Prendendo spunto dal tema proposto da papa Francesco per il mese missionario straordinario dell’ottobre scorso, In missione propone due interventi: uno del segretario delle Missioni, fra Matteo Ghisini, nel quale viene indicato il percorso che seguiremo in questo nuovo anno e l’altro nel quale fra José de Barros, da CapoVerde, racconta come stanno vivendo in quell’arcipelago la chiamata missionaria.

a cura di Saverio Orselli

 Pasqua chiede, missione risponde

Novità pasquale e identità missionaria della Chiesa

 di Matteo Ghisini
segretario Animazione Missionaria Cappuccini Emilia-Romagna

 Battezzati e inviati: dono e compito

“Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo” questo il tema dell’ottobre scorso, mese missionario straordinario che papa Francesco ha voluto fortemente per la chiesa universale,

al fine di «ritrovare il senso missionario della nostra adesione di fede a Gesù Cristo, fede gratuitamente ricevuta come dono nel Battesimo» (Papa Francesco). Un tema evidentemente da non confinare ad ottobre, ma da sviluppare durante l’anno, al fine di portare frutto per il cammino di ogni cristiano e della chiesa.
Il richiamo “straordinario” del Papa avviene in occasione del centenario della lettera apostolica Maximum illud che Benedetto XV scrisse nel 1919 e che, alla fine della grande guerra, diede nuovo slancio alla missione della chiesa, purificandone le incrostazioni coloniali e cercando di liberarla da quelle mire nazionalistiche ed espansionistiche che tanti disastri avevano causato, rimettendo al centro solo l’annuncio e la carità del Signore Gesù.
È dall’inizio del suo pontificato (2013) che Francesco insiste sul bisogno urgente che la Chiesa riscopra sempre più la sua natura missionaria. «Una Chiesa in uscita fino agli estremi confini richiede conversione missionaria costante e permanente… È un mandato che ci tocca da vicino: io sono sempre una missione… ogni battezzata e battezzato è una missione… Nessuno è inutile e insignificante per l’amore di Dio. Ciascuno di noi è una missione nel mondo perché frutto dell’amore di Dio» (papa Francesco).
È il Nuovo Testamento che orienta verso questa posizione: è lì che troviamo i fondamenti della natura missionaria della chiesa, in particolare nelle parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli nella finale del vangelo di Matteo: «Andate e fate discepole tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (cfr. Mt 28,19-20). In quel mandato di Gesù ad gentes c’è il paradigma della chiesa delle origini e quindi di ogni tempo.

 Rinnovare il vecchio o rinascere dall’alto?

Il primo esempio di questo annuncio cristiano ai pagani realizzatosi nella storia avvenne ad Antiochia (At 11,19-26). In quella città, facente parte dell’attuale Turchia, è ancora presente una piccola comunità cristiana, all’interno della quale è cresciuto Hanri, dal 1985 frate cappuccino dell’Emilia-Romagna. Lo abbiamo incontrato alcuni mesi fa, proprio in occasione del mese missionario. «Fu qui ad Antiochia che per la prima volta i cristiani annunciarono il vangelo ai pagani. Questa missionarietà iniziata nel I secolo fu poi portata avanti in seguito da molti testimoni in questa città: Ignazio da Antiochia, Giovanni Crisostomo e tanti altri. Oggi questa storia continua. Anch’io sono diventato annunciatore del vangelo. Ogni battezzato è automaticamente un apostolo e missionario, responsabile lui stesso di annunciare ad altri la buona novella. Non è possibile tenere per sé la gioia della fede in un Dio ricco di misericordia, un Dio che accoglie tutti, un Dio che ha un amore universale, non pronto a giudicare ma pronto ad accogliere e dare il benvenuto a ciascuno».
Questo ardore missionario è così presente oggi nella Chiesa? Sembra di no. «È diffusa tra i battezzati, fedeli e pastori, una certa stanchezza missionaria», afferma padre Fabrizio Meroni, segretario generale della Pontificia Unione Missionaria (Pum) e direttore del Ciam (Centro Internazionale di Animazione Missionaria). «Sembriamo più preoccupati di rinnovare il vecchio che non di rinascere dall’alto nella novità pasquale… Occorre avere il coraggio apostolico e l’audacia necessari per lasciarci ricreare e riformare con nuove modalità di presenza e testimonianza cristiana», dice anche alla luce della sua lunga esperienza missionaria come membro del Pime, in Cambogia, Brasile e negli USA. Padre Fabrizio suggerisce che sono tre gli ambiti che la missio ad gentes può sollecitare positivamente nella vita di ogni battezzato e nella pastorale di ogni chiesa.

 Tre ambiti sollecitati

Uno riguarda il rapporto tra missione e salvezza cristiana, cioè il ruolo della persona di Gesù nella salvezza del mondo. «Siamo chiamati a radicarci più consapevolmente nell’unicità salvifica universale del Salvatore Gesù Cristo», sostiene il religioso, ed «essere preoccupati della salvezza operata da Gesù Cristo, unico Mediatore tra Dio e gli uomini, significa essere interessati a che tutti abbiamo vita, l’abbiamo in abbondanza e l’abbiamo per sempre». Questo ci induce a rispondere con maggior franchezza a domande scomode, per esempio: come vivo e percepisco il mio rapporto personale con il Cristo, quale la salvezza sperimentata, quale la novità nella mia vita e nelle mie relazioni?
Il secondo ambito concerne il ruolo dei fedeli laici, cioè di tutti coloro che sono battezzati e che non sono preti. Ad Antiochia furono sostanzialmente laici che annunciarono il vangelo ad altri laici. In diverse aree geografiche sono i laici che molta responsabilità hanno nell’animazione delle comunità cristiane, nella catechesi, nella pastorale. Occorre superare la tentazione di ridurre la chiesa al suo elemento clericale e a una certa pastorale clericalizzante. Questo contatto ravvicinato con il mondo missionario può far bene ad ogni chiesa, ponendo a ciascuno di noi la domanda su come vive la propria vocazione laicale nella società e nella comunità cristiana, e quale il rapporto con il clero.
Infine un terzo elemento: la missio ad gentes ci restituisce uno stretto legame tra annuncio della parola e sacramenti, tra testimonianza e comunità concreta cristiana. Questo si ispira alla persona stessa di Gesù, parola di Dio che si è fatta carne e poi pane nel sacramento, e che vive nel suo corpo che è la chiesa. Questo terzo ambito ci interpella sulla modalità con cui viviamo le nostre liturgie, se e come facciamo esperienza attraverso il nostro corpo della trasfigurazione di noi stessi e del mondo.