa il genio poetico o un’intera vita di scelte inconsuete: la passione dello spirito e la ricerca ardente della verità. «Virtute e canoscenza» (Inferno, XXVI, 120), contrapposte alla brutalità. Francesco fu un grande sapiente, un sole di sapienza, come Dante, e la bellezza di questa sapienza interiore è rimasta nei secoli futuri, contro la fugacità del tempo, più duratura del bronzo, come diceva Orazio nella Ode III. E la bellezza è una forza dirompente, rivoluzionaria, divina. La bellezza salva, eleva l’anima ad un respiro più alto, nutre lo spirito e gli fa riconoscere la perfezione di Dio.

Spero di aver anch’io lasciato un seme, anche piccolo, nell’animo di qualcuno, come fanno gli alberi una volta cresciuti. Parlare d’amore è semplice, amare quasi mai. Ma è l’unica bellezza che salva.