Sorella morte, non sei più un mostro

Nel lutto di Chiara per la morte di Francesco, ci sono dolore e grande serenità

 di Stefania Monti
clarissa cappuccina a Fiera di Primiero (TN)

 Noi siamo molto interessati ai sentimenti, all’introspezione, a tutto quello che ha a che fare con la psicologia, ma di fatto è un interesse recente.

Se leggiamo la Scrittura o altri testi abbastanza antichi i sentimenti sono tutti da indovinare in base a pochi e fragili indizi. Nessuno che fosse presente alla crocifissione di Gesù ci viene presentato dagli evangelisti come piangente o sconvolto o nei suoi moti interiori, neppure le donne, tranne la folla in Lc 23:48, dove però l’evangelista ha un intento ben preciso. Eppure una reazione emotiva e non “teologica” deve esserci stata.
È così anche con la morte dei santi: amici e seguaci piangono compostamente, piuttosto pregano e, se parlano, sembrano esprimersi secondo un formulario. Anche il morente perlopiù segue lo schema. Del resto, è stato appurato che l’agiografia medievale procede secondo modelli conosciuti come per esempio la Vita Antonii.
Francesco, la cui biografia è anch’essa costruita in parte su modelli conosciuti, esce, in morte, dagli stereotipi, suscitando non poche perplessità nei fratelli che gli sono vicini. All’epoca infatti non si poteva pensare che un frate cantasse o volesse sentir cantare quando stava per morire; si richiedevano raccoglimento, preghiera e la benedizione data ai seguaci mentre questi si profondevano in lacrime. Il tutto sotto il segno di una religiosa compostezza.
Morte e funerale di Francesco, a parte alcuni elementi comuni con la tradizione, hanno invece le caratteristiche di una sacra rappresentazione. Il fatto stesso di voler “tornare” alla Porziuncola - questa specie di ansia delle radici in un uomo distaccato da tutto - riporta a una sua umanità complessa e sensibile.

 Chiara davanti a Francesco

Nella stessa settimana della morte di lui, anche Chiara è gravemente inferma, vorrebbe rivederlo prima che egli muoia, ma la cosa pare del tutto impossibile. Il testo della Compilatio Assisiensis dà le motivazioni del reciproco affetto (1558-1559). Chiara piange il suo unico padre dopo Dio, colui che la confortava nello spirito e nel corpo e l’aveva fondata per primo nella grazia del Signore. Chi volesse immaginare, come a volte è accaduto, un rapporto simile all’innamoramento, almeno negli anni giovanili, scopre qui un linguaggio ben lontano dal previsto. Ugualmente chi volesse riportare il rapporto tra i due al linguaggio e allo stile dell’amor cortese.
Chiara nei suoi pochi scritti parla di Francesco e lo nomina esplicitamente; Francesco non lo fa mai. La chiama Cristiana con una sorta di antonomasia (FF 2682). Il rapporto sembrerebbe dunque non solo orientato, dal punto di vista affettivo, in senso teologale, ma anche abbastanza asimmetrico almeno nelle sue espressioni.
In ogni caso Francesco, dopo morto, viene portato a San Damiano lungo la via della Porziuncola. La Compilatio ripete, in pratica, quanto aveva già scritto: le sorelle sono afflitte e in lacrime, perché egli era stato, dopo Dio, l’unica consolazione in questo mondo.
A questo punto, per saperne di più, possiamo ricorrere all’iconografia e, naturalmente, a Giotto, il quale ci mostra questo incontro a San Damiano in maniera, pare, poco realistica: la chiesa ha una facciata gotica, il portale è spalancato e ne fuoriescono Chiara e le sorelle. Attorno: frati e borghesi, nessuna donna, solo un ragazzo arrampicato su un albero o per vedere meglio o per spiccare un ramo con cui accompagnare la processione. La Compilatio parla infatti di questa processione, ma anche della presenza di donne (FF 1559).
Guardando le sorelle, si vede Chiara in testa al gruppo che si china ad abbracciare il corpo di Francesco come farebbe, forse, una madre col corpo di un figlio. È un gesto tenero, di grande affetto, gli occhi negli occhi, eppure contenuto. Niente di scomposto.
Nel complesso però la scena non è realistica, come non lo è quella della miniatura di un manoscritto di Madrid del XIV secolo, in cui Chiara veste il mantello a righe delle penitenti. Qui lei e le suore sono piamente inginocchiate dietro una grata e a mani giunte, venerando il corpo di Francesco a una certa distanza. Il che contrasta con il dettato della Compilatio che parla di una grata aperta e dei frati che sostengono il corpo accanto alla finestra, come si vedrà. In nessun caso ci vien detto molto del dolore di Chiara e delle sorelle se non che erano in pianto e afflitte, precisando però il motivo che già si è citato.

