Il Vangelo nell’oceano

I figli della missione in missione nel mondo

 di José de Barros
frate cappuccino di Capo Verde

 Da Capo Verde a São Tomé e Principe

Condivido con voi lettori di MC un po’ della mia vita “missionaria” a Capo Verde e anche un po’ della missione che abbiamo a São Tomé e Principe.

Penso che sia tanto urgente oggi costruire la pace, quanto è urgente sentire il bisogno dell’annuncio missionario. Sono questi due aspetti fondamentali dell’essere Chiesa. Infatti si nota, in giro per il mondo, quanto sia difficile annunciare il messaggio del vangelo dove regnano la guerra ed i conflitti armati. Perciò penso che assieme all’annuncio missionario debba esserci sempre lo sforzo di costruire la pace, non limitandosi soltanto all’assenza di guerra. La pace è molto più seria ed esigente. Credo che anche papa Francesco abbia sentito questa urgenza: per questo ha chiesto alla Chiesa di dedicare un intero mese alla tematica missionaria, col titolo “Battezzati e inviati. La Chiesa di Cristo in missione nel mondo”.
Non è sufficiente affermare che la Chiesa esiste perché è missionaria e che nel cuore della Chiesa non può mai mancare il senso della missione e l’uscita da se stessa. Oggi, piú che mai, c’è il bisogno di aiutare il singolo battezzato a capire che lui stesso è una missione e che, nel suo piccolo, è invitato a lavorare in favore della missione. La missione fa parte dell’essere di ogni singolo battezzato. Quando si comprende questo, si vive con serenità e ci si rappacifica con la vita e con le difficoltà che la stessa missione ci pone davanti: l’essere missionari non significa essere dei supereroi.

 La missione non è in valigia

Non si può più pensare la missione soltanto nel senso di “fare la valigia e partire”, come si pensava qualche anno fa. Credo sia questo un primo passo per capire il senso dell’essere missionari e comprendere che si tratta di una realtà che interessa ognuno di noi. In questa ottica possiamo anche vedere ogni nostro piccolo servizio come una missione: lo studio, le attività, il lavoro… tutto è missione. Così intendo la missione… dopo sette anni di studi filosofici e teologici in Portogallo e in Italia. Ora, con queste nuove basi, sono tornato nella mia Patria, Capo Verde, dove porto avanti la mia missione. Il 21 luglio scorso sono stato ordinato sacerdote e ora vivo a Praia, isola di Santiago, assieme ad altri quattro confratelli. Mi occupo della formazione e dell’accompagnamento dei giovani. C’è chi insegna e chi si dedica all’accoglienza delle persone che bussano alla nostra porta. Tutto ciò è per noi missione, anche se siamo nella nostra terra. Come frati cappuccini siamo presenti in sei isole di Capo Verde, dove abbiamo sei fraternità.
Nel 2016 papa Francesco ci aveva avvertito, come Chiesa, della necessità di uscire, di andare in missione. Infatti ci ha detto che «una chiesa chiusa é una chiesa malata. La chiesa deve lasciare se stessa e andare verso le periferie esistenziali, qualunque esse siano». Prendendo in considerazione quest’invito e il desiderio missionario della custodia, oltre alle domande insistenti del vescovo di São Tomé e Principe, Manuel Antonio, i frati cappuccini della custodia di Capo Verde hanno deciso di partire in missione. Così l’8 settembre 2016 approdarono a São Tomé e Principe i primi missionari capoverdiani, i sacerdoti fra Claudino e fra Samuele e il fratello laico fra Alcindo.

 Dal Piemonte verso il mondo

Noi capoverdiani siamo figli dell’azione missionaria dei cappuccini del Piemonte e siamo cresciuti nella consapevolezza missionaria grazie al loro esempio. I primi missionari arrivarono a Capo Verde sin dal 1947, uomini generosi che hanno dato tutta la loro vita a queste dieci porzioni di terra che compongono l’arcipelago di Capo Verde. Ci hanno testimoniato il vangelo di Gesù, ci hanno fatto credere che è possibile viverlo, mostrandoci con la vita un detto tanto usato qui a Capo Verde: «Non si è mai tanto ricchi per non prendere niente dagli altri e non si è mai tanto poveri da non poter offrire niente a qualcun’altro». Questo slogan traduce bene la situazione dei frati della custodia di Capo Verde quando nel 2016 decisero di andare in missione in un altro paese, altrettanto assetato della speranza missionaria. Senza dilungarmi troppo vi racconto un po’ quella che è la nostra presenza missionaria a São Tomé e Principe. 
Capo Verde e São Tomé e Principe hanno una storia comune. Nel passato non tanto lontano, São Tomé e Principe fu meta di tanti capoverdiani che cercavano un posto di lavoro nella coltivazione del cacao, fuggendo, in questo modo, dalla grande siccità che colpiva l’arcipelago di Capo Verde. Oggi, stando alle statistiche, piú del 60% della popolazione di São Tomé e Principe è di origine capoverdiana.
Nella zona sud del paese, la regione di Caué e Cantagalo, la responsabilità pastorale è affidata ai nostri missionari. Abbiamo due parrocchie molto estese territorialmente ma piccole a livello di popolazione ed economicamente povere. Secondo quanto ci ha raccontato uno dei missionari presenti, il periodo iniziale fu abbastanza impegnativo. Si trovavano in un paese diverso e sconosciuto e c’era bisogno di adattarsi alla cultura, alle tradizioni e alle abitudini locali. Il fatto di parlare la stessa lingua, il portoghese, per quanto di aiuto, non voleva dire che l’integrazione fosse già assicurata.

 La sorellina minore

Pian piano le difficoltà andarono scomparendo. Tutto ciò è stato possibile grazie alla amabilità e all’affetto della gente che, ci hanno detto i missionari, li ama e li rispetta sempre e ovunque. La gente vive con serenità, al ritmo della natura. La grande sfida che si trovano ad affrontare i nostri missionari è aiutare le persone a vivere la fede e partecipare alla vita ecclesiale. Infatti, in questa zona, la partecipazione alle celebrazioni è scarsa; si sente una certa indifferenza verso le cose religiose e di fede, risultato di un lungo periodo di abbandono. È diventato un terreno favorevole alla diffusione delle sette. Adesso i frati hanno scelto una pastorale di prossimità, cercando di accompagnare le persone con formazione umana e religiosa. Per il fatto di essere un insieme di isole, a São Tomé e Principe sono innumerevoli le difficoltà. L’esigenza primaria è certamente l’educazione: questa è la nostra principale preoccupazione, anche se dobbiamo considerare le nostre forze, perché la formazione ed evangelizzazione richiedono anche un impegno economico che non sempre siamo in grado di sostenere. I nostri missionari a São Tomé e Principe non sono abbandonati, e non si trovano da soli a sostenere il peso della missione, come testimoniano le visite del custode fra António Fidalgo e del provinciale del Piemonte, fr. Michele Mottura.
Qualcuno diceva che era contrario alle “regole” che una custodia andasse in missione in un altro paese e che potessero farlo soltanto le province. Noi invece siamo partiti e, poco dopo, abbiamo ricevuto dal ministro generale un grande sostegno, con parole bellissime che fanno crescere la speranza e che terremo nei nostri cuori. Oggi la nostra missione a São Tomé e Principe sta prendendo piede e va avanti con coraggio, sconfiggendo ogni difficoltà. A noi piace dire - ed è proprio così - che São Tomé e Principe fa parte della nostra custodia. Ci piace chiamarla sorellina minore delle fraternità della custodia. Così rimane più vicina a noi, sebbene ci sia fisicamente tanta distanza.