Perché siano puzzle, non fotocopie

Dio ha voluto la relazione tra maschio e femmina all’insegna della reciprocità 

di Giovanni Salonia
frate cappuccino, psicologo e psicoterapeuta 

Il coronavirus è la sconfitta del maschio. A lui era stata affidata la terra. E l’ha sfruttata, derubata. Fin quando gli si è rivoltata contro.

Dopo la contestazione giovanile, dopo la contestazione femminista, la contestazione della terra. «Maschio e femmina li creò»: così le lapidarie parole della Genesi. E il mondo, la storia avrebbero avuto un altro corso. Certamente meno dolore, meno morti. Nell’avere rotto la reciproca interdipendenza tra femmina e maschio, il creato si è smarrito. La scissione casa/città, casa/cosmo ha dato luogo ad un triangolo con vertice maschilista. Sì, è vero che esiste Medea, ma la storia è stata fatta dai maschi e da loro è stato accudito il creato: Medea è ricordata, i macellai maschi che hanno distrutto figli, amici, nemici non hanno un nome. Medea non è scontata, Napoleone e Hitler sì.
Alle donne apparteneva la culla. E mentre le madri erano attese dai bambini, dai tanti bambini, i maschi erano attesi dall’esercito. Le donne facevano figli che poi tra loro si uccidevano ed erano loro, poi, ad andare a piangerli e a seppellire. E a ricominciare a partorire. Ma nessuno si accorgeva che la vita rinasce solo perché l’utero sopporta (anzi accoglie) l’estraneo. Per i maschi l’estraneo è un nemico e va ucciso.

 Maschio piglia tutto

Due erano le creature di Dio - l’uomo e la donna - anzi tre, perché Dio aveva creato anche l’amore fra loro, così che fossero come Lui: Uno-trino. Ma Eva si separò da Adamo per andare a parlare con il serpente, Adamo vigliaccamente accusò quel corpo che gli aveva insegnato a parlare e ad essere uomo, Eva generando Caino si dimenticò di Adamo e si sentì dea, e Caino, che la madre aveva illuso di essere dio, dovette - troppo presto - scendere dal cielo e ritrovarsi fratello. E sappiamo come la storia continuò. Negando di essere creature e cercando di diventare dei, avevano introdotto un nuovo dio: il potere. E lottare per il potere porta alla morte, perché il potere si esprime e si misura sulla capacità di togliere la vita. Chi resta sconfitta è sempre lei, colei che dà la vita: la madre. È vero che a casa la donna si riprendeva il suo potere, ma come fosse una concessione. E il letto diventava per la donna l’ultima chance per riprendersi residui di potere. Ma il maschio non si consegnava a lei, ma anzi aveva bisogno dell’illusione di dominare anche sul piacere.
Non era questo il sogno di Dio. Le teorie femministe ce lo hanno ricordato svelando anche l’imbroglio, contenuto nel sotterfugio semantico di quel maschile-prendi-tutto che è il neutro. Ma sono rimaste, a volte, forse troppo ‘maschili’ nell’urlare “l’utero è mio e lo gestisco io”. Si fossero ribellate contro tutti gli stupri, quelli delle guerre e quelli delle prigioni, quelli dei manicomi e quelli dei campi di concentramento, staremmo ancora ad applaudirle. Ma a chi è stato negato il cibo per secoli, non si può chiedere di mangiare quel boccone che finalmente ha in mano rispettando monsignor Della Casa!