 Come amica e sorella

Vien da pensare che anche i nostri cronisti non fossero interessati agli aspetti puramente affettivi e psicologici del problema, non si vuole pensare che si siano autocensurati, ma semplicemente che volessero spiritualizzare quei sentimenti che comunque ci sono stati e non si possono ignorare.
Certamente nel racconto come nell’iconografia mancano gli aspetti drammatici o anche spettacolari che potevano caratterizzare il lutto all’epoca. Per esempio mancano del tutto le lamentatrici di professione o le donne della famiglia che si strappano abiti e capelli, come nell’uso.
È una morte più che addomesticata, per riprendere la terminologia di P. Ariès, una morte di famiglia, tanto di famiglia da essere sorella, secondo la terminologia di Francesco. Se tale è per lui, pur nel cordoglio, tale sarà stata anche per Chiara. Benché un evento sempre doloroso, la morte non è più, dopo la resurrezione di Cristo, l’orrido mostro che rapisce uomini e donne. Diventa familiare, come lo era per i patriarchi o per quei personaggi biblici che morivano sazi di giorni (cf Gen 25,8), benché resti uno strappo soprattutto per chi resta: Francesco nell’affresco di Giotto ha un’espressione di sereno abbandono, le palme rivolte verso l’alto. Chiara gli è speculare: addolorata e serena.

 Infine la consolazione

C’è allora da chiedersi se esista un dolore al femminile, almeno nel nostro caso. Se confrontiamo l’espressione di Chiara con quella dei frati nell’affresco della cappella Bardi, alcuni di questi sono rappresentati sconvolti e piangenti, senza la compostezza che vediamo nell’affresco di Assisi. Dunque tutto dipende forse dalla sensibilità personale e dalla capacità di gestirla, indipendentemente dal maschile o dal femminile.
[…] e lo tennero sulle loro braccia accanto alla finestra per lunga ora, finché madonna Chiara e le sue sorelle ne avessero la più grande consolazione, benché fossero tutte in pianto e afflitte dal cordoglio, poiché era stato per loro, dopo Dio, l’unica consolazione in questo mondo (FF1559).
La descrizione della Compilatio è abbastanza dettagliata: nessuno è uscito da una chiesa e nessuno è stato dietro una grata; si è trovata una via di mezzo. Sentimenti e atteggiamenti sono prevedibili e noti, come nota ne è la motivazione. Semmai andrebbe indagato che cosa sia “consolazione”, termine caro a Chiara che lo usa nella seconda lettera ad Agnese di Boemia riferendosi alle sue stesse parole (FF 2874).
 “Consolatore” è del resto usato da Francesco nell’incipit della sua orazione sul Padre nostro tra gli epiteti riferiti al Padre (FF266), assieme a “creatore”, “redentore” e “salvatore”. Come si vede, manca “onnipotente” o qualsiasi altro termine che non abbia a che fare con la misericordia e la salvezza. È un Dio che può addolcire il lutto e Francesco è stato alla sua scuola.