Contro la minestra unitevi!

Mafalda ci insegna l’importanza delle domande per sfuggire alla mediocrità

 di Stefano Piani
sceneggiatore

 «In ogni suo libro, da anni, Quino ci sta dimostrando che i bambini sono depositari della saggezza.

Quello che è triste per il mondo è che man mano che crescono perdono l’uso della ragione e, diventati adulti miserevoli, non affogano in un bicchier d’acqua, ma in un piatto di minestra. Verificare questo in ogni suo libro è la cosa che assomiglia di più alla felicità: la Quinoterapia». (Gabriel Garcia Marquez)
«Se ho usato, per definire Mafalda, l’aggettivo di “contestataria”, non è per uniformarmi alla moda dell’anticonformismo a tutti i costi: Mafalda è veramente una eroina arrabbiata, che rifiuta il mondo così com’è. Una sola cosa sa con chiarezza: non è contenta». (Umberto Eco)
Jacqueline Pascal, sorella di Blaise, racconta che, fin da bambino, suo fratello faceva «continue domande sulla natura delle cose, che lasciavano tutti stupiti». L’educazione del piccolo era gestita direttamente dal padre Étienne «che ragionava con lui di tutte le cose di cui lo vedesse capace».
«Mio fratello si appassionava molto a quelle conversazioni», scrive Jacqueline, «ma voleva sapere la ragione di tutte le cose; e siccome non si sanno tutte, quando mio padre non gliela diceva, oppure gli rispondeva con le solite spiegazioni che propriamente parlando sono scappatoie, non si contentava. Fin dall’infanzia si convinceva solamente a ciò che gli appariva vero con evidenza; e quando non gli venivano date chiare spiegazioni le cercava da sé».
Un metodo, questo di fare domande e poi, non ottenendo risposte convincenti, andare a cercarsi la verità da soli, che verrà messo in pratica, circa 350 anni più tardi, anche da un altro filosofo in erba, anzi una filosofa. Mafalda.

 

Vita, morte e miracoli

È il 1963 quando a Joaquim Lavado, in arte Quino, un giovane disegnatore di fumetti argentino, viene commissionata una striscia umoristica per lanciare la linea di nuovi elettrodomestici della Mansfield. La richiesta è quella di creare una famiglia da usare come testimonial. Quino disegna otto strisce, ma poi, come accade spesso, l’intero progetto salta.
A salvare Mafalda, la sua famiglia e i suoi amici da un possibile e tragico oblio, è Julian Delgado il direttore di Primera Plana che, l’anno seguente, chiede proprio a Quino una nuova striscia per il suo settimanale. L’autore riprende in mano i personaggi pensati per la campagna della Mansfield e il 29 settembre 1964, pubblica su Primera Plana la prima striscia di Mafalda. Che, ovviamente, inizia con una domanda della protagonista a suo padre:
«Tu sei un buon padre?», chiede.
«Ma… credo di sì»
«Ma sei il papà più più più buono di tutti i papà del mondo?»
«Beh… non saprei. Forse c’è qualche papà più buono»
Al che, Mafalda, andandosene via arrabbiata, chiosa: «Mi pareva».
Quino continuerà a pubblicare una striscia di Mafalda al giorno, fino al 25 giugno 1973, quando ne interromperà la produzione per non riprenderla mai più.
«Cominciavo a stufarmi di quel carcere della striscia sempre con gli stessi personaggi, sentivo che stavo perdendo la mia libertà di disegnatore», dichiarerà qualche anno più tardi in un’intervista. «Per di più la situazione in Argentina stava diventando pesante: iniziava la guerriglia, la gente cominciava a sparire. Queste cose Mafalda non poteva certo nascondersele, ma non avrebbe neanche potuto dirle sui giornali. Mi sembrò più giusto lasciarla così e non andare avanti a fare uno di quei fumetti che uno continua a leggere per abitudine, ma che in fondo non interessano più a nessuno».
Poi, ancora: «Io non me la sento di dire che Mafalda è morta. Direi che è in ibernazione. Forse non apparirà mai più, è vero, ma io non direi che è morta».

