Sua Santità Bartolomeo, patriarca di Costantinopoli, lo scorso 18 Settembre ha dato inizio alla visita ufficiale nella eparchia di Lungro, in Calabria, una diocesi cattolica di rito bizantino che, assieme alla Eparchia di Piana degli Albanesi, in Sicilia, e al monastero esarchico di Grottaferrata, nel Lazio, fa parte della Chiesa sui iuris italo-albanese.

a cura di Barbara Bonfiglioli

 Ut unum sint

Il patriarca Bartolomeo trova l’oriente in Calabria

 di Alex Talarico
diacono dell’eparchia di Lungro e studente presso l’ISE “San Bernardino” di Venezia

 Duplice appartenenza

L’eparchia di Lungro, nel 2018, ha festeggiato il suo centenario dalla fondazione e molti sono stati gli eventi e gli incontri che hanno avuto luogo per preparare lo storico incontro tra il vescovo della Eparchia di Lungro, Donato Oliverio, ed il patriarca di Costantinopoli.

Non è la prima volta che Bartolomeo visita la Calabria; tuttavia questo incontro testimonia come, nonostante i secoli e nonostante le guerre, la divisione fra le Chiese non ha prevalso, confermando il cammino fatto sulla strada dell’unità fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Le comunità italo-albanesi, infatti, da sempre hanno mantenuto e vissuto questa duplice appartenenza. L’Eparchia di Lungro ha voluto rendere questo servizio di incontro fraterno tra due Chiese sorelle, alla Chiesa Una, affinché sempre più possa realizzarsi la preghiera di Gesù “Che siano Uno”, e termini ciò che è scandalo per tutti i cristiani: la controtestimonianza dell’essere divisi.
Papa Francesco ormai da tempo parla di un ecumenismo in cammino e non smette di ricordare a tutti noi che l’unità si fa camminando. Sua Santità Bartolomeo ha accettato di farsi pellegrino e si è messo in cammino per vivere la gioia di riscoprirsi fratelli.

 Patriarca, prefetto, arcivescovi & co.

La visita è iniziata con la preghiera insieme nella Cattedrale “San Nicola di Mira” della Eparchia di Lungro, dove Sua Santità ha presieduto la preghiera del Vespro, alla presenza di Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, di Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali, di Andrea Palmieri, sottosegretario del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e ai vescovi della Calabria. Hanno accompagnato il patriarca Bartolomeo nei due giorni di visita in Eparchia l’arcivescovo metropolita d’Italia e Malta, Ghennadios, il metropolita di Smirne Vartholomeos, e il metropolita di Zambia e Malawi del patriarcato di Alessandria di Egitto, Tsaftaridis, con i quali, giovedì 19 Settembre Sua Santità ha visitato la chiesa cattedrale dell’Arcidiocesi di Rossano-Cariati. Accolto dall’arcivescovo Giuseppe Satriano, dopo un momento di preghiera nella Cattedrale di fronte alla icona della Madre di Dio Achiropita, Bartolomeo ha avuto modo di vedere il “Codex purpureus rossanensis”, uno dei cinque evangeliari siriaci del VI secolo. La visita è proseguita nella parrocchia di San Cosmo Albanese e a San Demetrio Corone dove il patriarca ha inaugurato una mostra di icone cretesi.
Bartolomeo ha sottolineato il rapporto madre/figlia che da sempre è esistito tra la Chiesa di Costantinopoli e le comunità albanesi del meridione italiano, sottolineando le radici di una Chiesa locale - una Chiesa cattolica di tradizione costantinopolitana – affinché su queste radici si possa costruire un cammino di comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, senza negare le differenze teologiche ancora presenti, che impediscono la piena comunione tra le due Chiese.

 La diversità che arricchisce

In questa prospettiva di cammino ecumenico bisogna rileggere la storia della Eparchia di Lungro, fatta di uomini e donne che hanno trasmesso la fede cristiana in esilio dalla propria terra e che si trovavano sotto la giurisdizione del patriarca di Costantinopoli, prima di lasciare la loro patria, e che oggi hanno sperimentato questo abbraccio, perché, nonostante le diversità teologiche, una madre non dimentica mai i propri figli.  Il Patriarca ha fortemente invitato gli italo-albanesi a mantenere il patrimonio che fino ad oggi hanno custodito gelosamente, come un dono, e ha invitato le Chiese della Calabria a collaborare tra di loro, per poter far sì che il contatto tra le diocesi di rito latino e la Eparchia di Lungro possa giovare e arricchire le une e l’altra: annunciare sempre più la parola di Dio e testimoniare un patrimonio che nei secoli si è formato e conservato facendo da ponte tra Oriente e Occidente affinché si avvicini sempre più il giorno della piena unità.
Il primo centenario della Eparchia di Lungro è stato un dono che il Signore ha elargito ad una Chiesa locale per prendere sempre più consapevolezza della propria missione ecclesiale: aiutare la Chiesa universale a sanare le ferite e le divisioni.  Ciò che è richiesto ad una diocesi cattolica, pienamente fedele a Pietro, e con lo sguardo da sempre rivolto alla tradizione orientale della Chiesa, è aiutare a cancellare lo scandalo di chi, a volte, rischia di presentare, senza volerlo, un Cristo diviso.

 

L’eparchia di Lungro venne istituita il 13 Febbraio 1919 con la Costituzione Apostolica Catholici Fideles, di Benedetto XV (1854-1922), che dava alla nascente diocesi giurisdizione su tutti gli albanesi di rito bizantino dell’Italia continentale. La storia della presenza degli albanesi nel meridione italiano era iniziata cinque secoli prima: quando ormai la tradizione italo-greca – che era nata dopo che l’imperatore d’Oriente Leone III Isaurico (675-741) aveva sottratto il meridione italiano dalla giurisdizione del papa e lo aveva posto nella giurisdizione del patriarca di Costantinopoli – stava quasi scomparendo dalle regioni del Sud dell’Italia, iniziarono una serie di migrazioni, nella seconda metà del 1400, che videro le popolazioni dell’Epiro e del Peloponneso dirigersi verso il Regno di Napoli.
Queste ondate migratorie, che iniziarono qualche decennio dopo che il Concilio di Ferrara-Firenze (1438-1439) aveva ristabilito l’unità della Chiesa, videro un intero popolo fuggire con la speranza di mettersi in salvo dall’invasione dell’Impero Turco e di poter professare la propria fede liberamente. Giunte nel meridione d’Italia ripopolarono luoghi, rimasti disabitati a causa di carestie e malattie, dove era vivo il ricordo di una presenza bizantina, che era sopravvissuta anche dopo che nel XI secolo quei territori erano stati conquistati dai normanni ed erano stati posti nuovamente sotto la giurisdizione del papa.
A tutela di questo enclave di diversità si posero sempre i papi di Roma che volevano preservare una realtà che aveva conservato la lingua madre e la tradizione spirituale della Chiesa bizantina. Nel corso dei secoli non fu facile la loro sopravvivenza, a causa della politica di latinizzazione dei vescovi locali, sotto la cui giurisdizione gli italo-albanesi vissero per secoli. Solo nel 1917 Benedetto XV considerò la possibilità di concedere a queste realtà una conformazione giuridica; due anni dopo sarà eretta l’eparchia di Lungro degli italo-albanesi dell’Italia continentale.