Vangelo made in India 

Da terra di missione a terra di missionari 

intervista a fr. Lorenzo Motti, Ministro provinciale,
a cura di Saverio Orselli

 Con fr. Lorenzo ci siamo incontrati nel luogo più caotico (ma anche molto stimolante) che la realtà francescana di questi anni possa offrire, il Festival Francescano,

a Bologna nell’ultimo fine settimana di settembre. Piazza Maggiore è affollata di gente che ha appena ascoltato Romano Prodi e padre Antonio Spadaro parlare di dialoghi con la popolatissima Cina, con un accenno al futuro territorio che diventerà ancora più popolato, l’India. È l’occasione giusta per fare quattro chiacchiere all’ombra della Fontana del Nettuno del Giambologna e andare a parole dall’altra parte del mondo o quasi, in quell’India che fr. Lorenzo, accompagnato da fra Nicola Verde, ha visitato in aprile, per partecipare al Capitolo della Provincia del Karnataka.

 Il titolo che, con p. Matteo, avevamo pensato per questo articolo era “India, da terra di missione a terra di missionari”; nello scorso mese di aprile una delegazione di frati della provincia dell’Emilia-Romagna è volata a Bangalore nel sud del subcontinente indiano: cosa vi ha spinto così distanti e quali rapporti ci sono tra la nostra provincia e quella indiana del Karnataka?

 Direi due motivazioni. Noi abbiamo iniziato già da qualche anno una collaborazione con i frati del Karnataka - Bangalore è la capitale di quello Stato, che è uno dei più sviluppati dell’India - e che si è concretizzata in Turchia, dove tre frati di quella provincia indiana ci aiutano a sostenere la nostra delegazione. Una collaborazione che vogliamo allargare per sostenere il personale qui da noi, così come si va consolidando il nostro sostegno a varie iniziative sociali che i frati del Karnataka portano avanti nelle regioni più povere dell’India in cui sono presenti. Il viaggio in aprile, con fra Nicola, ci ha permesso di partecipare al Capitolo della provincia del Karnataka.  

 I rapporti con la provincia indiana sono iniziati da molto tempo?

 Un rapporto “spot” si può dire che è iniziato venticinque anni fa, quando un frate del Karnataka venne ad aiutarci in Turchia, anche se non c’era nulla di ufficiale, mentre l’ufficialità è arrivata con un accordo tra le due province stipulato da fra Matteo, il precedente provinciale, sette o otto anni fa per definire l’aiuto in Turchia; in questo mio mandato ho cercato di estendere la collaborazione anche alla nostra realtà in Emilia-Romagna.

 L’India da terra di missione sta davvero diventando terra di missionari, mentre noi, al contrario, da terra di missionari stiamo diventando terra di missione?

 In effetti è così, anche se, per comprendere il rapporto con quella terra, è giusto fare un passo indietro. Il nostro collegamento con l’India parte da lontano, dagli inizi del Novecento, quando diversi frati cappuccini missionari della provincia di Bologna sono andati in India; in quel caso nel nord, soprattutto a Lucknow, nell’Uttar Pradesh. Si tratta quindi di una collaborazione che è cresciuta nel tempo e che ha visto i nostri missionari affidare, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, le missioni ai cappuccini locali, ormai in grado di proseguire da soli. In quegli anni noi ci siamo spostati nel Kambatta-Hadya, in Etiopia, dove siamo presenti ancora oggi. Adesso stanno iniziando a cambiare le cose, per cui sono loro a venire in nostro aiuto, in Turchia e qui, in Emilia-Romagna, perché l’Europa, non solo l’Italia, sta diventando terra di missione. Mi piace però sottolineare un aspetto importante di questa collaborazione. Noi, in Europa, ma anche in Italia, diversamente da quanto accade in India, abbiamo poche vocazioni e quindi abbiamo bisogno di un aiuto che risulta importante anche per loro, una vera ricchezza, perché, venendo qui, respirano quel “carisma” che da loro è ancora un po’ fragile, nel senso che molti frati vivono “da preti” e mancano del carisma della fraternità e della minorità. In alcune zone poi, dove domina ancora la divisione in caste, è ancora molto forte il prestigio sociale, il cui livello sale nel diventare frate o sacerdote e quindi per loro è una importante opportunità potersi confrontare qui da noi con una realtà diversa, più legata al carisma. Certamente, rispetto a noi, dentro di loro hanno un desiderio e un fuoco missionario più forte del nostro… ecco, sentono l’esigenza di evangelizzare e anche questa è una ricchezza per noi e per loro. 

 Grazie al sito https://www.ofmcap.org/it/cappuccini/dove-siamo, ho fatto un giro tra le province indiane e, per quanto l’India sia davvero grande quanto un continente, nella quindicina di realtà presenti, ho visto significativi numeri di frati e di novizi, con il Karnataka che risulta essere la realtà più grande con 190 frati, 13 novizi e 22 case: il messaggio di san Francesco affascina gli indiani?

 È vero, attira molto gli indiani e, per certi versi, si incarna molto bene nella loro realtà.
Più che santi come Francesco o altri, io credo sia il cristianesimo in sé ad avere molto da dire in quelle terre, anche se l’India vive, in certo qual modo, fenomeni di integralismo legato all’hinduismo, al punto che il governo attuale sta cercando di trasformare l’India nello stato degli hindu. Il cristianesimo però attira molto. Se a questo si aggiunge che la provincia del Karnataka ha una sensibilità missionaria particolare, si può vedere come da lì siano già partiti tanti missionari, in particolare per le regioni del nord - gli Stati del Tripura, Manipur, Mizoran e Nagaland che abbiamo visitato con fr. Nicola - che confinano con Bangladesh e Myanmar, e che sono tra i territori più poveri del mondo, dove i cappuccini del Karnataka sono andati ad assistere le caste più povere. In un caso abbiamo incontrato dei cappuccini che vivono con una casta che, per sopravvivere, si è rifugiata nella foresta dopo che era stata allontanata con la forza, incendiandone le capanne. Quei cappuccini vivono da poveri tra i più poveri, con un “fuoco” missionario che colpisce.  
Dopo aver partecipato al Capitolo provinciale nel Karnataka, abbiamo visitato quelle regioni legate alla provincia indiana, per la presenza dei missionari cappuccini.

 Per il futuro cosa possiamo aspettarci?   

 Per il futuro - e credo che ce lo chieda il Signore oltre che la realtà in cui viviamo, con questi spostamenti di popolazioni legati alla globalizzazione - penso che dovremo crescere nella capacità di vivere insieme con l’altro, il diverso, comunicando tra noi (come suggerisce anche il tema del Festival Francescano), per apprezzare sempre di più le diversità e crescere insieme e, così, testimoniare una delle urgenze di questo nostro tempo: il Cristo che unisce e non divide.