«Ho capito che non sempre il tempo cura le ferite / Che sono sempre meno le persone amiche / Che non esiste resa senza pentimento / Che quello che mi aspetto è solo quello che pretendo / E ho imparato ad accettare che gli affetti tradiscono / Che gli amori anche i più grandi poi finiscono / Che non c’è niente di sbagliato in un perdono / Che se non sbaglio non capisco io chi sono / Che ognuno ha la sua parte in questa grande scena / Ognuno ha i suoi diritti / Ognuno ha la sua schiena / Per sopportare il peso di ogni scelta / Il peso di ogni passo / Il peso del coraggio» (Fiorella Mannoia)

a cura della Redazione di “Ne vale la pena”

 Il coraggio di essere donna

Quando le difficoltà non ci impediscono di essere chi siamo

DIETRO LE SBARRE

 Se comincia la caccia la strega sei tu

 Quando ci chiediamo cosa sono l'amore e il dolore, è come parlare delle differenze fra l'uomo e la donna.

Nonostante abbiano vinto una lotta per la parità dei diritti, ancora oggi le donne subiscono violenza. Una violenza non solo fisica, ma anche psicologica e morale. E questo vale anche nel trattamento giudiziario. Il principio di uguaglianza è uno dei principi cardine della nostra Costituzione. L’art. 3, comma 1, sancisce che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali». Un furto commesso da una donna, ad esempio, è spesso giudicato con maggiore severità. Ho visto mamme nomadi vivere in carcere con i loro figli, perché erano state mandate a rubare dai mariti. Le ho viste capaci di trasformare il dolore in coraggio, proprio per i loro bambini; ho visto madri vivere in carcere lontane dai loro figli, vittime delle circostanze della vita, e costrette a rubare per vivere.
Io stessa sento di avere subito, nella mia vicenda giudiziaria, la discriminazione che si riserva alle donne che si trovano coinvolte in vicende che normalmente vedono coinvolti gli uomini; ho sentito il peso del giudizio sulla mia persona, ben oltre i fatti emersi nel processo.

 Percorso autobiografico

Vivo da otto anni in una realtà che non mi appartiene: mi trovo in carcere con l’accusa di essere la mandante dell’omicidio di mio marito. La mia storia con lui è durata 27 anni, in cui ho subito maltrattamenti e ho dovuto affrontare conflitti profondi. Di mentalità meridionale, ho sempre cercato di salvare il mio matrimonio, nonostante il dolore e le insostenibili difficoltà.
E quando ho deciso di separarmi, nel 2012, ho incontrato un uomo, di cui mi fidavo: ma quello per me, purtroppo, è stato l’inizio della fine. È un dolore sempre vivo, che mi accompagna ogni giornata. Ancora oggi combatto per avere giustizia, ma, nel frattempo, cerco di trascorrere le mie giornate lavorando e studiando; ho anche scritto un libro di poesie. Con coraggio ho partecipato ad una puntata televisiva che ripercorre il mio calvario, con la speranza che il mio caso possa essere riaperto.
Non prendo antidepressivi e non sono una tossicodipendente: ero una guardia giurata armata, ero una donna con i piedi per terra, eppure le difficoltà della vita mi hanno travolta, e adesso sono qui. Sono stata condannata a 21 anni e 2 mesi.
Oggi sono qui a combattere con coraggio tra il dolore dei ricordi del mio passato e la mia vita del presente. Il coraggio viene attraverso l’esperienza, mentre il dolore scaturisce quando mi guardo dentro, ascolto la mia coscienza che voglio mantenere limpida. Il coraggio è combattere una battaglia di giustizia ; è vivere in carcere con razze e abitudini diverse; è affrontare il carcere con la consapevolezza che pur essendo sola posso rimboccarmi le maniche e ricominciare; è vivere anche se sei stata madre per un solo istante; è continuare a vivere anche nei momenti difficili.

