Quasi dieci milioni di persone coinvolte in un’esperienza di fede presente in 36 paesi, distribuiti nei cinque continenti. In Italia almeno 130 gruppi, sparsi da Trieste a Mazara del Vallo. Una forma pastorale che è nata quasi 4 secoli fa, ma che oggi sembra abbia ripreso una straordinaria vitalità. L’adorazione eucaristica perpetua. Ma è tutto oro quello che luccica?

di Gilberto Borghi

È bellissimo perdersi in quest’incantesimo

La priorità cambiata: dal pensare al sentire

 Non fu per caso

«Scoprii l’adorazione eucaristica tre anni fa “per caso”, avrei detto allora. Lavoravo in centro e durante la pausa pranzo non avevo tempo di rientrare a casa.

Allora a volte stavo in un bar o in biblioteca o facevo una passeggiata. In una di queste mi trovai davanti alla chiesa del SS. Salvatore, sempre aperta. Quando entrai la prima volta erano appena passate le ore 13. A quel tempo non sapevo neanche cosa fosse l’adorazione eucaristica. Mi misi a guardare verso l’altare dove era esposta l’ostia divina e piano piano entrò in me una grande pace e serenità. Così presi a frequentare quella chiesa quasi tutti i giorni e ogni volta rimanevo affascinata dalla quiete che entrava in me, soprattutto nella mia mente. Guardavo quell’ostia e restavo come incantata in ascolto. Un’esperienza nuova per me, questo ascolto silenzioso. Entravo con la testa piena di pensieri e preoccupazioni e ne uscivo leggera e serena. Da allora sono trascorsi due anni di presenza consapevole davanti al Signore e tanti cambiamenti sono avvenuti nella mia vita esteriori ed interiori. Diventare adoratrice per me ha significato prendere seriamente in considerazione il contatto personale con Gesù. Credere che Lui è davvero qui, mi riempie di gioia e aspetto il mio appuntamento con lui con grande desiderio. Lui mi accoglie così come sono, lui mi ama sempre con tutte le mie imperfezioni, le mie ansie, lui mi aiuta a superare le mie difficoltà. Ed io sto imparando ad amarlo, io voglio amarlo così come lui stesso mi sta insegnando. Ma quello che non finisce ancora di sorprendermi sono i frutti che raccolgo, durante la settimana: gli incontri. Sì, gli incontri con le persone hanno una diversa qualità, che mi porta a vivere le relazioni in un modo più autentico e con maggiore umanità».
È solo una delle tante testimonianze che si trovano sul sito www.adorazioneperpetua.it, che da qualche anno fa da riferimento on line di tutte le esperienze di questo tipo presenti in Italia e nel mondo. In Italia raccoglie circa 130 gruppi stabili, che attraversano tutta la penisola da Trieste a Mazara del Vallo. Nel mondo la Federazione raggruppa circa due milioni di persone che organizzano le attività e quasi 10 milioni che vi partecipano, ed è presente in 36 Paesi. Oggi, in tutto il mondo, i gruppi di adorazione perpetua sono organizzati in modo da garantire la presenza di una o due persone adoratrici, h24 7/7. Circa 300-400 persone per gruppo, ognuna delle quali garantisce la copertura di un’ora alla settimana.

 La presenza più vera

Recentemente papa Francesco ha detto: «Vorrei che ci ponessimo tutti una domanda: Tu, io, adoriamo il Signore? Andiamo da Dio solo per chiedere, per ringraziare, o andiamo da Lui anche per adorarlo? Che cosa vuol dire allora adorare Dio? Significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte. Ognuno di noi, nella propria vita, in modo consapevole e forse a volte senza rendersene conto, ha un ben preciso ordine delle cose ritenute più o meno importanti. Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non però semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia».
Indubbiamente oggi, anche per la situazione estremamente “anomala” generata dal Covid-19, la necessità di un contatto diretto e “corporeo” con Gesù, che rassicuri e protegga, è una esigenza fortemente avvertita, nella Chiesa e fuori di essa. Ma già da qualche anno, in molte esperienze di fede che hanno cercato di trovare vie nuove per rendersi “attraenti” agli occhi delle persone post-moderne, la dimensione sensoriale della fede è balzata in primo piano, proprio perché nella post-modernità il sentire diviene più importante del pensare. Ed è evidente che l’adorazione è la forma che più risponde a questa esigenza, avendo chiarissimo che lì c’è la presenza reale di Cristo.
In questo modo oggi si cerca di riportare al centro di queste esperienze pastorali l’essenza della fede: il rapporto personale, reale, diretto tra l’uomo e Dio. Di ciò infatti ha bisogno la pastorale attuale per ritornare ad essere capaci di far risplendere la bellezza di Cristo. Il contagio diretto della Sua presenza è perciò divenuto uno dei luoghi essenziali affinché, oggi, la nuova evangelizzazione non si riduca solo alla ricerca di nuovi linguaggi o strategie comunicative. 

 L’equilibrio delle tre forme

Ma come ci ricorda LG [Lumen Gaudium] 7, le forme della presenza reale di Cristo sono molteplici, non solo quella legata al pane eucaristico. Tra queste ci sono anche la proclamazione della Parola di Dio e l’incontro con il povero. Ed è proprio su questo aspetto che queste esperienze di adorazione perpetua, al di là della potenzialità pastorale indubbia, mostrano un rischio: la difficoltà di collegare queste tipo di “percezione” di Cristo, con le altre forme di presenze reali. Ciò che colpisce è che, spesso, chi partecipa a questo tipo di esperienza pastorale fatica a riconoscere il medesimo grado di importanza anche alla lettura e meditazione della Bibbia e soprattutto al servizio ai poveri.
Se queste tre forme essenziali di incontro con Cristo non restano in equilibrio tra loro si rischiano tendenze miracoliste e integraliste, in cui tutto viene risolto nella potenza del Cristo eucarestia. Si rischia di ritenere che gli effetti di benessere della preghiera rendano inutile gli strumenti della psicologia. O che la preghiera sostituisca la medicina nelle guarigioni. O che la forza di conversione di un sacramento agisca indipendentemente dalla volontà umana di chi lo riceve. Ma ancora, che il governo della società umana vada rimesso direttamente nelle mani di Dio; che le regole etiche di Dio debbano sostituire quelle che l’uomo può individuare con le sue sole forze e che la ricerca umana della verità vada soppiantata e debba lasciare il posto solo alla verità rivelata.
Invece il cristianesimo continua a pensare che l’umano sia davvero luogo della presenza di Dio, senza sostituirsi a lui. La forza dell’adorazione eucaristica sta proprio qui: non sostituisce il lavoro che noi umanamente dobbiamo fare su noi stessi per essere più fedeli a Dio e noi stessi, ma ci fa percepire e credere che questo lavoro sia possibile anche stando dentro ai limiti, alle potenzialità e agli strumenti che l’umano oggi conosce.

Se lo dimentichiamo, costruiamo ancora una volta corti circuiti in cui l’umano e divino non si possono più riconoscere reciprocamente, perché umano e divino si danno o si perdono insieme.