Prima persona plurale

 di Dino Dozzi
Direttore di MC

 Antropocene, l’epoca umana, il disastroso passo dell’uomo sulla terra. Mi trovo anch’io con un paio di amici alla mostra del MAST di Bologna, davanti alla megafoto di Lagos con i suoi venti milioni di abitanti. Sullo sfondo una foresta di grattacieli, in primo piano la sterminata bidonville. Mi vien da pensare al lillipuziano che abita in una di quelle baracche, magari senza lavoro, con il figlio malato… e attorno venti milioni di altre solitudini…
Il giorno dopo mi trovo a pranzo tra amici e uno riferisce di aver visto una trasmissione RAI del periodo natalizio. A Hong Kong, altra megalopoli del Sud della Cina, hanno permesso che una chiesa cattolica restasse aperta: lunga fila di persone; l’intervistatore domanda ad una ragazza come mai è lì, la risposta buca lo schermo: «Perché qui, queste persone, la domenica si trovano insieme e si vogliono bene». L’oasi nel deserto: come all’inizio del cristianesimo, la calamita resta sempre la stessa, anche - e forse soprattutto - nell’antropocene e nelle nostre megalopoli.
Andrea Riccardi sostiene che la politica è cambiata, perché le persone sono cambiate. Gli sconfinati orizzonti globali hanno suscitato grande paura, e le persone non si sentono più protette dall’arrivo dei lontani, dai vicini estraniatisi, dalla fragilità dell’economia, dall’ingiustizia, dalla violenza… Mircea Eliade parlava di “paura della storia”. C’è paura della storia in società che invecchiano, dove la gente è sola. La città globale è sempre più realtà di molte solitudini, mentre comunità e famiglia si sfrangiano.
Luigi Zoja parla di “morte del prossimo”, creatrice di solitudine. Prima dell’era globale, anche le periferie erano abitate da legami, partiti, sindacati, comunità, una galassia di corpi intermedi che legavano alle istituzioni e alla politica. Questo si è dissolto. La diffusa solitudine è una profonda sofferenza che esprime un bisogno d’identificazione in qualcuno, che rappresenti e rassicuri.
Dalla paura dei soli viene l’ansia di controllare il proprio spazio, mettendolo in sicurezza. Si comincia con la domanda di una politica interna di più sicurezza. La domanda di sicurezza è stampata sulle porte e le inferriate delle case, ma anche nella familiarità con l’uso personale delle armi. La paura della storia chiede una politica estera che rafforzi le frontiere.
La crescita del populismo porta al potere un numero sempre maggiore di leader autocratici ma eletti, che soffocano il dissenso e il giornalismo indipendente, e smantellano i sistemi giudiziari imparziali. Alla crisi finanziaria del 2007-2008 si continua a rispondere privilegiando la finanza rispetto all’economia reale. Nelle vene della società circola rabbia, trovando interpreti politici capaci di rinfocolarla. Pankaj Mishra parla dell’età della rabbia. Sono solo alcuni esempi del disordine globale in cui viviamo. Il mondo è diventato ingovernabile? Siamo tornati alla legge della giungla?
Numerose sono le piste proposte e in parte già realizzate per uscirne, come la nascita di nuove istituzioni multilaterali finanziarie e di sviluppo; le giovani generazioni che stanno recuperando sensibilità politica ed ecologica, vedi Greta. Ridurre le disparità economiche sarà essenziale per attenuare i risentimenti derivanti dalla percezione della loro ingiustizia, ma al tempo stesso si dovrà limitare l’influenza politica del denaro, si tratti di oligarchi o di colossi del business. “The economy of Francesco” a fine marzo ad Assisi è iniziativa importante. Urgente è anche il rinnovamento delle istituzioni globali, a partire dall’ONU, da tempo ridotto ad una umiliante impotenza, con il suo Consiglio di sicurezza perennemente paralizzato dal diritto di veto di qualche prepotente impunito.
Di fondamentale importanza è la cultura e papa Francesco il 14 maggio lancerà “Il patto educativo globale”. È avvenuta una deculturazione di massa, che investe pure millenarie religioni, creando i fondamentalismi. L’Italia è in fondo alla classifica europea dei laureati. Bisogna investire nella cultura per arginare lo spaesamento dei cittadini in un mondo complesso.
Ma c’è un aspetto ancor più decisivo: solo la ricostruzione di reti e aggregazioni, che affrontino la solitudine, potrà ridurre le paure e portare a una coscienza più positiva dell’altro. Si tratta della rinascita della città comunitariamente vissuta, e questa ha un ruolo importante nel mondo globale; lo sviluppo del “noi” nei mondi contesi tra rabbia e paura. Bisogna contornare le istituzioni democratiche con società, città, periferie, ambienti popolati da reti. Per questo ci vuole una rinascita di passione civile che spinga molti a mischiarsi alla società, creando e rinnovando corpi sociali, con un investimento generoso e di lungo periodo. Bauman, alla fine della vita, era convinto che bisognava ripopolare la società globale di reti comunitarie. Che l’abbia suggerito alle sardine?
Francescanamente siamo degli inguaribili ottimisti e pensiamo che anche nell’antropocene e nelle megalopoli spesso abitate dall’ingiustizia, dalla rabbia e dalla solitudine, è possibile ricreare quelle oasi di amicizia e di amore, viste in quella fila a Hong Kong.