I corridoi umanitari sono la prova che si possono garantire ingressi regolari scongiurando rischiosi “viaggi della speranza”. È un modello di solidarietà, vanto per l’Italia, come ha sottolineato anche papa Francesco a cui guardare con ammirazione: «sono la goccia che cambierà il mare». Da non dimenticare è anche il suo grande significato ecumenico.

a cura di Barbara  Bonfiglioli

 Nel corridoio un cuore c’è

Un momento alto del cammino ecumenico

 di Laura Caffagnini
giornalista

 Il 15 dicembre i Corridoi umanitari compiono cinque anni. Al 2015 risale la firma del primo Protocollo d’Intesa sottoscritto da Ministero degli Esteri e dell’Interno, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI), Tavola Valdese.

Il primo progetto per fare arrivare in sicurezza in Italia un migliaio di persone vulnerabili in due anni è stato ideato da protestanti e cattolici che mettendo in comune competenze ed esperienze ha aperto un varco là dove non si vedevano alternative ai “viaggi della speranza”, tramutati spesso in viaggi della morte. Al progetto, rinnovato nel 2017, ne sono seguiti finora altri due, anche per iniziativa della Conferenza episcopale italiana attraverso Caritas e Fondazione Migrantes. Tra i riconoscimenti ottenuti dal progetto spicca, nel 2019, il premio Nansen per i Rifugiati dell’UNHCR.

 Una famiglia

Prima a sbarcare a Fiumicino, da Beirut, il 4 febbraio 2016, è stata la famiglia Al Hourani, fuggita dalla Siria: Yasmin, Suleiman, il loro figlio di sei anni Houssein e la figlia di sette, Falak, affetta da un tumore all’occhio e bisognosa di cure immediate. Dopo di loro altre famiglie, anziani, donne sole, persone con disabilità, musulmani e cristiani, hanno potuto lasciare le condizioni precarie dei campi profughi del Libano per iniziare una nuova vita.
Ne abbiamo parlato con Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope (MH), progetto per rifugiati e migranti della Fcei.
«In Italia, ma anche in altri paesi europei, si è dimostrata la validità e la solidità di uno strumento giuridico, l’articolo 25 del Regolamento CE 810/2009 del Parlamento europeo, che istituisce il cosiddetto visto umanitario, sul quale abbiamo attivato i corridoi, strumento che tutela non solo i richiedenti asilo, ai quali offre una possibilità alternativa agli scafisti, ma anche gli italiani e il sistema dell’accoglienza italiano».
Siamo di fronte a un particolare modello: «Il migrante che arriva attraverso corridoi umanitari non solo ha un titolo legale, ma dispone anche di un progetto di integrazione nella società italiana. Riceve un’accoglienza comunitaria – con un gruppo, una comunità, una parrocchia che l’accompagna nel percorso – e finalizzata a renderlo autonomo attraverso strumenti per raggiungere l’autosostentamento. Soprattutto, è un’accoglienza motivante: il beneficiario si sente protagonista e non destinatario di un’azione di carità».

 Insieme

Oltre a rappresentare un esempio di collaborazione tra le istituzioni e l’associazionismo delle chiese, i corridoi umanitari hanno un alto valore aggiunto che è il loro carattere ecumenico. Vi lavorano insieme la Tavola e la Diaconia valdese, la Comunità di Sant’Egidio, la Caritas, una rete di parrocchie e piccole associazioni locali. «Ci sono esperimenti molto interessanti – spiega il coordinatore di MH –. A Reggio Calabria abbiamo esperienze virtuose di associazioni che, proprio perché fortemente radicate, hanno garantito opportunità importanti ai beneficiari. Altre buone pratiche si vedono nelle Marche, in Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte. In Veneto piccole associazioni hanno gestito casi difficili di minori bisognosi di trapianti con il sostegno di ospedali ed enti locali di ogni colore politico che, di fronte al caso concreto, hanno scelto di dare una mano. Abbiamo così scoperto che c’è un’Italia pronta all’accoglienza se riusciamo a uscire dalla gabbia politico-ideologica in cui il dibattito sull’immigrazione spesso si sviluppa».
I promotori sono riusciti a intercettare diversi partner attraverso il tam tam. C’è chi, avendo conosciuto il progetto, offre l’utilizzo di un appartamento, propone un corso di formazione o finanzia una terapia particolarmente costosa. «Notiamo un mutamento della percezione e dell’atteggiamento verso i migranti, in contrapposizione al chiacchiericcio volgare e dilagante a cui assistiamo. In questo senso rivendico il significato certamente politico dei corridoi, ma anche la loro dimensione non politica: è una risposta concreta e sostenibile alla sfida di gestire con realismo e sostenibilità le pressioni migratorie».

Oltre a idearlo, l’associazionismo ecclesiale cattolico e valdese ha finanziato finora tutte le fasi del progetto. Per il futuro l’auspicio è che lo Stato copra questo aspetto: «Se abbiamo individuato insieme alle istituzioni un modello virtuoso e vincente, è lo Stato che così come ha organizzato il sistema di accoglienza SIPROIMI ora, e prima lo SPRAR, può e deve farsi carico di queste procedure. Noi restiamo disponibili con il nostro know how, l’esperienza, il nostro volontariato e le risorse».

 La buona pratica che deve diventare politica

Seguendo l’esperienza italiana, sono stati attivati esperimenti anche in Francia, Belgio e Germania, e dai duemila richiedenti asilo accolti attraverso i primi due protocolli si è arrivati alla soglia di cinquemila. I promotori ora puntano a corridoi umanitari europei. «Oggi la sfida in Italia e in Europa è trasformare una buona pratica in politica, qualcosa che non è più il frutto di un’azione coraggiosa e innovativa della società civile, ma che viene da una decisione politica delle istituzioni. Questa mi pare la sfida e qui occorre trovare delle risorse. Lo diciamo anche rispetto ad altri progetti che riteniamo importanti per il Mediterraneo in questi giorni drammatici. Noi abbiamo bisogno di innovare in modo tale che le pressioni migratorie più critiche possano alleggerirsi grazie a un intervento europeo di gestione dei flussi. Il modello dei corridoi umanitari ci ha consentito di individuare un metodo che si consegna al dibattito pubblico. In questo senso abbiamo già avanzato una proposta al Parlamento europeo. Nel caso della Libia, l’urgenza di un corridoio umanitario specifico è assolutamente evidente».
Infine, Naso sottolinea la valenza spirituale e religiosa dell’intervento. «Abbiamo visto risorgere vite spente e prive di futuro che stazionavano nei campi profughi. Avere realizzato insieme questo progetto è un dono dei tempi, dello spirito ecumenico di papa Francesco, dell’attività ecumenica delle Chiese protestanti e della Comunità di Sant’Egidio. Tutti questi elementi congiunti hanno reso naturale e doveroso quello che prima sembrava impossibile. Non c’è stata nessuna fatica ad avviare ciò che tutti sentivamo di fare insieme. Da questo punto di vista credo che i corridoi umanitari siano uno dei momenti alti della ricerca e del cammino ecumenico fatto in Europa e in Italia in questi anni».

Dell’Autrice segnaliamo:
"Ecumenismo e dialogo nel post Concilio"
in “Concilio e post concilio a Parma. Vol. 1-2:
rinnovamento della Chiesa-Il cristiano nel mondo”,
a cura di Giorgio Vecchio,
Monte Università Parma Editore, 2018.