Smontar di sella, notizia bella
di Dino Dozzi
Direttore di MC
«Venerdì sera ho assistito a una lezione di vita, di umanità e speranza straordinaria. Il dialogo pubblico, in piazza Maggiore, tra Agnese Moro, la figlia di Aldo, e l’ex brigatista Adriana Faranda. Due donne di intelligenza, spessore, serietà, dignità e anche ironia notevolissime. Da dieci anni hanno coltivato un rapporto autentico, affettuoso, non mediatico o “cattolico”, che si poteva verificare dagli sguardi e dalle parole private, dalla dolcezza dei gesti, delle carezze, della cura reciproca. Non c’è resoconto che possa restituire con pienezza la concretezza composta e lucida del loro racconto, nel quale non c’entrava il perdono, la colpa, la pena, la convenienza, l’altra guancia. La “carnefice” non cercava giustificazioni o pietà umana, la “vittima” non cercava di vendicarsi con la sua magnanimità cristiana. Bisognava sentirle e basta. In un mondo in cui prevale l’odio e ci si scanna alla riunione di condominio per una grondaia o sui social per una partita, c’era la figlia di un uomo perbene assassinato che è riuscita a creare un dialogo sincero con chi quell’uomo lo ha assassinato. È stata un’ora di strepitosa intensità. Queste due dovrebbero essere portate in tutte le scuole d’Italia».
Sono parole di Emilio Marrese di “Repubblica” a commento dell’incontro del 27 settembre nella prima giornata del Festival Francescano di Bologna 2019, dedicato a “Attraverso parole. Prove di dialogo”. A noi organizzatori queste parole sono piaciute molto, sia quelle del Festival con il suo centinaio di eventi, sia quelle sopra riportate da Facebook che, come tante altre, hanno apprezzato il contenuto e lo stile di quei tre giorni.
Quello che vorremmo aggiungere qui è una considerazione sull’evangelizzazione, parola che si sente continuamente in chiesa, ma ben poco in piazza. Eppure, secondo noi, il Festival Francescano è stato un momento di autentica evangelizzazione, perché ha portato nella mente e nel cuore di molte migliaia di persone - che magari frequentano poco i luoghi “ufficiali” dell’evangelizzazione - la “bella notizia”, fatta esperienza, che si può dialogare senza urlare, che è possibile ascoltarsi con attenzione e rispetto, che persone gravemente ferite da violenza e odio possono incontrarsi, dialogare, fare strada insieme, fino ad arrivare a dire davanti a migliaia di persone, come hanno fatto Agnese e Adriana: «Ora lei si prende cura di me e io di lei». Per noi questa è evangelizzazione.
È vero che la parola non è mai stata pronunciata in quei tre giorni e che «nel programma dell’evento la parola “dialogo” ricorre dozzine di volte, “Cristo” mai, Dio una sola volta, a pagina 14, preceduto guarda caso da “Allah”, la Madonna mai…», come ha scritto Camillo Langone su “Il Foglio” nel suo pezzo “Vade retro Festival Francescano, Sanremo del rinnegamento”. È vero, la parola non è mai stata pronunciata, ma - nonostante la simpatica involontaria pubblicità de “Il Foglio” - credo si sia trattato di vera evangelizzazione. E lo stesso si può dire del magnifico concerto di Simone Cristicchi, tenuto in Piazza Maggiore sabato sera 28 settembre, davanti ad una piazza gremita, “Abbi cura di me”: con il chiaro invito a prendersi cura gli uni degli altri, che traduce il grande comandamento di Gesù, anche senza citarlo espressamente.
Evangelizzazione, almeno come l’intende papa Francesco, che, nella Costituzione apostolica “Veritatis gaudium” del 29 gennaio 2018, sul rinnovamento degli studi ecclesiastici, propone «una coraggiosa rivoluzione culturale… Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo, in un dialogo a tutto campo».
«Dio nessuno l’ha mai visto» scrive san Giovanni. Ma c’è una finestra che si apre sul mistero di questo grande Altro: è il volto dei tanti altri, dei tanti diversi da me, che incontro. La diversità è il luogo umano per conoscere il mistero di Dio. La vita cristiana è chiamata a parlare di Dio incontrando davvero l’altro, abitando stabilmente in questa sorta di “sacralità” dell’incontro con l’altro. «Dio mi guarda tramite gli occhi dell’altro», ha scritto Emmanuel Lévinas. Nella “tenda dell’incontro” al Festival Francescano si sono alternate diverse comunità religiose; in Piazza Maggiore, in quei tre giorni, si sono incontrate sessantamila persone. Con attenzione e rispetto, sorridendosi.
«La vita è “rispondere a” e “rispondere di”, cioè risposta e prendersi cura». La frase è di Dietrich Bonhöffer, un grande cristiano e teologo luterano, e il contesto della prigione nazista in cui è stata scritta sottolinea il senso straordinario di responsabilità e di prossimità nei confronti di tutti, persino dei suoi aguzzini. Se voglio parlare di Dio, se voglio evangelizzare, devo mostrare la cura che ho per gli altri, come quel samaritano della parabola di Gesù.
Certo che si evangelizza in chiesa spiegando il vangelo. Ma i cristiani possono evangelizzare anche scendendo dal cavallo delle loro teologie di scuola e delle loro spiritualità da sacrestia, andando nella pubblica piazza, dialogando sinceramente con tutti e prendendosi cura dei feriti dalla vita. Come fece Gesù. Come hanno fatto Agnese e Adriana. La loro testimonianza ha mostrato che è faticoso ma si può ed è bello prendersi cura gli uni degli altri, sempre e comunque. Anche questa io chiamo evangelizzazione.