Platone aveva ragione
La nuova comunicazione in bilico tra arte e retorica
di Pietro Casadio
della Redazione di MC
Il ritorno della retorica
Un’importante premessa: non sono un addetto ai lavori nel settore comunicativo e men che meno uno scienziato della comunicazione. Le osservazioni di questo articolo sono principalmente dovute all’esperienza di un giovane (io) abituato al martellamento mass-mediatico che ci avvolge ormai da anni e solito a bazzicare la rete. Dunque opinioni empiriche e non scientifiche. L’ho premesso: perciò, ve ne prego, non lanciatemi monetine.
Il punto di partenza, nel lanciarmi imprudentemente in un’analisi del postmoderno, è una certa contaminazione fra arte e comunicazione. Quanta distanza c’è tra il discorso di un comizio elettorale, le invettive di Beppe Grillo e le performance satirico-comiche di Crozza? Dove finisce la comunicazione e dove iniziano invece gli espedienti tipici dell’arte, ovvero l’estetica e la retorica? La risposta, mi pare, è che il confine risulta essere piuttosto labile. Da un lato l’arte non ha mai perso la sua enorme capacità comunicativa, dall’altro la comunicazione, in particolare quella della tv e della rete, si avvale spesso di mezzi artistici per aumentare la sua efficacia persuasiva.
Lasciando stare gli effetti di questa “contaminazione” nell’arte, sul fronte comunicazione mi sento di sottolineare un forte ritorno storico della retorica. Retorica che, si sa, ha vissuto di alti e bassi nella storia dell’uomo e che dopo aver dominato nelle dispute basso-medievali e nelle diatribe religiose cinquecentesche sembrava essersi persa nello sviluppo della Galassia Gutenberg (l’era moderna fino all’avvento mass-mediale). Retorica che invece è tornata di una certa importanza oggi, come possono testimoniare gli ultimi vent’anni della nostra politica. A questo punto una mia carissima amica mi ricorderebbe che questo revival comporta non poche controindicazioni e che già Platone nel Gorgia evidenziava i pericoli di una retorica capace di prevalere, a un livello mediatico, sulla competenza e sulla veridicità dei contenuti. Aveva ragione Platone come avrebbe ragione la mia amica.
Il dato che comunque resta è una comunicazione che si sforza di non essere didascalica cercando di essere esteticamente attraente. La colpa (o la causa) è anche e soprattutto di noi consumatori che spesso rifuggiamo un’informazione nuda e cruda in quanto nozionistica e quindi fondamentalmente inutile. La comunicazione che vende è quella che unisce il contenuto a una serie di prerequisiti estetici di per sé estranei alla funzionalità comunicativa. Prerequisiti che, è inevitabile, cambiano e si trasformano in sintonia con la cultura artistica. Si arriva perciò a uno strano parallelismo tra i valori artistici contemporanei e le caratteristiche della nuova comunicazione. Ve ne propongo quattro.
Rapidità e leggerezza
Le prime due caratteristiche vanno in coppia e sono la rapidità e la leggerezza. Sì, lo so, non sono farina del mio sacco: le aveva già profetate Italo Calvino nel lontano (in termini di comunicazione è proprio il caso di dirlo) 1985, nelle famose Lezioni americane. Beh, Calvino le proponeva come valori artistici per il millennio a venire e non come tratti comunicativi, ma come dicevo le due cose vanno a braccetto. Mi pare che la necessità di un’informazione che sia veloce e poco pesante possa essere esplicata nel passaggio di testimone tra la popolarità dei giornali e quella dei telegiornali. Nella nostra frenetica vita quotidiana non c’è né il tempo né la voglia di sedersi, aprire un giornale e leggerlo pazientemente. Meglio i flash che ci danno i tg, uniti peraltro all’immagine, certamente più “leggera” - non solo visivamente - del pesante inchiostro nero. Non si può ovviamente negare un significativo risparmio di tempo, ma l’impressione è che questo take-away della comunicazione possa far perdere ciò che un po’ di sana lentezza garantisce sempre: quella che definirei la sedimentazione interiore di ciò che viene dall’esterno, quel “serbare nel cuore” che permette un primo discernimento e una prima elaborazione.
Sintesi emozionante
La terza caratteristica, conseguenza diretta delle prime due, è la sintesi. Non si può dire tutto di tutto, si deve scegliere cosa dare e stabilire una gerarchia di importanza. Guardate l’home page di un sito internet ben strutturato: ci sarà tutto il necessario, e non di più, per far comprendere l’essenza del sito stesso. Credo che la sintesi abbia nell’arte e nella letteratura una nobile origine: l’umile constatazione della vastità del mondo in cui ci troviamo. Di conseguenza un’opera non ha più la pretesa di contenere una Weltanschauung, una visione del mondo, ma un’idea, un’intuizione, pochi elementi veramente basilari. Così nella comunicazione: via la puntualità analitica del contenuto, oggi troppo pesante, per ridurre l’informazione ai minimi termini. Troppo spesso però questo si concretizza in un’informazione frammentata e disunita, a dimostrazione che sintetizzare è cosa molto difficile. La sintesi poi lascia nelle mani di chi fa comunicazione il giudizio su quali siano questi minimi termini da trasmettere, con tutti i rischi che ne conseguono. Bisogna però apprezzare un notevole potenziale di incisività: va al sodo, come si suol dire.
L’ultimo requisito della nuova comunicazione è quello di provocare emozioni. Non è un caso che il mezzo comunicativo più popolare tra i giovani sia il video. Nella sua immediatezza un video ha un enorme impatto emozionale, riuscendo a scatenare in pochi minuti divertimento, indignazione, stupore, commozione. Le sensazioni e l’istinto sembrano essere oggi gli strumenti privilegiati per la conoscenza del mondo. È forse una reazione, inconsapevole e spesso esagerata, a quel pedante concettualismo novecentesco che ha fatto della complessità razionale la struttura dell’uomo e dell’universo. Che sia perlomeno un richiamo a una maggiore semplicità, immediatezza e spontaneità nel nostro comunicare.
E così, alla fine di questa piccola analisi opinabile, tiro le somme e vi lascio andare. La maggiore difficoltà della nuova comunicazione sta forse nella sua precarietà (si adatta ai tempi, non c’è che dire). La forma rapida, leggera, sintetica ed emozionale non dà grandi garanzie di solidità e si fa portatrice di giudizi, quelli di chi produce comunicazione, difficilmente verificabili e messi alla prova. È insomma una comunicazione che facilmente si impone su chi non ha i mezzi per decostruirla. Tuttavia questa mi pare essere, che ci piaccia o no, la nuova frontiera. Accettandola e conoscendola si potrà forse trovare in essa qualche stimolo significativo per una comunicazione migliore (anche in ottica di testimonianza cristiana). Dopotutto, la butto lì, Gesù non era né prolisso, né pesante, né concettoso nel suo parlare.