 Un sogno creativo

No, non era questo il sogno di Dio. Non un’uguaglianza, che è un principio assente nel creato. Solo gli umani usano le fotocopie, le realizzazioni seriali: Jahvè eccede in creatività. Non parità tra femminile e maschile, ma reciprocità. Ci prova anche a incidere questo nei corpi. E ci plasma capaci di avere pensieri diversi e ambedue logici, corretti. Incredibile!
Quando a due gruppi di ragazzi divisi per genere fu posto il quesito se era permesso al signor Heinz di rubare le medicine costose per far vivere la moglie, i ragazzi risposero che era ovvio: la vita è valore supremo. Le ragazze invece proposero che il signor Heinz iniziasse a dialogare con il farmacista, certe che si sarebbe alla fine convinto (non era questa la logica di Gesù di Nazareth?). Valido l’un ragionamento e valido l’altro.
Questo è il progetto di Jahvè: due, ma reciprocamente di aiuto. Di aiuto perché ‘contro’ e quindi contro il solipsismo, contro l’autoreferenzialità, contro il dover fare da soli. Aiuto per aprire altre strade, per stare vicino quando c’è freddo, per avvertire quando il nemico viene alle spalle o per urlare quando il baratro è invisibile. Aiuto ‘contro’.
Ogni tanto Jahvè, per non scoraggiarsi, lungo la triste storia umana, ha contemplato le donne nelle quali il suo sogno si è realizzato: Caterina da Siena, Chiara, Ildegarda, Teresa, Teresina, Benedetta della Croce, e - perché no? - Maria di Magdala, Elisabetta, Marta. E Sua Madre. E ha contemplato la coppia innamorata di Giuseppe e di Maria, e delle coppie secondo il Suo progetto. Afferma un terapeuta (non credente): se qualcuno pensa che l’amore di Giulietta e Romeo sia stato più appassionato, più romantico di quello di Giuseppe e di Maria non ha capito niente del vangelo. Quando i credenti anestetizzano la Parola di Dio, tocca ai non-credenti parlarci della Parola. Abbiamo avuto bisogno di Marx per scoprire un San Giuseppe lavoratore, di Freud per scoprire la matrice divina dell’eros, delle femministe per scoprire il genio femminile. È questa lentezza, questa paura che rallenta il cammino della storia. Poi ci sono anche i profeti (e le profetesse). Eloisa scriverà ad Abelardo: ma perché le Regole di noi donne dovete scriverle voi uomini? E Chiara, con il sorriso e la mitezza di una donna geniale, si appoggerà a Francesco, ma si distaccherà anche da lui e - prima donna nella storia - scriverà lei la Regola per le consorelle. Togliatti stesso, parlando alle giovani comuniste, dovette dire: andate e studiate la storia di Chiara se volete conoscere e comprendere cosa significa essere donne, essere fiere e coraggiose.

 Rivendicare la comunione

«Vindica te tibi» raccomanda Seneca: riprenditi ciò che ti appartiene. Riprenditi ciò che ti è proprio. La rivendicazione delle donne non concerne il potere, ma la femminilità. Forse allora i maschi capiranno che devono anche loro iniziare un cammino di rivoluzione: riprendersi la mascolinità, quella genuina che non si confonde con il potere. Il potere non è dei maschi né della donna: è della relazione. Un potere che non è generato dalla dialettica polare, ossia dalla pericoresi tra maschio e femmina, è un potere che a lungo andare porta alla morte. Pensiamo alla famiglia, che, se si libera della lotta di potere tra maschio e femmina, può godere il giardino che Jahvè ha sognato per essa. Pensiamo alla Chiesa: senza il clericalismo, scopre la gioia della condivisione e si inginocchia di fronte alla sacralità del creato. È il dio-potere ad aver creato differenze e gerarchie: Jahvè conosce solo comunione come continuo arricchimento e integrazione.
Il dopo coronavirus chiede con ancora più forza che il maschile e il femminile si abbraccino: ma non come prima. Non dentro una logica di potere o di lotta per il potere. Ma in una logica nuova. Una logica che si comprende quando l’uomo abiterà il corpo e vedrà il corpo dell’altro abitato da un’anima, e si accorgerà che la terra, gli alberi, i fiori, anche se silenziosi, parlano. Vogliono attenzione. Perché uno è il respiro che appartiene al creato. Uomini e donne nuovi, capaci di rispettare il più debole, il più silenzioso, il più sgrammaticato. Rivendicare sì, ma la propria unicità nella reciprocità.
Il dopo coronavirus vuole una città che abbraccia la terra come un uomo abbraccia la sua donna.

 

Dell’Autore segnaliamo:
Abitare i corpi,
abbracciare
la terra
Istituto Gestalt
Therapy Kairos,
Ragusa, 2020