Ci piace l’idea che la comunicazione sia alterità e dialogo. Ringraziamo Adel Jabbar, sociologo e ricercatore nell’ambito dei processi migratori ed interculturali, per il suo contributo sulla comunicazione con l’islam, che interessa tutti noi.
Barbara Bonfiglioli
Benedetta sia la diversità
Vincendo i pregiudizi islam e cristianesimo sono chiamati al dialogo
di Adel Jabbar
sociologo delle migrazioni
I binomi riduttivi
Ancora oggi e nonostante le sollevazioni arabe, in particolare in Egitto e in Tunisia, la trattazione di temi relativi all’islam gravita intorno al presunto “scontro di civiltà”, nel quale l’islam viene spesso presentato come una minaccia alla convivenza, alla democrazia, ai diritti umani, alla laicità. In questa visione svolgono un ruolo determinante i media, in particolare il potere videocratico della televisione. Per rendere più efficace questa attività persuasiva si fa riferimento non solo ad alcuni opinionisti autoctoni, ma sempre di più vengono chiamati opinionisti “provenienti dall’area islamica” per dare maggiore “legittimità” ad una lettura parziale e pregiudiziale, riportando sempre il discorso a binomi riduttivi come islam-fondamentalismo, islam-terrorismo, islam-modernità. È necessaria e urgente una lettura più approfondita: da una parte queste problematiche non sono esclusive dell’islam; dall’altra non esauriscono la complessità e le contraddizioni nelle quali si trovano molte delle società musulmane.
Proviamo invece a pensare ai musulmani come a soggetti che possono partecipare all’elaborazione di un pensiero in grado di affrontare questioni che riguardano tutti: convivenza delle diversità, sviluppo, democrazia, libertà dell’individuo, laicità, stato e forme di governo.
I segni per chi sa
Date queste premesse, passiamo al contributo dei musulmani rispetto al dibattito sulla convivenza delle diversità. Il profeta Mohammad, che ha ricevuto la rivelazione dell’arcangelo Gabriele nel 610 dell’era cristiana, ha voluto trasmettere un insegnamento universalistico secondo il quale non ci debbono essere distinzioni tra esseri umani in base all’appartenenza territoriale o tribale, perché la fede oltrepassa queste “piccole patrie” degli individui. Un detto profetico dice: «Un arabo non è diverso da un non arabo, un bianco non è diverso da un nero se non nel timore di Dio». E un altro dice: «Oh uomini, Iddio è uno, uno è il vostro antenato e voi discendete tutti dal seme di Adamo e Adamo dall’argilla».
Sono diversi i riferimenti del Corano che affrontano il tema dell’alterità e dell’uguaglianza: «E fan parte dei Suoi segni, la creazione dei cieli e della terra, la varietà dei vostri idiomi e dei vostri colori. In ciò vi sono segni per coloro che sanno» (Sura 30, 22). «Non ci sia costrizione nella religione» (Sura 2, 257). «Di’: la verità proviene dal vostro Signore: creda chi vuole e chi vuole neghi» (Sura 18, 29). «Se il tuo Signore volesse, tutti coloro che sono sulla terra crederebbero. Sta a te costringerli ad essere credenti?» (Sura 10, 99). «Chiama al sentiero del tuo Signore con la saggezza e la buona parola. E discuti con loro nella maniera migliore» (Sura 16, 125).
In questi versetti è chiaro l’invito al rispetto verso l’altro, alla responsabilità personale e alla libertà religiosa. La prima comunità musulmana creata dal Profeta nel 622 nella città di Medina nacque con queste indicazioni coraniche. In quel tempo erano forti i legami tribali e si doveva obbedienza alla propria tribù. Con la rivelazione islamica, invece, i popoli vengono invitati a riconoscersi in un insegnamento universalistico.
Nel 622 il Profeta fugge dalla città della Mecca perché perseguitato dalla propria tribù. Anni prima, alcuni suoi compagni (anch’essi perseguitati) avevano trovato protezione presso un re cristiano, il re dell’Etiopia. Questi episodi storici hanno segnato molte coscienze nella tradizione musulmana. I primi musulmani sono emigranti che arrivano nella città di Medina, diversi per appartenenza tribale e religiosa. Tra i compagni del Profeta ci sono anche persiani ed etiopi: il primo uomo che ha fatto l’appello alla preghiera è stato non un arabo, ma un etiope musulmano, schiavo liberato. Fin dai primordi, l’islam ha posto questa attenzione verso l’aspetto sociale e veicola un messaggio di emancipazione dal concetto di tribù e dall’appartenenza ai diversi ceti.
Rileggere la storia
L’uguaglianza ha rappresentato una questione centrale nell’elaborazione del pensiero islamico: la troviamo nella stesura del “patto di Medina”, che viene considerato un modello per una costituzione moderna, dove individui di diversa appartenenza si accordarono sulle norme per regolamentare i rapporti tra le nuove comunità. Il modello di Medina ha caratterizzato lo sviluppo della civiltà musulmana: dal
Il Profeta stesso diceva che all’interno di una comunità «la differenza è una benedizione» e nella mistica musulmana i volti degli altri vengono immaginati come degli specchi in cui gli individui si riconoscono. L’altro per eccellenza è lo straniero. Nel Corano, lo straniero (in arabo gharyb, il viandante), la cui unica appartenenza è l’orma che lascia sul percorso, merita ospitalità e misericordia. «La carità non consiste nel volgere i volti verso l’Oriente e l’Occidente, ma nel credere in Allah e nell’Ultimo giorno, negli Angeli, nel Libro e nei Profeti e nel dare dei propri beni, per amore Suo, ai parenti, agli orfani, ai poveri, ai viandanti diseredati, ai mendicanti e per liberare gli schiavi; assolvere l’orazione e pagare la decima. Coloro che mantengono fede agli impegni presi, coloro che sono pazienti nelle avversità e nella ristrettezza e nella guerra, ecco coloro che sono veritieri: ecco i timorati» (Sura 2,177). «Riconosci il loro diritto al parente, al povero, al viandante diseredato. Questo è il bene per coloro che bramano il volto di Allah: questi sono coloro che prospereranno» (Sura 30, 38).
I musulmani per secoli, soprattutto nel Medioevo, hanno svolto un ruolo centrale nella civiltà mondiale, mentre la modernità li ha collocati in una situazione periferica e marginale. Questo fatto rappresenta una frattura dolorosa tra un passato che esercita un grande fascino sulla coscienza musulmana e la desolazione del trovarsi oggi in condizione periferica.
Sarebbe auspicabile che i musulmani, di fronte alla sfida della globalizzazione, rileggessero con attenzione la loro storia e la ricchezza del patrimonio spirituale della loro religione per poter interpretare un ruolo dialettico soprattutto nel mondo d’oggi.