#Iorestoacasa, ma imparo qualcosa

di Dino Dozzi
Direttore di MC

Questo tempo di coronavirus è (stato) anche l’occasione per prendere coscienza della nostra fragilità: basta un piccolo virus, nato chissà come e chissà dove, per mandare in tilt l’economia mondiale, per far chiudere in casa centinaia di milioni di persone, per immettere nel sangue dell’umanità intera la paura del contagio e della morte. Siamo in grado di andare sulla luna e su Marte, ma siamo fragili e indifesi di fronte a un miserabile virus. Tutti, dai poveri delle baraccopoli africane ai magnati della politica e della finanza. Non bastano i miliardi di dollari in banca, non bastano i muri tra uno stato e l’altro, non bastano i respingimenti di ogni tipo, non bastano le sofisticatissime medicine delle nostre farmacie: i piccolissimi virus possono ugualmente raggiungerci tutti.
Che non convenga far gioco di squadra tutti per il bene di tutti? Prendere tutti coscienza della nostra vulnerabilità e constatare la necessità di fare rete: potrebbero forse bastare questi due effetti collaterali del coronavirus per concludere che non tutti i mali vengono per nuocere e che comunque in ogni circostanza, positiva o negativa, siamo chiamati ad imparare qualcosa. Persino un po’ di “digiuno eucaristico” può aiutarci a purificare le nostre abitudini sacre; e anche il ritrovarci in famiglia per un momento di preghiera comune può essere provvidenziale.
Ormai da 75 anni fortunatamente non abbiamo la guerra in casa. Trovarci ora per qualche settimana “di coprifuoco” a dover limitare i nostri viaggi, i nostri appuntamenti e i nostri incontri può aiutare tanti di noi a provare anche se solo in parte “il regime di guerra” che i nostri genitori o i nostri nonni hanno sofferto per anni, incoraggiandoci ad apprezzare e a custodire un po’ di più il tempo di pace di cui godiamo.
C’è chi mette in relazione il coronavirus che per ora non riusciamo a controllare e a debellare con la violenza che stiamo facendo alla natura e cita la frase di papa Francesco: «Dio perdona sempre, gli uomini perdonano qualche volta, la natura non perdona mai». Se sconvolgiamo i delicatissimi equilibri della natura, andiamo incontro a conseguenze sconosciute e forse irreparabili. Il coronavirus, oltre alla paura, ci porta anche un messaggio di pericolo imminente: fermatevi finché siete in tempo. Certamente, meglio del farsi prendere dal panico, è mantenere i nervi saldi e cogliere i numerosi avvertimenti che ci porta “fratello coronavirus”.
Il coronavirus di questa primavera ha fatto slittare all’autunno, tra i tanti, anche due importanti appuntamenti dati da papa Francesco: il primo è Economy of Francesco che doveva svolgersi ad Assisi dal 26 al 28 marzo, riprogrammato per 19-21 novembre; il secondo è il Patto educativo globale che era previsto in maggio e che si svolgerà in ottobre 2020. Avremo così più tempo di preparare questi due eventi: al tema dell’economia è dedicato anche il Festival francescano di Bologna a fine settembre. Per quanto riguarda il Patto educativo, papa Francesco auspica che sia “rivoluzionario”, in quanto capace di rimettere al centro la persona nella sua realtà integrale, per agevolare una conoscenza della “casa comune” e per arginare la cultura dello scarto a favore della “inclusione”.
L’educazione – sottolinea papa Francesco – è una realtà dinamica, un dinamismo di crescita orientato al pieno sviluppo della persona nella sua dimensione individuale e sociale. Ponendo al centro la persona, porta a scoprire la fraternità, come relazione che produce la composizione multiculturale dell’umanità, fonte di reciproco arricchimento. Il movimento inclusivo dell’educazione argina la cultura dello scarto, originato dal rifiuto della fraternità come elemento costitutivo dell’umanità. Il movimento educativo combatte la “egolatria”, che genera le fratture tra le generazioni, tra i popoli, tra le culture, tra ricchi e poveri, tra maschi e femmine, tra economia ed etica, tra umanità e ambiente. L’educazione è chiamata a far comprendere che le diversità non ostacolano l’unità, sono ricchezze per tutti, nell’orizzonte della complementarietà. Per il bene di ognuno e di tutti è urgente un’alleanza educativa globale che ponga coraggiosamente al centro la persona.
La stessa terapia viene proposta con forza da papa Francesco per il secondo appuntamento rimandato a novembre: quello dell’economia. Servono nuove forme di fraternità solidale, di inclusione, integrazione e innovazione. Non siamo condannati alla disuguaglianza sociale, né alla paralisi di fronte all’ingiustizia: un mondo ricco e un’economia produttiva possono e devono porre fine alla povertà. Ogni anno circa cinque milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono a causa della povertà; altri 260 milioni di bambini non ricevono un’istruzione per mancanza di risorse, a causa delle guerre e delle migrazioni, e questo li rende vittime di tratta, di lavoro forzato, di prostituzione, di traffico di organi. Non hanno diritti né garanzie. Questo non è giusto e non può continuare così.
La speculazione e l’idolatria del denaro, ma anche la globalizzazione dell’indifferenza, sono strutture di peccato che ci vedono tutti coinvolti. Ogni anno centinaia di miliardi di dollari che dovrebbero essere pagati in imposte per finanziare l’assistenza sanitaria e l’istruzione di tutti si accumulano nei conti dei paradisi fiscali di alcuni. La riscoperta del bene comune e della solidarietà, la persona umana da rimettere al centro di ogni nostra valutazione e attività: serve davvero una nuova architettura economica internazionale, come pure un nuovo patto educativo globale per tutto questo. Anche il coronavirus può darci una scossa salutare in questo senso. Se l’anno del coronavirus diventasse, per esempio, l’anno giubilare del condono di tutti i debiti?