“In convento” ospita, da questo numero, la presentazione di realtà che riguardano i cappuccini e i poveri nell’Italia del Nord, a cura di Giordano Ferri. Ma trova qui spazio anche la necrologia di padre Remo Ferrari, che ci ha lasciati quasi un anno fa.

a cura della Redazione

 Con le mani di molti

Le trasformazioni di una cooperativa solidale 

di Monica Lazzaretto
responsabile Centro Studi Olivotti

 Chi ha dato una mano?

Il 20 novembre del 1981 a Mira (Ve) veniva inaugurata dal patriarca Marco Cè la Cooperativa Giuseppe Olivotti, opera di carità dei frati cappuccini del Veneto.

Come fare memoria di quasi quarant’anni di esperienza della Cooperativa Olivotti? È un’opera a più mani.
Nessuno è depositario esclusivo di questa esperienza; la nascita, la vita e l’evoluzione di questa scommessa, di questa possibilità di accoglienza, sono state possibili solo grazie all’apporto di molte persone e gruppi: volontari, soci, operatori, professionisti, istituzioni, famiglie. Tutti hanno dato il proprio contributo secondo le possibilità di ciascuno. Siamo stati invitati ad operare dai frati cappuccini della Provincia veneta, aiutati dai primi giovani volontari ed obiettori che hanno inizialmente aperto la casa di accoglienza messa a disposizione dalla Caritas diocesana: hanno fisicamente lavorato a fianco dei frati cappuccini per rendere idoneo e ospitale l’ambiente, sostenibile economicamente l’esperienza, sensata la proposta di convivenza con persone provenienti dal carcere e dalla strada.
Si è lentamente creata una importante cinghia di trasmissione con il territorio e con le istituzioni, per garantire salute, cultura e promozione, in modo che la sofferenza e le contraddizioni, che si incontravano nelle persone accolte in comunità, potessero essere comprese e rielaborate come nuova indicazione a procedere per migliorare l’educazione, l’accompagnamento, l’ascolto delle nuove generazioni e delle loro famiglie, puntando sulla forza generativa delle relazioni educative e di cura.

 Radici

Quarant’anni di attività, una storia che affonda però le sue radici negli anni Sessanta, quando Giuseppe Olivotti, vescovo ausiliare di Venezia, fece costruire l’edificio, chiamato Santa Maria in Campis, con l’obiettivo di ospitarvi una comunità di minori. In seguito, negli anni Settanta, con la fondazione a Mestre dell’associazione Sesta Opera per il sostegno ai carcerati, e con la legge sull’ordinamento penitenziario del 1975 per la promozione di un percorso di educazione integrativo alla detenzione, si imposero all’attenzione nuove esigenze di intervento sociale. Alla fine degli anni Settanta, un gruppo di frati cappuccini della comunità mestrina, tra cui padre Alberto Demeneghi e padre Olindo Donolato, si trasferiscono presso la casa mirese; dopo di loro, molti volontari lavorarono alla sistemazione della Casa, fino all’inaugurazione nel 1981: fu in quel periodo che iniziarono ad arrivare i primi ospiti.
La Casa Olivotti nasce come Centro di accoglienza e di avviamento al lavoro per detenuti o dimessi, ma in seguito, negli anni, la sua azione si diversifica, estendendosi ad altre aree di marginalità sempre indicate dall’esperienza di servizio in carcere: l’emergenza tossicodipendenza negli anni Ottanta, cui farà seguito l’apertura della prima comunità per tossicodipendenti a Mira e quella dell’immigrazione negli anni Novanta. Per poter dare risposte adeguate non solo nella cura e nell’accoglienza ma anche a livello educativo e culturale, viene aperto il Centro studi e di documentazione, riconosciuto come ente di formazione dalla Regione Veneto e dal MIUR.
La Cooperativa ha dato spazio anche all’esperienza lavorativa, fondamentale nel percorso di reinserimento sociale, con l’apertura di un’officina, di una ceramica e di un orto biologico. Sempre più attiva nell’intervento e nella sensibilizzazione sui temi delle tossicodipendenze, viene aperta nel 1990 anche la casa di Pagnano d’Asolo (Tv) intitolata a padre Amedeo Giuliati, un frate cappuccino molto amato nel territorio, sede di una nuova comunità terapeutica. Oggi le due case di Mira e di Pagnano ospitano una quarantina di ragazzi tossicodipendenti, in parte provenienti dall’ambiente del carcere, mentre sedici di questi ragazzi risiedono presso le Comunità educative per minori di Riese Pio X (Tv) e Mira.

 C’è futuro per chi non si arrende

A causa dell’emergenza immigrazione, nel 2010 vengono accolti i primi profughi in una casa messa a disposizione; poi i percorsi di accoglienza si sono sempre più articolati e differenziati: due case per 19 donne, per lo più nigeriane, con sei bambini; tre case per uomini che vengono seguiti con interventi di tipo sanitario, giuridico, di sostegno psicologico e con l’attivazione di percorsi di formazione professionale e inserimento lavorativo attraverso stage o tirocini. Dagli anni Novanta sono partiti diversi progetti di Cooperazione Internazionale in Sud America e in Africa dove si sostengono e si accompagnano esperienze educative e terapeutiche sviluppate in quei paesi attraverso uno scambio di esperienze e di visite formative.
La Cooperativa mette a frutto la propria esperienza in molti altri progetti, come il servizio di inserimento lavorativo dei soggetti in misura alternativa alla detenzione, grazie ad una convenzione con l’Ufficio Esecutivo Penale Esterno, e apre anche lo sportello di consulenza familiare “Nuovi cont@tti” per uno spazio di ascolto non solo per adolescenti ma anche per genitori, docenti, educatori e adulti che faticano a gestire le provocazioni e i comportamenti di sfida e di messa in pericolo da parte di figli e alunni.
Un progetto molto interessante organizzato dal Centro Studi è la formazione di adulti significativi, rivolto a genitori, educatori, animatori, dirigenti di attività sportive, riguardante soprattutto il piano della prevenzione dei comportamenti a rischio. Il segnale di una civiltà avanzata a livello educativo è la capacità di non emarginare: l’obiettivo è dunque ricordare agli adulti l’importanza di essere inclusivi, di mettersi assieme e far rete, ognuno rispettoso del ruolo e delle responsabilità dell’altro. Cerchiamo anche di fornire delle coordinate per muoversi nel mondo degli adolescenti, in perenne evoluzione, ma che vale la pena conoscere: internet, il mondo virtuale, quello della notte… le sostanze. La sfida della Cooperativa sta nel non arrendersi davanti a questa evoluzione, continuare a studiarla e interpretarla per capirne le cause e trovare una risposta alle problematiche.

 Va dentro chi non ce la fa fuori

Ogni volta che dobbiamo celebrare un anniversario, rischiamo di soffermarci sulla storia passata, che è sicuramente importante, perché offre le ragioni dello sviluppo, ma non è sufficiente. La povertà e le problematiche cambiano radicalmente. Un osservatorio privilegiato per capire i mutamenti della società è per noi il carcere, che è un po’ la nostra cartina tornasole. A finire dentro, sono spesso le persone che non ce la fanno fuori: un tempo tossicodipendenza e devianze erano le cause principali che alimentavano comportamenti deliquenziali; oggi invece vi è moltissima gente spinta al reato dalla povertà, dalla fame, e ciò riguarda gli italiani, ma anche e soprattutto gli immigrati. Gran parte dei nuovi progetti riguarda proprio gli stranieri, come ad esempio il corso di alfabetizzazione e formazione professionale che coinvolge 158 donne straniere in sette comuni.