Come un’astronave
Ripensare il mondo alla luce della sostenibilità sociale e ambientale
di Vincenzo Balzani
professore emerito, Università di Bologna
In una famosa fotografia della NASA, scattata dalla sonda spaziale Cassini quando si trovava a una distanza di 1,5 miliardi di chilometri dalla Terra, il nostro pianeta appare come un puntino blu-pallido nel buio cosmico. È molto interessante e anche istruttivo guardare le foto della Terra prese da molto lontano, perché ci si rende conto di quale sia la nostra condizione: passeggeri di una astronave che viaggia nell’infinità dell’Universo. Siamo tanti (quasi otto miliardi) e così diversi: bianchi, neri, gialli, ricchi e poveri, buoni e cattivi; ma tutti figli di Dio. Inoltre, l’astronave su cui viaggiamo è del tutto speciale: non può atterrare da nessuna parte per far rifornimento, o scaricare rifiuti e, se qualcosa non funziona, dobbiamo ripararla da soli, senza neppure scendere. Penso che si dovrebbe mostrare questa foto in cui la Terra appare come un puntino e si dovrebbe commentare questo importante concetto di Terra come astronave in tutte le scuole e, ancor più, nei corsi universitari che aprono alla carriera politica.
Recentemente sul nostro pianeta si è diffuso un virus che ha provocato una crisi sanitaria dalla quale stiamo uscendo a fatica. In attesa di combatterlo con un vaccino, ci stiamo difendendo con la sgradevole arma del distanziamento sociale.
Se “normale” non è “bello”
Man mano che la crisi si attenua, si sente sempre più frequentemente auspicare un ritorno alla “normalità”, cioè alla situazione precedente allo sviluppo della pandemia. Molti dimenticano, però, che la cosiddetta “normalità” era caratterizzata da due crisi: la crisi ecologica e la crisi sociale. Due crisi certamente non meno gravi di quella sanitaria provocata dal virus che ha causato circa 200 mila vittime in Europa e circa 35 mila in Italia. Infatti, l’inquinamento causa in Europa ogni anno circa 650 mila morti, più di 3 volte quelli provocati dal virus e, in Italia, circa 80 mila morti, più del doppio di quelli causati dal virus.
La pandemia certamente sta facendo anche molti danni sociali, ma non dobbiamo dimenticare che nella situazione di “normalità”, a cui molti dicono di voler tornare, in Italia c’erano già 5 milioni di persone in povertà assoluta e altri 9 milioni in povertà relativa.
La Terra, nell’universo, è un nulla: un piccolo pianeta del Sole, una delle centomila miliardi di miliardi di stelle che costituiscono l’universo. Nel Salmo 115 è scritto «I cieli sono i cieli del Signore, ma la terra l’ha data agli uomini». Come dice papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, della quale celebriamo il quinto anniversario, la Terra è la nostra casa comune che ci è stata data perché la coltivassimo e la custodissimo (Gen 2, 15). Già da parecchi anni, tuttavia, gli scienziati ammoniscono che non stiamo affatto custodendo il pianeta e i sociologi avvertono che le enormi disuguaglianze economiche e sociali stanno diventando insostenibili. Il “normale” modello di sviluppo, il consumismo, basato sull’usa e getta, ha instaurato una cultura dello scarto che porta al degrado ambientale e si estende alla vita delle persone.
Due crisi un problema solo
Nell’enciclica Laudato si’ papa Francesco ha scritto «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale che va affrontata con una visione unitaria dei problemi ecologici ed economici». Nella benedizione Urbi et orbi, impartita il 18 marzo in una spettrale e deserta Piazza San Pietro, il papa ha aggiunto: «Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sani in un mondo malato».
Oggi forse è l’Amazzonia la zona del pianeta dove c’è più bisogno di sviluppare «un approccio ecologico che diventi approccio sociale per integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri». La cura delle persone e degli ecosistemi sono inseparabili, per cui «la foresta amazzonica non può essere degradata a risorsa da sfruttare» (papa Francesco: Querida Amazonia).
Non ha senso tornare alla cosiddetta “normalità” anche perché sono proprio le due crisi, ecologica e sociale, che causano e propagano le pandemie. Secondo gli scienziati, infatti, il virus è passato da animali selvatici all’uomo a causa dei nostri errori nel rapporto con la Natura: degradazione dell’ambiente, cambiamento climatico, esagerata antropizzazione del suolo, perdita di biodiversità, abbattimento delle foreste, sproporzionato uso delle risorse, crescente consumo di prodotti animali, anche animali selvatici da parte dei più poveri. I virus sono in qualche modo “profughi” della distruzione ambientale causata dalla progressiva occupazione dell’uomo di tutti gli ambienti naturali. Tutto questo ci dice che dobbiamo cogliere l’uscita dalla pandemia come un’opportunità per correggere il nostro modello di sviluppo e per avviarci verso l’imprescindibile obiettivo della sostenibilità, ecologica e sociale.
Nessuno si salva da solo
La situazione pre-virus era caratterizzata dalla parola “crescita”, collegata al PIL. Nei piani di rinascita si ricomincia a parlare di crescita in modo sempre più insistente. Se consideriamo che il pianeta, l’unico luogo dove possiamo vivere, ha risorse limitate, non dovrebbe essere difficile capire che una crescita senza limite di tutte le produzioni è semplicemente impossibile.
Quindi, davanti alla parola “crescita” bisogna interrogarsi: è necessaria? è possibile? che conseguenze comporta per la salute del pianeta? che conseguenze comporta per la società? Se la crescita non rispetta l’ambiente e non riduce le disuguaglianze, che sono i due punti critici della nostra società, quella crescita non è progresso e quindi non bisogna perseguirla. Esempi: la crescita connessa all’acquisto (es. aerei Tornado) o alla vendita (es. navi militari all’Egitto) di armi non va assolutamente perseguita.
Per lasciare un pianeta vivibile alle prossime generazioni dobbiamo compiere tre transizioni: la transizione energetica dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, la transizione economica dall’economia lineare all’economia circolare e la transizione culturale dal consumismo alla sobrietà.
C’è ancora parecchio da fare, ma sappiamo bene quale è la strada per raggiungere la sostenibilità ecologica. Siamo invece molto lontani dall’obiettivo della sostenibilità sociale che richiede, anzitutto, una ridistribuzione della ricchezza. Non può esserci sostenibilità sociale in un mondo dove i duemila più ricchi posseggono più di 4,6 miliardi di persone e neppure in un paese come l’Italia dove l’1% più ricco possiede quanto il 70% della popolazione. Non può esserci sostenibilità sociale se, come scrive papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, «non ci accorgiamo più che alcuni si trascinano in una miseria degradante, mentre altri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono».
Per uscire dalle crisi ecologica e sociale sarà necessario utilizzare con cura le limitate risorse del pianeta, usare l’energia del Sole e anche sviluppare la scienza e la tecnologia nelle direzioni opportune. Ma sarà ancor più importante sfruttare le nostre preziose fonti di energia spirituale: saggezza, creatività, responsabilità, sobrietà e, soprattutto, collaborazione, amicizia e solidarietà, perché non ci si può salvare da soli.