Gioisci e fa’ ciò che vuoi

Per la salute nostra e dell’ambiente, una nuova e potente medicina: la felicità

 di Michele Dotti
giornalista, collaboratore di L’Ecofuturo Magazine

 La pandemia di Covid-19 che stiamo vivendo, oltre al dramma sanitario del quale riceviamo ogni giorno notizia e a quello sociale, che è sotto gli occhi di tutti, ha generato la più grande recessione economica della storia contemporanea, per il nostro Paese così come per molti altri.

E in questo caso, vista l’interdipendenza dei mercati globali, non si può affatto dire “mal comune, mezzo gaudio”.

 Il quadro economico

Nei primi sei mesi del 2020 il PIL italiano è crollato del 12% circa rispetto all’anno prima, quasi il doppio di quanto avvenuto nel primo semestre del 2009 al culmine della crisi finanziaria globale.
La zona euro nell’insieme ha visto il suo PIL contrarsi del 12,1% in primavera, secondo Eurostat. La Germania ha visto un calo deciso del 9,7% nel secondo trimestre, il PIL francese è precipitato del 13,8% in primavera; peggio ancora il Regno Unito, con un calo del 20,4% nel secondo trimestre.
E purtroppo anche fuori del “vecchio Continente” le cose non stanno tanto meglio. Gli Stati Uniti hanno registrato una contrazione del 9,5% nel secondo trimestre, secondo i dati OCSE. L’Australia ha visto il suo PIL scendere del 7% nel secondo trimestre. Il Brasile ha registrato un crollo del 9,7% tra aprile e giugno. L’India ha annunciato un calo record del 23,9% e la Russia nel secondo trimestre ha subito una contrazione dell’8,5% su base annua, secondo l’Istituto di statistica Rosstat.
La Cina è l’unica riuscita a evitare la recessione, contenendo l’epidemia: nel secondo trimestre è cresciuta del 3,2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A causa del Covid, però, il Pil cinese aveva registrato un -6,8% nel primo trimestre: un crollo dal quale il gigante asiatico sta provando a riprendersi.
Questa terribile recessione si è riversata ovviamente anche sul piano dell’occupazione: nel nostro Paese tra dicembre e giugno, il numero degli occupati è calato di 559 mila unità e il numero di ore lavorate in media alla settimana è diminuito da 34,3 a 30,6, dopo essere sceso sotto le 23 ore durante il periodo del lockdown.
Gli effetti della pandemia sono stati pesanti e diffusi, ma non uguali per tutti: l’occupazione si è ridotta del 7,1% tra i giovani, del 2,5% tra i lavoratori di età compresa tra i 35 e i 49 anni, è leggermente aumentata tra quelli con 50 e più anni. Il calo ha interessato più le donne degli uomini.

 Clima e biodiversità

Ci ripetono che con la pandemia tutto è cambiato e difficilmente tornerà ad essere come prima. Risulta allora fondamentale comprendere quali processi si stanno sviluppando, quali rischi questi prospettino ma anche quali opportunità potrebbero aprire.
È prevedibile immaginare che acceleri il ricorso alle tecnologie digitali, che si è rivelato essenziale per attenuare gli effetti negativi della pandemia. Ma non sarà questo, per quanto importante, il cuore del cambiamento nel medio e lungo periodo, quando emergeranno sempre più nitide le due grandi sfide del nostro tempo che - a differenza del Coronavirus - non ci lasceranno affatto nel giro di un anno o due.
Le più recenti ricerche scientifiche hanno dimostrato come l’aumentata presenza di virus sia strettamente legata alla perdita di biodiversità, specialmente nelle foreste primarie. La diversità funzionale e la complessità rappresentate da questi enormi tratti di terra sono state semplificate in modo tale che agenti patogeni precedentemente inscatolati in serbatoi ecologici in equilibrio si riversano nel bestiame locale e nelle comunità umane. Di conseguenza, molti di questi nuovi agenti patogeni, precedentemente controllati da ecologie forestali a lunga evoluzione, vengono liberati, minacciando tutto il mondo. Coloro che studiano le malattie infettive hanno a lungo affermato che non si tratta di capire se, ma quando ci colpirà un nuovo virus. Dall’influenza suina alla SARS, ogni cinque anni circa ci chiediamo quante saranno le prossime vittime.
La perdita di biodiversità diventa allora uno dei due temi fondamentali per il futuro dell’umanità sulla terra, insieme alla grande sfida del cambiamento climatico; due sfide che dovremo affrontare con grande determinazione a tutti i livelli e in tempi brevissimi. Possono sembrare sfide più grandi di noi, fuori dalla nostra portata. Ma forse così non è. O per meglio dire, forse non ancora.

 Tra decrescita e felicità

Durante il periodo della quarantena ci siamo resi conto tutti di una cosa: di quanto fosse pesante l’impatto delle attività umane sull’ambiente: quando noi ci siamo fermati, la natura è tornata a respirare, l’aria è diventata più pulita, l’acqua più limpida sia nei fiumi che nei mari, abbiamo ricominciato tutti a sentire profumi e persino suoni che avevamo dimenticato.
Dobbiamo pensare che noi potremmo avere sempre questi benefici, senza però tutti i sacrifici che la pandemia ci ha portato. Abbiamo infatti le eco-tecnologie in tutti gli ambiti (abitare, mobilità, energia…) che possono liberarci dall’inquinamento, migliorare la nostra salute e al contempo rilanciare l’economia e l’occupazione, cosa di cui avremo un immenso bisogno nei prossimi mesi e anni.
E in un certo senso questo sta già avvenendo: grazie alla pandemia si sono accorciate enormemente le filiere, sia nei viaggi (pensate alla riscoperta dell’Italia durante le vacanze estive) che nello spostamento di merci (con una rapida crescita dei mercati rionali, del km zero e anche dell’autoproduzione). Tutto questo non ha solo un impatto positivo sulla natura e sull’economia reale dei territori, ma ha portato molti a una preziosa e significativa riscoperta delle relazioni che in parte si erano perse nella distribuzione industriale di merci, così come di viaggi.
Considero sicuramente preziosa l’elaborazione teorica e la diffusione di esperienze pratiche ispirate alla filosofia della cosiddetta “decrescita felice”. Lungi dalla recessione, che potremmo definire una “decrescita infelice” che colpisce in modo indistinto e lineare, la visione della decrescita felice punta infatti a ridurre con scelte consapevoli solo ciò che comporta danni a livello sociale o ambientale. Le rinnovabili, per intenderci, possono crescere, il carbone invece no.
Io penso però che la decrescita possa essere più una conseguenza che una causa della felicità. Se coltiviamo la qualità delle relazioni e il benessere che queste possono offrire, creando occasioni di incontro e socialità, vedremo naturalmente diminuire tutti quegli acquisti inutili e spesso assurdi che puntano a riempire - senza alcuna speranza - con dei beni materiali quel vuoto interiore, immateriale, che esprime una sete di relazioni e di affetti.

In tal senso io penso che la felicità possa portare alla decrescita, dando così un contributo prezioso alle due sfide ambientali sopra accennate: clima e biodiversità. Oltre che alla qualità delle nostre vite e alla salute.