«Della signora che oggi fa da “miccia” al nostro tè, non sappiamo nulla, neanche il nome»: Maura parte con sprint e raccoglie espressioni un po’ perplesse dal cerchio dei presenti, «però sappiamo qual è il suo ruolo in famiglia: è una suocera. Meglio ancora: è la suocera di Pietro, quello che poi diventa il primo papa».

a cura della Caritas Diocesana di Bologna

 Che cos’è una casa?

Dove amore e libertà dimorano

IL TÈ DELLE BUONE NOTIZIE

 Il vangelo della suocera

Maura è a suo agio fra gli sguardi incuriositi, soddisfatta di aver già seminato un po’ di mistero. Sorride e prosegue: «La scena del vangelo di oggi si svolge a Cafarnao, una città di confine, sulla riva di un lago enorme.

A Cafarnao gira un sacco di gente, un luogo di passaggio e di traffici d’ogni tipo… Un postaccio! Ma proprio da lì Gesù comincia a predicare la salvezza per ognuno, e proprio lì va a cercare i suoi primi discepoli: Pietro ed il fratello Andrea, poi Giacomo e Giovanni; per vivere fanno i pescatori. Gesù li invita a seguirlo e loro mollano tutto e gli vanno dietro…».
Maura di nuovo sorride e va avanti: «Ce lo possiamo immaginare Pietro, entusiasta, che torna a casa sua di corsa ad annunciare la novità di quell’incontro straordinario. Tutto sarebbe cambiato per lui di lì in avanti. Allora potrebbe anche essere - come sostiene una teologa - che la suocera abbia provato a convincerlo altrimenti, preoccupata per i suoi. E può anche essere che Pietro avesse invitato Gesù, Giovanni e Giacomo e a quel punto lei si sia sentita male o abbia finto per esprimere tutto il suo dissenso, la sua rabbia e per evitare d’incontrare Gesù… Non sappiamo esattamente come siano andate le cose, ma sappiamo che Gesù arriva a casa sua e le si avvicina, le prende la mano, le parla e lei…“guarisce”. Si alza e comincia a servirli. Il passaggio per questa donna potrebbe essere: dal rancore e dal rifiuto, all’accoglienza… il tema di oggi, sta qui, in questo passaggio. Chiediamoci: cos’è che fa di una casa, una casa vera?».

 Relazioni d’amore

«Per me Cristo doveva essere un gran zuzzurellone, uno simpatico... Sarà andato dalla suocera e le avrà detto: “Dai, ma che fai? Ti metti in malattia? Su non fare la suocera! Tranquilla, domani vado via, non ti preoccupare, lascia stare il broncio, stai con noi…”». È Biagio che parla allegramente, e riprende «Per me casa è dove c’è amore. Dove ci si avvicina. Dove c’è rispetto, dedizione, passione. Io ho amato la mia compagna; poi è morta. Non avevamo neanche da mangiare, eppure alla sera andavamo a letto felici. Hai fatto bene, Maura, a ricordare che una casa non è nei muri. Si vive bene anche in una baracca, in una discarica… Io ho fatto l’amore anche lì! Perché, quando si ama, ogni luogo è casa».
«Io mi sento bene a Bologna», dice Matilde, «In realtà ho una casa di mattoni in Romania. Quando l’ho lasciata, nessuno mi capiva. Ma i miei figli erano qui, vivono qui e hanno grandi difficoltà, perciò non posso star lontana… per loro accetto anche di dormire in strada. La mia vera casa sono loro, il resto non mi importa».
«Sai? Hai appena detto una cosa che mi ha proprio fatto cambiare idea!», riflette a voce alta Maurizio: «La casa per te è dove sono i tuoi figli che soffrono. Non è un luogo dove sei sicura e protetta, come avrei detto io! È bello però quel che dici! Forse le risposte più vere a domande come questa arrivano solo nel tempo: non bisognerebbe essere frettolosi a rispondere!».

