Chi va con lo zoppo, impara l’essenziale

L’Infermeria provinciale dei cappuccini, luogo di malattia e amore

 di Giacomo Franchini
frate cappuccino, medico, responsabile dell’Infermeria provinciale di Reggio Emilia

 I frati non vanno in pensione, svolgono il loro servizio nei rispettivi conventi finché ne sono in grado, anche in età molto avanzata.

Quando non sono più autosufficienti o perché troppo anziani o perché seriamente ammalati, vengono trasferiti nell’Infermeria provinciale che ha sede presso il convento di Reggio Emilia. Questo è un luogo attrezzato ove alcuni confratelli, in collaborazione con personale specializzato e volontari, si occuperanno di loro per tutto il tempo necessario. Se il problema è temporaneo, riacquistata l’autosufficienza il frate ritorna al suo convento. Se si è di fronte a malattie croniche ed in progressiva evoluzione il frate verrà assistito e curato per tutto il tempo della sua vita. Questo è in linea con quanto ha scritto san Francesco nella Regola: «E se uno di essi cadrà malato, gli altri frati lo devono servire come vorrebbero essere serviti essi stessi» (Regola Bollata, VI,9: FF 92).

 

 Come ogni altra comunità

Nell’Infermeria vengono mantenuti lo stile di vita e le abitudini che hanno caratterizzato tutta l’esistenza del frate, cioè la fraternità, i momenti di preghiera e, se le condizioni di salute lo permettono, anche una certa attività pastorale (confessioni, direzione spirituale, ascolto).
Per portare avanti tutto questo, in Infermeria prestano servizio a tempo pieno due frati (uno medico), tre operatori socio sanitari e personale addetto alla cucina, alle pulizie, alla lavanderia. Vi sono poi diversi volontari, il cui contributo è prezioso e coi quali si è creato un rapporto di fraterna amicizia, che danno un aiuto di tipo assistenziale, molto simile a quello richiesto a una normale famiglia che abbia da gestire un familiare anziano. Fra i volontari vi sono anche medici specialisti che da anni si rendono disponibili per consulenze in tutti i casi necessari. Inoltre nel periodo estivo e nelle domeniche ormai da tanti anni si può contare sull’aiuto e la collaborazione di diversi giovani frati in formazione.
Si è ritenuto fosse cosa buona far conoscere la realtà dell’Infermeria a tante persone che avevano conosciuto in passato diversi frati che poi avevano perso di vista e si erano chieste dove fossero finiti. Da alcuni anni si è cominciato a presentare questa realtà durante le messe domenicali in alcuni nostri conventi e in varie parrocchie delle diocesi, dando vita a giornate per l’infermeria. Le persone hanno apprezzato il fatto che i frati stessi si prendessero cura dei loro confratelli sino alle ultime fasi della loro vita.

 

Con i malati, per i malati

Attualmente in Infermeria sono ospitate 22 persone, di cui 16 frati, 1 vescovo cappuccino, 3 sacerdoti diocesani o di altre congregazioni, 2 uomini che hanno trascorso tutta la vita nei nostri conventi svolgendo diverse mansioni per la gestione delle case e che ora, diventando anziani, hanno bisogno di assistenza.
Quasi tutti i malati presenti non sono in grado di svolgere le normali attività della vita quotidiana senza essere aiutati. Sono ospitati attualmente frati con patologie gravi e complesse che hanno reso necessario l’impianto di cannule tracheali o di PEG, in quanto impossibile un’alimentazione per via orale senza correre il rischio di polmoniti da ingestione di cibo. Il deterioramento cognitivo, a vari livelli di gravità, è responsabile della non autosufficienza in almeno la metà dei casi. Tali persone vivono in un loro mondo, costellato di ricordi lontani che riaffiorano e si attualizzano nel presente, il che porta alla convinzione di stare vivendo ora quelle situazioni, dissociandosi più o meno marcatamente dal mondo reale. Dialogare con loro significa assecondarli, in quanto è inutile e spesso controproducente cercare di ricondurli alla realtà. L’aspetto positivo è che non ci sono quasi mai comportamenti aggressivi o oppositori.
Allo stesso tempo vi sono anche casi di frati molto anziani ma ancora perfettamente lucidi che sono straordinari nella gestione della loro situazione; si dimostrano in grado di affrontare la vecchiaia e la malattia, e tutto ciò che questo comporta, con una serenità e pace interiore non comuni. Basta guardarli ed osservare tutto ciò per rendersi conto che questi hanno capito il senso della loro esistenza, un’esistenza autentica e realizzata: è proprio vero che ogni fase della vita può essere piena e significativa se vissuta in un’autentica relazione con Dio. I momenti comuni di preghiera sono quelli a cui tutti, più o meno lucidi, fanno riferimento: il tempo è scandito da lodi, vespri, rosario e messa; tali momenti sono tanto radicati nella vita di ognuno da poter essere considerati i cardini della giornata.
 

Qual è il senso della gratuità

In Infermeria sono passati dei frati con malattie incurabili, in fase terminale, che hanno vissuto questo periodo della loro esistenza perfettamente consapevoli della loro grave situazione di salute e consci di essere giunti ormai al termine della loro vita terrena. Mi ha colpito la loro fede, una fede certa che li ha portati a vivere quei giorni non come gli ultimi, ma come quelli che preparavano all’imminente incontro con Dio, una cosa attesa e desiderata. Momenti vissuti in una serenità e una pace interiore così autentiche da far venire la pelle d’oca. Condividere, anche se da un altro punto di vista, questi momenti con loro la ritengo per me un’esperienza straordinaria e indimenticabile.
Essere testimone di queste esperienze, essere a contatto con il decadimento fisico e cognitivo, con la sofferenza, vedere morire tante persone sono esperienze forti, toccanti che aprono a tante riflessioni che si fanno largo prepotentemente nella mente e nel cuore. Per forza poi ti chiedi cos’è che conta davvero nella vita, quali sono le cose veramente importanti, quelle che fanno la differenza nella vita di un uomo. Ti rammarichi di aver perso tanto tempo concentrato su cose secondarie o francamente inutili. Capisci che la tua vita te la giochi nel dono, nel prendersi cura di persone fragili e deboli che il Signore mette sulla tua strada. Capisci il senso della gratuità.
Quando ti alzi alle tre di notte perché una persona si sta lamentando, vai da lui, fai quello che è necessario e, se quello neppure si accorge della tua presenza, ti fermi e ti chiedi perché lo fai: nessuno ti ringrazierà e se non lo racconti tu nessuno verrà mai a saperlo. Quindi non c’è una gratificazione, un riconoscimento. È allora che cominci a capire cos’è il dono gratuito. Sperimentare tutto questo è certamente una grazia, anche se non la ritengo una cosa eccezionale. Mi ricorda quei genitori che hanno un bambino piccolo, di pochi mesi, che in piena notte si mette a piangere, a urlare. Quelli si alzano, gli danno da mangiare, lo cambiano, perdono un’ora e più di sonno e la mattina dopo si alzano presto perché debbono andare a lavorare. Perché lo fanno? Questo è l’amore gratuito, disinteressato, quello vero.