Sonia Maria Bracciale

 Sardegna

Forse il titolo migliore potrebbe essere “il coraggio di essere donna e di mantenersi donna” con le sue caratteristiche fondamentali, in una nuova situazione di vita e di pensiero sociale. Il pensiero - non so perché - mi è andato subito a Grazia Maria Cosima Damiana Deledda primo Premio Nobel italiano, che ha saputo superare i blocchi che una donna incontrava in quel periodo. Il solo nome lo dimostra: chiamarsi Grazia Maria Cosima Damiana vuol dire già non appartenere a sé stessi, ma dovere assomigliare a quella nonna che si chiamava in quel modo, a quello zio che era da poco morto e non so a chi altro.
Una donna intelligente poteva avere la fortuna di studiare fin alla terza o alla quarta e poi doveva studiare “da mamma” e “da sposa”. Grazia aveva avuto la fortuna di essere nata in una famiglia bene che le aveva fornito una chance in più, affidandola a un insegnante privato che ha potuto dotarla delle basi di italiano, latino e francese, ma ha dovuto far da sola il resto, fino ad arrivare a ricevere il Premio Nobel per la letteratura. Come donna lei non poteva frequentare la scuola.

 Africa

Ancora oggi in Africa c’è questa situazione: le donne sono fatte per essere madri e mogli e non hanno il diritto di studiare. Chi vuole studiare deve trovarsi un “protettore” che diventi per lei il ministro delle finanze, ma in cambio… Eppure, in Africa chi fa andare avanti la produzione e l’economia familiare sono proprio le donne.
Anche in Italia la situazione per le donne è penalizzante. Abbiamo conquistato il diritto di accedere a tutti i ruoli. Ci teniamo a mostrare che abbiamo donne astronauta, donne che pilotano aerei, ecc. Culturalmente non ci sono più ruoli maschili e femminili. Ormai le suffragette sono un lontano ricordo, ma perché allora stiamo tornando indietro nei diritti che erano praticamente acquisiti? Nessuno si meraviglia più, né si straccia le vesti se, per lo stesso lavoro, lo stesso compito, le stesse ore, la donna riceve un salario mediamente inferiore rispetto al suo collega uomo.
Se hai il coraggio di metterti in politica, quella vera, devi sempre, ogni giorno di nuovo, dimostrare che vali, che certe manovre le vedi, che tu non ci stai e devi diventare un mastino se vuoi mantenere le tue posizioni; ma essere mastino non è nella tua indole, tu non vuoi violenza, sei lì perché ami il tuo popolo, vuoi il bene comune… E invece ti trovi a lottare per il potere, a sperperare risorse ed energie perché vuoi dimostrare che non stai al gioco. Non raramente ti trovi in mezzo a giochi sporchi tipo “Cerchiamo chi è l’amante di”. Quante donne ho visto alla fine assumere atteggiamenti maschili per affermarsi! E il banale commento che ne segue è: “quella donna ha le palle”.
Il coraggio di un una donna è proprio quello di non arrendersi mai dinnanzi a qualsivoglia ostacolo.

 Dozza, eppur donne

Questo è quello che mi è venuto alla mente e al cuore anche quando sono entrata come volontaria nel settore femminile del carcere della Dozza. Ho guardato quelle figure, quei volti così diversi per razza, lingua, cultura, storie, eppure così simili. Visi disfatti, eppur dolci, visi sofferenti, eppur premurose le une verso le altre. Atteggiamenti comprensivi pur di fronte a manifestazioni oggettivamente fuori luogo. Tutte mamme di quei due bambini che stavano facendo l’esperienza del carcere con la mamma, pronte ad asciugare le lacrime di chi nella preghiera si ricordava dei figli che aveva lasciato a casa. Giovanissime e vecchie insieme, nessuna differenza, l’atteggiamento era lo stesso. Non conoscevo e non conosco le storie di tutte e di ognuna ma, comunque, ho potuto ancora riconoscere in loro l’essere donna, a volte un po’ perse nelle conseguenze di uno sballo o di uno sbilanciamento psichico, ma sempre pronte ad accogliere, a comprendere e a sostenere.

Mariolina, missionaria in Mozambico per 40 anni, oggi “missionaria” alla Dozza