 La libertà di scegliersi un posto

«Prima, quando vivevo per strada, mi sentivo a casa quando veniva la sera e dovevo cercare un posto solo mio per dormire», dice Leone, il pesante cappello di lana calato sugli occhi: «Ero libero di scegliere dove stare e quella era casa mia per una notte! Adesso invece ho un posto al coperto. Ho una stanzetta dove lavoro, in una cooperativa per disabili. Arriva la sera ed ho sempre quel posto, non me lo scelgo più. A volte non mi piace. Vorrei cambiare. Ma alla mattina arriva la mia famiglia: sono i disabili che lavorano con me. C’è sempre tanta confusione e anche questo non mi piace, poi però arriva l’educatore e fa proprio come Gesù: dice una parola e tutti fanno quello che debbono fare! Così quando mi sveglio al sabato nel silenzio e la mia famiglia non c’è perché è festa, mi dico da solo: “Cavoli! Mi mancano! Vorrei fosse già lunedì…”».
«Per me la casa è ciò per cui combatti e lotti tutta la vita», interviene Diego, gli occhi azzurri che mandano lampi: «Ma è casa davvero, solo se resta un posto dove puoi tornare. Nella casa sei tu il padrone, puoi fare ciò che vuoi, come vuoi. Sei libero. Ma se sei ospite, questo non lo puoi fare: guardi cosa fanno gli altri e lo fai anche tu. Io ho avuto due suocere e tante case. Sbagliando, le consideravo scontate. Ora non ho più niente e nessun posto dove tornare…».
«Quanto hai ragione!», rinforza Maria Rosaria: «La casa ci vuole. Magari è un buco, ma ogni persona ha bisogno di uno spazio suo e la casa è anche uno spazio psicologico: se una persona entra in casa mia, entra dentro di me».
«Sì è vero!», conferma Biagio, «In dormitorio invece, dentro la stanza sono magari anche in due o tre, ma quando si esce, ogni mattina, ognuno va per conto suo. E poi tutti abbiamo necessità di uno spazio privato. Se non ce l’hai, non serve dormire sotto un tetto, è come mandar giù ogni sera dei bocconi avvelenati che a poco a poco ti uccidono dentro. Nel mio container ospitavo un amico che è poi morto assiderato in strada, dentro un fosso, mentre tornava a casa. Però avevamo un rapporto umano io e lui. Un posto per tornare lui ce l’aveva».

 Perché nessuno si perda

«Fino a ieri ero in una struttura ed oggi sono in un’altra», interviene ancora Diego, le parole come proiettili, «ma non si tratta di “strutture d’accoglienza” come le definiscono, sono soltanto luoghi di ricovero! Manca tutto in questi posti! Lì non c’è rispetto per l’essere umano, perché camerate da quindici senza armadietti e una doccia per dieci… No, così non va bene. Si parla di “emergenza freddo”… Vi porto io a vedere che cos’è! Provo una gran tristezza, perché ci vorrebbe davvero poco, da parte di tutti, per fare le cose più giuste! A volte penso che quelli che restano in strada, loro sì, hanno ancora qualcosa da salvare…».
Tocca a Maura chiudere questo pomeriggio così intenso. «Dunque, qual è l’immagine di casa che portate dentro?». Un argomento tanto difficile ha bisogno di speranza per il cammino che resta da fare. Improvvisamente una moltitudine di immagini riempie la stanza: dimore piene di amore e libertà, di buon cibo, di riposo e buona musica, luoghi dove nessuno si sente giudicato e c’è condivisione ed armonia, ma anche solitudine, silenzio ed intimità. Dove, soli o in compagnia, ci si sente realizzati. «Sapete invece che immagine è venuta in mente a me?», dice Maura sorridendo: «Quella di un luogo che ho visitato e che mi è rimasto nel cuore: è un rifugio in cima ad una montagna. Ci si arriva solo a piedi, naturalmente. E c’è un guardiano lassù che tiene una luce sempre accesa sopra la porta, anche di notte, perché nessuno si perda salendo…».