Un libro uscito da poche settimane apre uno squarcio su una possibilità pastorale interessante, che prova a dare corpo alla indispensabile dimensione della missionarietà, ma “a Km zero”. Già sparsa in alcune Diocesi italiane, indica una possibile via per rivitalizzare l’annuncio e nel contempo provare a fare i conti con una Chiesa che non può più essere “parrocchia normale”.

a cura di Gilberto Borghi

 Attaccati ai campanelli

L’esperienza missionaria si può vivere, in famiglia, anche a Km 0

 di Gerolamo Fazzini
caporedattore della rivista “Credere”

 Hanno scelto, con una formula simpatica, di chiamarsi “Famiglie missionarie a Km zero”. Chi sono?

Super-coppie reduci dal “Terzo mondo” che vogliono continuare qui, nostalgicamente, a vivere quanto sperimentato dall’altra parte del globo? Famiglie che, non potendo o volendo partire, si “accontentano” di annunciare il Vangelo ai vicini? Beh, la questione è un’altra. Più semplice e complessa allo stesso tempo. Potremmo definirle famiglie normali che hanno deciso di accettare la proposta di vivere un’esperienza di servizio un po’ fuori dagli schemi. Una sorta di “laboratorio pastorale” che, a partire dalla quotidianità e non da iniziative più o meno eclatanti, vuol provare a cambiare un po’ le nostre comunità cristiane, rendendole più accoglienti, “calde”. Più umane e, quindi, più evangeliche.

 La minoranza sta

Ho cercato di raccontare questa avventura in fieri - che ha iniziato a muovere i primi passi in Diocesi di Milano ma si sta allargando altrove, in Italia - con un libro, uscito all’inizio del Mese straordinario della missione, che papa Francesco ha indetto nell’ottobre scorso per risvegliare la Chiesa alla “missione ad gentes”. Il libro, dal titolo “Famiglie missionarie a Km zero. Nuovi modi di abitare la Chiesa”, è uscito con il marchio editoriale di IPL, legato alla Diocesi di Milano.
Intendiamoci. Non è il catalogo di una serie di esperienze unificate dalla “questione pastorale” di come mandare avanti una parrocchia senza il parroco. Raccontando storie di famiglie e di sacerdoti che stanno provando a vivere giorno per giorno una fraternità che di suo è eloquente, il libro ha una pretesa ben più ambiziosa: documentare che si può andare da cristiani «in direzione ostinata e contraria» rispetto a una cultura dominante che predica individualismo e sicurezza, mostrando un volto di Chiesa, forse meno appariscente di altri, ma più autentico e bello, capace di comunicare il fascino del Vangelo in maniera convincente.
Molte (e differenti) le realtà che ho incontrato. La maggior parte – come detto – hanno radici in diocesi di Milano: abitano in edifici della chiesa: canoniche, oratori o edifici sussidiari, e fanno del loro stile di vita una forma di annuncio, vivendo in profonda sinergia con la Chiesa locale. Alcune di queste famiglie, come quelle milanesi, contribuiscono a “tenere aperte”, rendendole significative, altrettante strutture della Chiesa. Altre, invece, abitano in edifici propri, ma con spazi dedicati alla diffusione della Parola e all’accoglienza di chi è in difficoltà. In comune queste esperienze hanno il fatto di realizzare pienamente l’immagine della famiglia come soggetto di pastorale.

 Diversamente uguali

Girando tra il Varesotto e la periferia di Milano, tra Padova e Alba, la prima cosa che mi ha colpito è la normalità dei protagonisti: famiglie come tante, alle prese con problemi che vanno dai ritmi incasinati alla casa impossibile da tenere in ordine (sfido chiunque a farcela se si hanno due, tre o più bimbi piccoli). Se “diverse” lo sono queste famiglie non è in virtù di doti mirabolanti che il Creatore ha loro riservato, ma, piuttosto, per due semplici ragioni. La prima: hanno scelto di farsi gli affari degli altri, ossia di non vivere in “appartamento”, isolandosi dal mondo. La seconda: sono famiglie contente di esserlo, per di più in quella forma così particolare che si sono trovate a vivere, «con la porta aperta», che a volte nemmeno le famiglie di origine hanno ben compreso. La loro è sì una «vocazione nella vocazione», ma a partire (e non nonostante) dalla fedeltà al loro matrimonio. Normalissima è anche l’organizzazione familiare: quasi tutti i mariti e le mogli incontrati mantengono il loro lavoro. E lo fanno non solo come fonte di reddito e occasione di realizzazione personale, ma anche come terreno possibile per testimoniare il Vangelo. Tutte le famiglie, inoltre, sono economicamente autonome dalla parrocchia: pagano utenze e bollette, evitando di gravare sulle casse della comunità.
La normalità dei genitori va di pari passo con quella dei figli, i quali vivono la vita del quartiere, fanno sport come i loro coetanei e di solito frequentano le scuole del territorio. Ed è proprio in questo contesto che, grazie a una ragnatela fitta di relazioni informali, nascono i contatti più significativi con chi è lontano dalla vita della parrocchia. Se c’è, infatti, una cosa sulla quale queste famiglie scommettono è che l’evangelizzazione proceda per relazioni coltivate più che per eventi organizzati. Al modo di Madeleine Delbrel, queste famiglie, per le quali la vita viene prima di ogni teorizzazione, sanno cogliere le circostanze propizie: incontri imprevisti, cuori che improvvisamente si schiudono a confidenze, pianti e risate in compagnia… Sì, perché proprio lì Dio si rivela e si fa incontrare. Se chi conduce le danze è lo Spirito, e non noi e i nostri calcoli, la questione è assecondare dolcemente i suoi movimenti, per quanto spesso imprevedibili e scomodi, più che indossare armature protettive. Questo modo di porsi, ovvero l’accentuazione dello “stare” sul “fare” (un ritornello frequente, nei tanti incontri avuti), mi pare un efficacissimo antidoto al rischio di efficientismo di cui talvolta soffre la Chiesa.

 Viva la biodiversità

Molto variegata è la provenienza ecclesiale delle famiglie missionarie a Km zero. Si va dagli scout dell’Agesci all’Ordine Francescano Secolare, da Comunione e Liberazione all’Operazione Mato Grosso, dall’Associazione Papa Giovanni XXIII, ai laici missionari della Consolata, alle famiglie partite come missionarie fidei donum. Una “biodiversità ecclesiale” sorprendente: segno inequivocabile che all’opera c’è un Altro.
Infine. Chi, fra i protagonisti di questa avventura, ha fatto in passato esperienza di missione nelle periferie geografiche ed esistenziali in Brasile, Perù, Venezuela o altrove, vivendo in diocesi immense, poco strutturate e con un clero inadeguato rispetto alle “esigenze pastorali”, ha vissuto sulla sua pelle la sensazione di assoluta sproporzione fra il compito assegnato e i mezzi a disposizione: «Ma cos’è questo per tanta gente?». C’è solo un modo, in questi casi, per evitare la rassegnazione o, peggio, la frustrazione: affidarsi. E vivere dando testimonianza nel piccolo, più che sognare di realizzare opere strabilianti o iniziative di successo. Un compito tipicamente da laici. A loro infatti è consegnata l’affascinante ma non meno ardua missione di innervare il quotidiano con una fede umile e autentica insieme. Consapevoli che non basta più “suonare le campane”, ma vanno “suonati i campanelli”, per toccare il cuore delle persone.

 

Dell’Autore segnaliamo:
Famiglie missionarie a km 0 -
Nuovi modi di “abitare” l
a chiesa
IPL, Milano 2019, pp. 176