 

Domando dunque sono

Ma chi è Mafalda? È una bambina con una enorme testa piena di capelli neri, domati a stento da un grosso fiocco rosso. Ha sei anni e fa un sacco di domande, di quelle in grado di mettere in crisi chiunque. Le pone soprattutto ai suoi genitori, costretti a ricorrere spesso e volentieri all’ormai mitico Nervocalm per non soccombere alla curiosità della figlia… o essere costretti a cercare risposte non di facciata a quelle stesse domande.
Mafalda è una bambina sincera. Non è pessimista come potrebbe sembrare a prima vista: è solo realista. Ama gli esseri umani anche se, spesso, non li capisce. Non è cinica e, a suo modo, è una sognatrice. Se non fosse una sognatrice, del resto, certe domande proprio non se (e ce) le porrebbe.
Con i suoi genitori ha un rapporto conflittuale: gli rimprovera di avere perso la capacità di ragionare come bambini.
C’è una striscia in cui Nando, il suo fratellino, sta per prendere un vaso da un mobile. Mafalda lo ferma e lo sgrida: «Questo non si tocca», dice, «è delicato, è di cristallo e si può rompere e costa molto caro e…». Poi, rendendosi conto di quello che sta dicendo, si blocca e dice, con una smorfia di disgusto: «Dio mio, che adultità!».
Sì, disgusto, perché non c’è niente di peggio dell’adultità per chi, come lei, prova orrore all’idea di diventare uguale ai suoi genitori. L’adultità si palesa anche ogni volta che sua madre o suo padre vogliono farle mangiare la minestra. Ed è proprio dalla minestra, che Mafalda odia e che Quino eleva a metafora «di tutto quello che si vuole imporre con la forza, delle cose alle quali vuole costringerti il potere, di ciò che viene imposto a un bambino, a un cittadino e a un popolo», che trae origine la domanda più importante, quella che racchiude tutte le altre:
«Perché devo mangiare la minestra?»
E a nulla valgono le risposte, facilmente rintuzzate da Mafalda, che si susseguono negli anni.
«Perché così diventerai grande come me e la mamma»
«Così, oltre alla minestra, anche questo».

 Come nascono le rivoluzioni

Perché non esiste, e Mafalda lo sa bene, un motivo per cui un bambino debba mangiare la minestra.
A fare le domande, è sempre e solo lei, Mafalda: non i suoi genitori, imprigionati in una rispettabile vita piccolo-borghese da cui, come detto, le domande, così come le risposte non banali, sono state abolite, ma nemmeno gli altri bambini che sembrano guardare più al mondo degli adulti che a quello dell’infanzia. Ed ecco allora Manolito che pensa come il droghiere che diventerà un giorno o Susanita che, malgrado i suoi sei anni, ragiona già da moglie e da madre.
C’è un’altra striscia, una delle mie preferite, in cui Mafalda chiede al padre:
«Posso farti una domanda?»
«No!», risponde lui, aggressivo: «Le tue domande portano sempre dei problemi! Le conosco bene io!»
«Calma, calma, come non detto», risponde Mafalda spaventata da tanta irruenza. Poi, andandosene, chiosa: «Ti rimarrà il dubbio di che cosa volevo domandarti!».
«Meglio così», risponde il padre, secco.
Ma poi, la notte, nella quarta vignetta, eccolo lì l’adulto, in pigiama, avvicinarsi al letto della figlia per chiederle: «Mafaldita… cosa fai dormi?»
La minestra, quindi, ma anche l’odio, il razzismo, la guerra, l’ecologia, la fame nel mondo, i diritti civili, per arrivare fino al senso stesso della vita: Mafalda non si ferma davanti a nulla e continua a macinare domande su domande.
E non è certo la mancanza di risposta a fermarla perché, come ha scritto acutamente Marcello Bernardi: «È proprio dalle domande senza risposta che nascono le grandi rivoluzioni».