Amore a quota cento

Come un cuore ferito, negli anni, si può aprire a una nuova relazione

 di Laura Montanari
insegnante di italiano in un liceo di Ravenna, in pensione

 Non sorprende che di amore si nutra l’età avanzata, la vecchiaia,

nella continuità di relazioni affettive nel tempo instaurate con il partner, con i figli, con la famiglia, gli amici…, mentre ci si può stupire di una relazione amorosa che inizia, di un innamoramento, che irrompe come novità nella terza età. Di qui comincio.
Mi sono innamorata a sessanta anni, per una seconda volta, incredibilmente. Credevo di “aver esaurito” tutta la mia possibilità di amare un uomo, da quando a soli quattordici anni, innamorata adolescente, avevo incontrato il ragazzo con cui progettare la vita futura, trascorsa insieme, col dipanarsi negli anni tra gioie e dolori, come si suol dire, ma sempre in relazione d’amore, fino ai miei anni cinquanta, quando una morte annunciata ma combattuta ci ha separati. Fu un dolore violento, rabbioso, che mi portavo addosso come ferita sanguinante sul petto. Non riuscii a trovare conforto nella fede, persa in un turbinìo tra sentimenti e ragione.

 La vita dopo

Se molto lentamente sono riuscita a riprendere il controllo di me, a ridare un senso al vivere, in uno sforzo di resilienza, lo devo alla consapevolezza di crescere un figlio adolescente, all’amorevole assistenza della famiglia e degli amici, e anche alla responsabilità di essere guida ed esempio per i miei ragazzi nella scuola. È così iniziato per me il tempo della solitudine “piena”, mi si perdoni l’ossimoro.
Gli interessi tanti e vari, la rete sociale, la ripresa di gite e viaggi, il bisogno e il piacere di leggere e scrivere, e, una volta pensionata, l’impegno nel volontariato sociale e culturale hanno riempito anno dopo anno le mie giornate, mi hanno persino regalato gratificazioni. Nel tempo sono riuscita a governare la solitudine e a interpretare la libertà come conseguenza positiva. 
Ho frequentato donne single della terza età, vedove, separate, divorziate, nubili, che sostenevano che la libertà non ha prezzo, che la solitudine può essere una scelta vantaggiosa, che una donna “può bastare a se stessa”. Se da un lato, in teoria, ero d’accordo con loro, dall’altro il ricordo della mia vita matrimoniale mi suggeriva altre considerazioni. Non avere, a sera, tra le pareti di casa, nessuno con cui comunicare, confrontarmi, parlare del più e del meno…non condividere le soddisfazioni o i dispiaceri che può dare un figlio… non vivere più l’intimità di coccole e tenerezza…
Ho incominciato, negli anni, a sentire il senso del vuoto, della deprivazione, anche perché i ricordi della mia vita precedente si affievolivano, perdevano voci, profumi, sensazioni. Del resto, nel corso delle passeggiate, degli incontri conviviali, delle conversazioni fino a notte con amiche e conoscenti single, più di una volta ho avvertito segnali inconfessati di una solitudine accettata e non scelta. Mi sono detta che “il sogno d’amore”, insopprimibile, si nutre nella solitudine delle donne. Il seme della dualità è profondamente radicato nella carne e nell’animo e germina, per legge di natura. Sono così trascorsi dieci anni di vedovanza, termine che mi dispiace, mi avvilisce, perché mi ricorda che la categoria di “poveri e vedove” è stata in molte società la più sfortunata, la più penalizzata.

 E l’amore bussò

Ho analizzato fin qui il trasmutare dei miei sentimenti e pensieri nel tempo, non certo per dare l’idea che ad un certo punto, dopo dieci anni, mi sono messa a “cercare l’uomo”, assolutamente no; avevo maturato la consapevolezza dell’età e di tutte le possibilità di realizzazione personale che ancora potevo trovare in me stessa. Forse però si erano create in me inconsciamente le motivazioni che mi consentivano di “guardare oltre”, verso il futuro, pur tenendo custodito in me, come ricchezza, il mio passato.
A questo punto è successo. Un innamoramento imprevisto, che è lievitato dentro, nel cuore, nella mente, nel corpo. Una cena occasionale, nell’incanto di una notte d’estate, con la luna tra i pini, un bicchiere di buon vino e un conversare fitto fitto, tra passato e futuro. Tanto poco è bastato per innescare empatia, o meglio simpatia, un coinvolgimento emotivo intimo, un’attrazione reciproca… i fermenti dell’innamoramento. Nel breve giro di tempo, rendendomi conto che lo sconvolgimento di poche ore si alimentava nei giorni, con i contatti a distanza sempre più frequenti, fino al punto di sentirmi rinnovata, carica di energie, persino più giovane, ho provato una grande sorpresa, incredula di innamorarmi a sessanta anni come a quattordici, e forse anche vergogna, un vago senso di colpa. Ma poi ho pensato che quello che mi era capitato, quello che sentivo, era un richiamo alla pienezza di vita, che legittima il diritto all’amore.

L’esperienza conta

E come l’innamorarsi nell’adolescenza non tiene conto della prudenza, della vigilanza, dell’indagine razionale sulla persona di cui ci si innamora, ma solo dell’impulso dei sentimenti e dei sensi, così è anche in età matura. Il rischio è dunque sempre quello di prendere un abbaglio, di incappare prima o poi nel disinganno. Solo se l’incontro con l’altro, per una qualsiasi motivazione, è frutto di una intenzionale ricerca, di una consapevole scelta, soprattutto in età matura, allora entrano in gioco l’attenzione, a parole, gesti, comportamenti, la cautela nel dare fiducia, l’analisi di prove in più situazioni. L’esperienza della maturità, l’equilibrio raggiunto, l’avvedutezza acquisita nel vissuto di anni e anni danno consiglio, stimolano ad autoproteggersi. È questa la differenza, credo, tra un adolescente e una donna d’età nel reagire di fronte all’abbaglio di un innamoramento. La donna matura, autonoma, di carattere, sceglie in tempo di liberarsi da un “sogno d’amore” ingannevole, pure se costa sofferenza.
Il passaggio dall’innamoramento all’amore è alla base di una stabile relazione di coppia. È una trasformazione quasi ovvia, sostenuta da tanti studi, che ha attraversato la mia stessa esperienza di vita di coppia ormai più che decennale. Il trasporto amoroso, passionale dei primi tempi fluisce nel piacere quotidiano dello stare insieme, del fare insieme, nel condividere… e questo è tanto più vero quanto più si è “avanti con gli anni”. Senti di aver ricevuto un dono. Hai accanto un compagno che conosci, di cui accetti le differenze che non si scontrano con la tua personalità, che non limita la tua libertà, bene essenziale conquistato negli anni, ma con cui puoi condividere interessi e progetti, perché il futuro insieme apre orizzonti, fai conto su una persona per lo scambio reciproco di sostegno, cura e affetto. Lo spettro di una vecchiaia in solitudine non ti fa paura e quasi quasi credi che una coppia, giovane non di età ma di appena dieci anni o poco più, meriti una prospettiva di vita ancora lunga.