Nel fango in cui ci troviamo, spesso senza un quattrino, noi sappiamo far nascere perle; dalla mancanza di tutto nasce collaborazione. Poveri di cose e, per questo, ricchi di possibilità di elevare la nostra umanità. (Filippo Milazzo)

a cura della Redazione di “Ne vale la pena”

 Dai diamanti non nasce niente

Quando sono povero è allora che sono uomo

DIETRO LE SBARRE

 Ricchi dentro si nasce. E poi?

All’improvviso chi entra in carcere lascia la vita terrestre e si ritrova su un altro povero pianeta, circoscritto da mura di cinta che lo separano dalla ricchezza della vita.

Qualsiasi essere umano in carcere è povero. Qui manca, ovviamente, la libertà, e manca, in un certo senso, ogni forma di vita. Le mura grigie sono l’unico orizzonte. Gli odori e i rumori sempre gli stessi. Le stesse le persone, gli stessi i movimenti, sempre fino all’ultimo giorno di detenzione. È un luogo molto simile a un cimitero, la monotonia è la stessa. Anzi, nei cimiteri ci sono i fiori, ci sono gli odori e si vivono emozioni, pur dolorose. Qui manca l’essenza della vita: la natura, i fiori, gli alberi, gli animali, e, soprattutto, le figure femminili. Andiamo a scuola separati, viviamo separati, e questo ci rende insignificanti. Siamo in un pianeta povero, isolato e innaturale, popolato solo da maschi, costretti, per sopravvivere, a inventarsi la vita vera, immaginandola e desiderandola. E in questo periodo di pandemia siamo ancora più poveri, ancora più esclusi dal mondo reale.
Anche la povertà materiale segna l’esistenza di tanti di noi. Per tenere una corrispondenza servono i francobolli e non sempre possiamo permetterceli. Per non parlare della tecnologia che qui è arretrata, concessa col contagocce, e non a tutti, perché non tutti hanno i mezzi per utilizzarla. E quando organizziamo una partita a calcio, non tutti possono giocare, perché alcuni non hanno le scarpe e, a volte, manca anche il pallone, un pallone con cui si riesca davvero a giocare.
Per essere ricchi dentro è necessario avere qualcuno vicino. E qui non è facile. I volontari, come possono, colmano il vuoto, ma non può bastare. A volte penso che qui, da soli, sia impossibile farcela. Mi sento come una formica isolata dalle sue simili… ho una briciola di pane, ma non so dove portarla! Sono isolato, e questo mi fa sentire come annientato e povero di iniziativa e creatività. A pensarci bene, la povertà che mi pesa di più è la solitudine: sento il bisogno di interagire con le persone, e di trovare la ricchezza della gioia, della felicità, del sorriso. Vorrei che qualcuno mi facesse ridere. Qui le cose materiali non hanno nessun valore: forse ci aiutano a vivere un po’ meglio, ma quello che ci vuole è ben altro.
Ridere per non piangere… forse questa è la ricetta per sopravvivere qui. Mi viene in mente la frase di Totò «Signori si nasce, e io modestamente lo nacqui». Qui si può parafrasare cosi: “Ricchi dentro si nasce, esclusi si diventa, poveri del nostro tempo e della nostra vita”.

Pasquale Acconciaioco

 Dozza, via della povertà

Non è un errore associare le parole carcere e povertà poiché varcando le patrie galere si diventa poveri pressoché di tutto. Il più delle volte si tratta di una povertà materiale. Chi è fortunato ha una famiglia fuori ad attenderlo che lo sostiene durante la detenzione. Tanti la famiglia non ce l'hanno o l'hanno “persa per strada”. E così capita di vedere esseri umani costretti a lavarsi senza sapone, oppure ad indossare sempre gli stessi indumenti. Vedo esseri umani affamati chiedere al portavitto una seconda razione di cibo. Vedo esseri umani che litigano per l'ultima razione di pasta.
L’assenza di rapporti umani crea la fame emotiva. In carcere si vive nell'attesa della telefonata settimanale o del colloquio mensile con una famiglia che generalmente vive lontano. Mentre qualcuno gioisce per questo, altri invece realizzano quanto la propria vita sia priva di affetti. Molti perdono i legami e vengono abbandonati a sé stessi. Al di là delle responsabilità di ciascuno, non ci sono parole per descrivere un uomo dopo tanti anni di solitudine. Così vedo esseri umani diventati logorroici, ripetitivi, spesso affetti da disturbi psichici o neurologici. Si usa dire che “si sono consumati” proprio come una candela. Senza affetti l'essere umano si spegne, lentamente, giorno dopo giorno, per la mancanza di qualcuno che lo aiuti a ravvivare la sua fiamma.
In carcere oltre la fiamma vitale si consumano anche le speranze. La speranza è un nutrimento che aiuta a guardare avanti. Vedo esseri umani affranti, assenti o apatici, perché hanno perso anche la forza di sperare. Spesso il lavoro è l’ostacolo su cui si arena il desiderio di un futuro diverso. Quale speranza di trovare un lavoro può avere un essere umano dopo una simile esperienza? Quale speranza di futuro migliore può avere un essere umano dopo aver chiesto invano aiuto per trovare un lavoro fuori dal carcere per poter accedere ad una misura alternativa?
Volutamente in maniera ripetitiva ho usato il termine essere umano al posto di detenuto. Questo è l’aggettivo che accomuna noi e quanti vivono oltre il muro. A loro piace immaginare che dentro al muro si viva in maniera dignitosa. In realtà il più delle volte non è così.

