Compro dunque sono

Per molti giovani il denaro è l’unico mezzo per potersi affermare ed essere felice

 di Sergio Di Benedetto
dramaturgo e direttore artistico di Compagnia Exire

 Un ragazzo a petto nudo mentre versa dei cereali in una tazza, con la fidanzata di spalle, in intimo, dell’erba in primo piano e un rotolo di banconote, vicino a una costosa borsa da donna.

Questa è stata, qualche mese fa, la fotografia di una colazione “normale” di un noto rapper italiano, pubblicata su Instagram, il social più frequentato dagli under trenta.
Se ne è parlato, a torto o a ragione, per qualche giorno. Io ho provato, una mattina, in classe, a chiedere ad alcuni sedicenni che cosa leggevano in quell’immagine. Quasi tutti, in fondo, vedevano l’esaltazione della potenza di un giovane uomo, che voleva dichiarare apertamente che nella sua quotidianità poteva avere tutto. In particolare, i miei studenti notavano i soldi: perché è il mezzo - dicevano - con cui puoi procurarti il resto. Ora, non tutti condividevano quello stile di vita esasperato, sbandierato come vincente: in fondo solo una manciata di loro, con grande onestà e ironia, dichiaravano che sì, quella vita era invidiabile.
Pochi giorni dopo ho incontrato un diciottenne, che avevo seguito un paio d’anni in un corso di teatro: voleva parlarmi della scelta dell’università. È un ragazzo molto intelligente, appassionato di poesia, sensibile all’arte, per cui mi attendevo una scelta coerente con i suoi interessi. Invece mi ha comunicato che, nonostante i suoi dubbi, aveva scelto una facoltà scientifica perché «con le materie umanistiche non si campa, mentre con una laurea in ingegneria guadagni bene».

 I giovani ci guardano

Potremmo partire da questi due episodi, apparentemente staccati, per capire quale sia il rapporto che oggi i giovani hanno con il denaro. È chiaro che per moltissimi di loro il denaro non è solo un mezzo, ma è il mezzo per una vita felice, tanto esclusivo da diventare un obiettivo: se i soldi sono da cercare perché unico canale per diventare felici, allora è chiaro che tutto è subordinato a quello.
Senza fare facili pauperismi e inutili moralismi, dovremmo avere coscienza di tutto ciò per capire cosa agita molti ragazzi e molte ragazze delle nostre città e per cercare di comprendere cosa si celi dietro recenti casi di cronaca: la volontà di dominio, il voler a ogni costo apparire come forti e capaci di tutto per affermare se stessi, l’ostentare una bellezza fisica curata e costruita, il mettere in mostra ciò che sigilla la forza anche a livello economico (l’auto, la moto, la villa, la piscina). Tutti questi caratteri presuppongono il denaro come leva: solo potendo comprare, posso apparire e quindi essere. I modelli, a cui soprattutto gli adolescenti si ispirano, tendono a ripetere meccanicamente questi cliché, dove l’esaltazione del potere e la soddisfazione immediata del desiderio, senza dilazione, diventano stile di vita generazionale.
Non saremmo onesti, però, se non riconoscessimo che questa tendenza non è certo frutto del XXI secolo, ma è l’ultima e forse la meno ipocrita manifestazione di un modo di vivere consumistico che ha radici ben più lontane. Dobbiamo ammettere che quei modelli che scorrono sui social i giovani se li ritrovano, fatte le debite proporzioni, anche nelle case. È questo l’acquario in cui molti ragazzi nuotano fin da piccoli. Se le auto di lusso, le vacanze sfarzose, gli abiti costosi sono obiettivi dei genitori, perché non dovrebbero esserlo dei figli? I giovani sono così perché così sono stati educati. Vale sempre la massima antica: i bambini ci guardano. E se le persone a loro più vicine si comportano in un certo modo, è inevitabile che quel modo venga interiorizzato. È un passaggio banale, ma fondamentale: fino a quando non incontrano un altro tipo di adulto, ammesso che lo incontrino, i ragazzi hanno spesso come riferimento vicino (la famiglia) o lontano (il rapper, il calciatore, eccetera) chi fa del denaro il fine. Come possiamo pretendere, dunque, che essi maturino un altro orientamento, un’altra sensibilità, più rispettosa di sé e dell’altro, più libera e più umana? Possiamo esigere che persone immerse fin da piccole nel sistema di un consumismo esasperato possano avere, nell’età della crescita, la forza per mettere in discussione da soli il messaggio a cui sono sottoposti?

 Qualche speranza

Ma allora i giovani sono tutti così? No, certo. Molti, lo sappiamo, dedicano del tempo libero al volontariato; molti scelgono professioni per passione, non solo per denaro. Non è mai corretto generalizzare, ma è sempre utile cogliere tendenze che sembrano maggioritarie. Peraltro, la felicità stessa è un mantra; bandite le tristezze e le fatiche, i fallimenti e le difficoltà, annullate la pazienza e l’attesa, viviamo in un contesto in cui regna l’equazione “comprare subito = essere felici subito”, salvo però un crescente senso di frustrazione, perché quell’equazione non può mai venire soddisfatta: comprare all’infinito per essere felici non funziona, perché l’uomo è limitato e finito. Da qui allora i disagi, i drammi, le insoddisfazioni che abitano molte vite giovanili. Quale futuro allora? Quali speranze perché si possano avere vite più organiche, più unificate, non lacerate da continui desideri senza soddisfazione?
Anche qui, due esempi. Dopo la grande serrata di primavera incontro uno studente di ingegneria meccanica. Mi parla dei suoi corsi di laurea, della sua passione per i motori. Gli domando dove vorrebbe andare a lavorare in futuro, in quale grande azienda di motori. La risposta mi disarma: «Non so se voglio andare in azienda. Sto pensando che mi piacerebbe insegnare fisica. Ho avuto dei professori che mi hanno affascinato: forse mi piacerebbe essere come loro. So che lo stipendio è basso, ma in questi mesi ho capito che non contano solo i soldi. Insomma, in classe ci si diverte».
Il secondo episodio: lo stesso ragazzo di prima, appassionato di poesia, qualche settimana fa, mi racconta che inizierà i corsi di matematica. Pure lui, però, sta pensando che gli piacerebbe insegnare. E i guadagni? «Ma, nei mesi della didattica a distanza ho visto che le relazioni sono più importanti dei soldi e in classe puoi veramente essere utile agli altri». Lo provoco: «Stai dicendo che puoi fare la differenza nella vita di qualcuno?». «Sì, dico questo, e mi pare più importante dello stipendio».

 Benedetto sassolino!

Non so se davvero in futuro me li ritroverò come colleghi. Però è interessante quello che è accaduto: la crisi causata dal virus è stata un sassolino messo nell’ingranaggio di un consumismo esasperato. L’incontro con adulti che hanno fatto scelte di senso, anche se economicamente poco redditizie (bisogna anche dire che i giovani in questione hanno famiglie attente agli altri), un sistema economico che mostra la sua fragilità, la mancanza improvvisa di ciò che è dato per scontato (la relazione) hanno messo in discussione le loro certezze e li ha aperti ad altro.

Ecco, credo che davvero il nostro compito, umilmente, sia avere fiducia: possono accadere fatti (anche dolorosi) che smascherano l’inganno e mostrano l’uomo. A noi forse è chiesto “solo” di provare ad essere adulti diversi e credibili.