Il matrimonio interconfessionale dà un volto ed una storia al dialogo ecumenico. Sostenuto dalla grazia divina, non può essere realizzato solo grazie alla buona volontà degli sposi. Essi hanno bisogno del sostegno pastorale delle rispettive comunità. Queste «Chiese domestiche», importanti ponti di collegamento, diventano canali preziosi per l’incontro tra le comunità cristiane. Ne abbiamo parlato con Marco e Daniela, coppia interconfessionale.
a cura di Barbara Bonfiglioli
Ecumenicamente coniugi
Intervista a Marco e Daniela
Ci raccontate chi è Marco, chi è Daniela e chi sono Marco e Daniela?
M: Sono cattolico, per famiglia e storia; nel pensarmi con Daniela e poi due figlie, Sarah ed Anna, particolarmente impegnative, mi sono trovato in un’altra dimensione, ancora in costruzione, in cui ci sta più il “papà casalingo” che il “papà lavoratore fuori casa”. Sono diminuiti gli impegni in parrocchia; mentre è cresciuto il mio coinvolgimento nell’ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.
D: Sono nata e cresciuta a Palermo, in una famiglia cattolica ecclesialmente impegnata. Le mie esperienze personali ed ecclesiali ed il mio percorso di formazione mi hanno portato a mettere in discussione l'appartenenza confessionale. Sono valdese dal 2002 e appartengo alla chiesa metodista di Bologna e Modena dal 2005, anno del mio trasferimento a Bologna. Considero l'impegno ecumenico prevalente rispetto alle appartenenze confessionali.
M e D: siamo soprattutto genitori che camminano insieme anche nelle diverse esperienze di Chiesa.
Come vi siete incontrati? Come ve lo ha fatto vivere chi era attorno a voi?
M e D: Siamo diventati coppia dopo un’amicizia cresciuta all’interno dell’esperienza delle sessioni nazionali estive del SAE. Prima un intenso carteggio, poi storie sempre più intrecciate tra Bologna e Palermo, con la decisione di Daniela, dopo un profondo percorso di riflessione e di fede, di passare alla Chiesa Valdese. I nostri due mondi hanno trovato intorno relazioni amicali, tenuto conto delle diversità culturali delle due regioni; mentre l’aspetto di fede era visto più come privato.
Come avete camminato su questa strada?
M: Durante il lavoro di riflessione che ha portato ai documenti per il matrimonio misto tra cattolici e valdesi, abbiamo sperimentato la forbice, in ambito cattolico, tra dottrina e pastorale, e, in ambito protestante, il non considerare sacramento il matrimonio. L’influenza europea dei movimenti delle Interchurch families ha aiutato, ma sapevamo che il nostro cammino non sarebbe stato semplice.
D: Credo che l’interazione tra le diverse culture stia diventando più frequente e necessaria e ritengo che sia più facile se l'incontro con l'altro non induce un atteggiamento difensivo.
Papa Francesco afferma che l’ecumenismo nella quotidianità è costruito sull’impegno dell’uomo ma anche dono di grazia di Dio. Concordate?
M: Sposandoci, abbiamo toccato e tocchiamo con mano le occasioni di crescita nella quotidianità e la grazia di Dio ci sostiene. Abbiamo impegni nelle diverse comunità di appartenenza che ci coinvolgono, tenendo presente l’altro. Purtroppo non siamo stati in grado di inserire le figlie nelle comunità, una fatica, una spina che non fa mai sentire arrivati.
D: Sento soprattutto l'impegno a parlare in termini rispettosi della fede e della chiesa dell'altro; sperimento la grazia di veder progredire il cammino ecumenico nella città in cui viviamo.
Papa Francesco definisce i matrimoni interconfessionali «luogo privilegiato di dialogo»: voi cosa ne pensate?
M: Come su altri aspetti, papa Francesco ha una sensibilità pastorale maggiore rispetto a quella presente nelle comunità. La presenza di una coppia interconfessionale è una risorsa per una comunità: sollecita il rispetto verso altre scelte di vita. È importante che l’attenzione agli altri e all’accoglienza non derivi dall’educazione dei singoli, ma dalla convivenza di diverse storie. In tale senso la famiglia si mostra ancora un luogo privilegiato per educarsi a costruire ponti.
D: Il nostro è un matrimonio non solo interconfessionale, ma anche “interregionale”: nel nostro caso, si sono incontrate non solo le fedi ma anche le abitudini quotidiane. A volte è diverso il nome che diamo alle cose. Non poter mai dare niente per scontato è un po' faticoso, ma genera consapevolezza e ricchezza.
Nell’educazione delle vostre figlie come avete rispettato tutte le libertà coinvolte nella vostra scelta di vita?
M: L’impegno per l’educazione cristiana era una promessa non negoziabile. Credevo che alcune dinamiche, come l’accettazione nei cammini formativi delle diverse comunità, sarebbero state ‘tranquille’. Sarah e Anna hanno ricevuto il Battesimo nella Chiesa cattolica con una bella liturgia ecumenica; in seguito, con il riconoscimento dei bisogni speciali di Anna, le difficoltà per provare ad iniziare un percorso di catechesi nell’una e nell’altra Chiesa sono cresciute. Ad oggi Sarah si definisce agnostica con domande ed Anna è in cerca di amicizie al di fuori della comunità ecclesiale. Cerchiamo di coinvolgerle nei diversi impegni di ciascuno di noi, perché possano vedere che per noi sono molto importanti e cerchiamo di tenere aperto questo canale di domande e di sollecitazioni. Ci hanno dato molti insegnamenti e cerchiamo di stare sul pezzo come genitori nella quotidianità.
D: Il più grande insegnamento è che, se non posso parlare di Dio alle mie figlie, posso parlare delle mie figlie con Dio. E Lui ascolta! Dalla figlia maggiore viene una grande richiesta di rispetto per le sue scelte e dalla minore il richiamo ad un annuncio che non passi solo attraverso le parole.
Quali sono gli aiuti concreti che queste famiglie hanno – secondo voi – dalle rispettive Chiese?
D: L'aiuto più grande e concreto è che ogni comunità sente l'altro coniuge come “uno di noi” e non come un ospite; anche se il livello di consapevolezza delle persone è diverso.
«Chiesa e comunità ecclesiale», dice Kasper «hanno molto da imparare dalla "comunione nella missione" che si riflette nelle vostre famiglie». Qualche suggerimento?
M: Se parliamo di ‘coppie interconfessionali’, l’opinione personale è che si sia perso molto tempo nel valorizzarle come risorsa nella pastorale familiare. Sui matrimoni, ad esempio, tra musulmani e cristiani, la riflessione mi sembra più indietro rispetto a quella sui matrimoni tra cristiani, e il clima culturale odierno non aiuta. L’accoglienza è un punto su cui le comunità cristiane possono fare molto. I passi pastorali e dottrinali da fare riguardano aspetti come la “ospitalità eucaristica” e la possibilità di “scambiarsi” nei percorsi catechetici nelle diverse età. Valorizzare i diversi impegni di carità fa sentire le coppie interconfessionali come ‘appartenenti’ al popolo cristiano, in cammino, con uno spazio profetico loro specifico, che aiuta la missione di tutti.
D: Alle chiese chiederei di parlare l'una dell'altra con la stessa chiarezza e rispetto con cui parli a un familiare con cui non sei d'accordo, senza arrivare ad una frattura.