Alta fedeltà

L’ostinazione di Chiara nella povertà è segno del suo grande amore per Cristo 

di Marco Bartoli
professore associato di Storia medievale presso la LUMSA

 C’è un episodio nella vita di Chiara d’Assisi che ha fatto discutere per secoli tutti coloro che si sono interessati alla vita della santa.

La Vita ufficiale scritta subito dopo la canonizzazione da Tommaso da Celano, lo racconta così: «Il signor papa Gregorio, di felice memoria, uomo degnissimo di quella sede, e venerando per meriti, amava questa santa assai fortemente di affetto paterno. Avendo cercato di persuaderla che in vista degli eventi del tempo e dei pericoli dei secoli futuri, volesse permettersi qualche possedimento che lui stesso volentieri le offriva, con animo risoluto vi si rifiutò e non vi si volle mai piegare. Il pontefice le rispose: “Se temi per il voto, noi te ne assolviamo”. “Santo Padre, replicò lei, non desidero affatto essere in perpetuo assolta dalla sequela di Cristo”» (cfr. Fonti Clariane 464).

 Qualche scrupolo e tanta fedeltà

Le preoccupazioni del pontefice, che conosceva Chiara da quando era ancora cardinale, erano del tutto ragionevoli. Chiara e le sue Sorelle erano povere: ad imitazione di quanto facevano i frati, avevano venduto i loro beni e dunque non avevano rendite che ne garantissero la sopravvivenza, in più, a differenza dei frati, non erano itineranti e perciò la comunità di San Damiano dipendeva totalmente dalle elemosine elargite spontaneamente dalla gente di Assisi. La scelta di Chiara era certamente eroica ed ammirevole, ma cosa sarebbe successo in caso di guerra o di carestia? Circostanze simili non erano rare in quegli anni e il papa si offriva, come dice la Vita, di donare lui stesso qualche possedimento da cui trarre delle rendite che assicurassero la vita della comunità.
Il papa allude ad un voto che Chiara avrebbe fatto e che la legava alla scelta di povertà. Di tale voto non c’è traccia nella Forma vitae che lui stesso, quando ancora era cardinale, aveva scritto per i monasteri femminili dell’Italia centrale, tra cui c’era anche san Damiano. Un voto però non è necessariamente, in quest’epoca, un atto giuridico legato alla professione di una regola, un voto è una promessa fatta a Dio, che può essere solenne (se pronunciato in presenza di un uomo di Chiesa) o privata. Il papa sapeva che Chiara aveva fatto un voto di povertà e si offre di scioglierla da tale voto. Chiara però risponde: «non desidero affatto essere in perpetuo assolta dalla sequela di Cristo», rivelando che il suo voto non era solo di povertà, ma, più radicalmente, di sequela di Cristo. È quel che si ritrova nella cosiddetta forma vivendi che Francesco aveva scritto per Chiara e che questa inserirà al centro della sua regola: «poiché, per divina ispirazione, vi siete fatte ancelle e serve dell’Altissimo Sommo Re, vi siete sposate con lo Spirito Santo e avete scelto di vivere la perfezione del Santo Vangelo…». Il voto che Chiara aveva fatto nelle mani di Francesco era quello della sequela di Gesù, vivendo la perfezione del Santo Vangelo.

 Non malgrado, ma grazie

Era del tutto inconsueto che una donna rispondesse ad un pontefice in questo modo. Diversi anni dopo, Angelo Clareno, famoso frate spirituale, arrivò a dire che Chiara venne scomunicata per questo episodio: «Ai nostri giorni Santa Chiara, piena di luce divina, scomunicata dal papa Gregorio IX perché non voleva ricevere possedimenti, rimase salda nel proposito di povertà e attraverso la sua disobbedienza piegò il vicario di Cristo ai suoi desideri» (cfr. AFH, 39, 1946, p. 143).
Ma ancora più inconsueto è il fatto che questo episodio sia stato riportato, dopo la morte di Chiara, anche nella Bolla di canonizzazione, nella quale si legge: «Fu però una innamorata particolare e zelante cultrice della povertà: vi si legò così con il suo animo, così se la strinse nei suoi desideri, che, ella sempre più salda e più ardente nell’abbraccio, nell’affetto per essa, mai per nessuna necessità si disciolse dalla sua stretta e piacevole unione. Né si poté, per qualche consiglio, indurla affatto ad acconsentire che il suo monastero avesse propri possedimenti, anche nel caso in cui il papa Gregorio, di felice memoria, nostro predecessore, considerando piamente a sì grande indigenza di quel monastero, avrebbe voluto dotarlo ben volentieri di sufficienti e adeguati possedimenti per il sostentamento delle sue sorelle» (Fonti clariane, 417).
Normalmente una bolla di canonizzazione non mette in risalto che la nuova santa aveva avuto un diverbio con un pontefice. Si potrebbe dire: Chiara è diventata santa malgrado il fatto che abbia risposto in modo non conformista al pontefice. Ma, a ben pensarci, si deve dire: Chiara divenne santa grazie al fatto che rispose in tal modo al pontefice. La bolla di canonizzazione infatti è firmata dal pontefice Alessandro IV. Questi non era altri che il card. Rainaldo di Jenne, nipote di Gregorio IX e protettore delle donne povere di San Damiano sin dal 1227. È lui che ha voluto ricordare questo episodio nella bolla di canonizzazione.

 Un privilegio di pochi

Perché l’ha fatto? Con tutta probabilità perché era stato presente all’avvenimento. In qualità di cardinale protettore era suo specifico compito partecipare ad una visita apostolica in cui il papa in persona proponeva alle donne di San Damiano di modificare il loro stile di vita. Rainaldo dunque deve essere rimasto impressionato dalla libertà con cui la donna di Assisi aveva risposto al pontefice, reclamando il proprio diritto/dovere di seguire il vangelo. E, proprio per questo, il cardinale, una volta divenuto papa lui stesso, ha voluto con molta determinazione la canonizzazione di Chiara ed ha voluto ricordare l’episodio a cui aveva partecipato. In questo senso, Chiara è diventata santa non malgrado ma grazie al fatto che aveva risposto in tal modo ad un papa.
La verità storica è esattamente il contrario di quanto diceva il Clareno: non solo Chiara non venne scomunicata, ma anzi il papa Gregorio IX ebbe l’umiltà di accogliere il suo punto di vista e, pochi mesi dopo quell’incontro, il 17 settembre 1228, indirizzava a Chiara una lettera, la Sicut manifestum, nella quale si legge: «Come è palese, desiderando essere consacrate al Signore solo, avete rinunciato alla brama delle cose temporali. Per questo, vendute tutte le cose e distribuite ai poveri, vi proponete di non avere assolutamente nessun possedimento, per aderire in tutto alle orme di colui che per noi si è fatto povero, via, verità e vita. Né la mancanza di mezzi vi spaventa [da allontanarvi] da un simile proposito… Ordunque, come avete implorato, avvaloriamo col favore apostolico il vostro proposito di altissima povertà, con l’autorità della presente vi accondiscendiamo, perché non possiate essere costrette da alcuno a ricevere possedimenti».
Era il cosiddetto privilegium paupertatis, il privilegio di vivere senza privilegi, il privilegio di seguire povere Cristo povero. Un privilegio tanto prezioso che ancora oggi è gelosamente custodito dalle sorelle povere di Assisi.

 

 

 

Dell’Autore segnaliamo:
La santità di Chiara d’Assisi: una lettura storica delle fonti
Porziuncola, Santa Maria degli Angeli, 2012