Joseph Arangio Febbo

 Povero è l'uomo!

«Il Signore ascolta i poveri e non disprezza i suoi che sono prigionieri» (Salmo 69,34).
Nel “mondo carcere” la povertà la vedo nei volti e sui corpi dei “nuovi giunti”. Provenienti da altri istituti o appena privati della libertà, sono sottoposti alle prove umilianti del rito di iniziazione. Accovacciati nudi per essere perquisiti ed entrare “puliti” nel nuovo mondo, spogliati degli oggetti personali, delle foto dei parenti e dei soldi.
Molti arrivano già poveri di tutto: questo fa sì che alcuni agenti ed operatori sanitari, poveri di sensibilità e di empatia, assumano un chiaro disprezzo per chi hanno di fronte, negando anche le poche cose utili all'igiene personale. Poveri sono quei detenuti, che pur avendo la fortuna di avere un lavoro o potendo disporre di un po’ di denaro, rifiutano a chi non ha le stesse possibilità una sigaretta, un capo di vestiario, o un po’ di cibo.
Ancora più poveri quelli che vedono il povero detenuto possedere delle scarpe o dei vestiti nuovi e li desiderano uguali per mostrare agli altri poveri di non essere poveri. Con cattiveria arrivano a ricattare, pretendono il baratto dell’oggetto del loro desiderio. Poveri sono quei detenuti a cui non manca nulla e si sentono di casta superiore. Arroganti con i poveri, solo perché si sentono forti, protetti da un cerchio ristretto di altri poveri come loro, esprimono giudizi classificando chi non dispone di nulla, come paria.
Alla stessa casta vengono assegnati anche i poveri malati di droga e alcool; intoccabili, portatori di infezioni e malattie. Spesso sono costretti a commercializzare, in un mercato sotterraneo, i loro medicamenti ad altri detenuti altrettanto poveri, ignoranti delle conseguenze dell'abuso di sostanze e farmaci. Poveri gli operatori sanitari che nutrono pregiudizi verso chi si presenta dinanzi a loro, prigionieri della povertà di giudizio. Scambiano la loro tranquillità con la vita del povero malato detenuto, che deve intavolare trattative per avere sollievo dal male della povertà. Poveri sono quelli che si ammalano e poveri sono quelli che li curano.
Poveri sono quelli che muoiono poveri, soli, in carcere e che vengono pianti dai loro poveri familiari. Altri poveri che abitano il carcere sono le guardie che, indipendentemente dal loro grado, non assistono. Sono solo povere guardie dentro questa grande stalla di poveri asini e somari. Non comprendono che, come “assistenti”, assumono un ruolo sociale importante. Loro, poveri per sé, poveri per le loro difficoltà personali e familiari, poveri per i massacranti turni di lavoro, poveri per quello che subiscono dai detenuti poveri, spesso, non riescono a distinguere un povero detenuto da un detenuto povero e non “assistono” il povero nel percorso di rieducazione e di riabilitazione dalla povertà. Alcune volte è proprio il povero detenuto che rieduca l'assistente povero.
Povere sono quelle figure professionali adibite alla rieducazione e riabilitazione del detenuto dalla povertà, che si sono istituzionalizzate e che spesso assumono atteggiamenti non previsti dal loro ruolo, recitando, malamente, la parte di pubblici ministeri e magistrati. Poveri i volontari, i mediatori linguistici e culturali, gli insegnanti, che vogliono solo apparire, nascondere la loro povertà e che spesso illudono e lucrano sul povero detenuto. Povero è il detenuto che non comprende l’atto che lo ha privato della libertà e che lo ha portato in questo povero luogo. Povero è il detenuto che non viene aiutato a capirlo. Povero il detenuto non ascoltato, lasciato solo, come un povero, in mezzo ad altri poveri.
Poveri sono gli uomini ricchi e ricchi sono gli uomini poveri. La povertà vive in ogni luogo e in ogni essere umano: fa soffrire, uccide, ma, spesso, insegna, dà vita, fa scoprire sé stessi e l'amore di Dio che si manifesta nel mondo. Molti sono i poveri di cuore, di sentimenti e di emozioni che vivono direttamente e indirettamente il carcere, ma molti sono i poveri che hanno un grande cuore, un animo nobile e un potente spirito, qua in carcere.

Luciano Martucci