Parafrasando il profeta Gioele (3,1), se «i vostri padri faranno sogni, i vostri figli avranno visioni», i figli sono il nostro sogno dal carcere. Di chi li ha, di chi non li ha più, di chi non li ha mai avuti. Se trasformiamo la nostalgia per la distanza – fisica o affettiva – in sogno, regaliamo visioni ai nostri figli. Siamo padri sempre.

a cura della Redazione di “Ne vale la pena”

 I figli ci fanno vivere

Dolori e desideri di paternità negate

DIETRO LE SBARRE

Genitori dentro

La bellezza di sentirsi amato da un figlio riscalda il cuore, anche in questo posto, dove i sentimenti spesso prendono strade inaspettate.

Qualsiasi genitore che desidera essere un vero genitore concorderà che vedere i propri figli solamente una volta a settimana, per poche ore, è uno strazio. Vederli crescere come in fotografia, uno scatto alla volta, sentendosi nel contempo impotenti e assenti sia nell’accompagnarli nelle scelte che nel ruolo di insegnamento per la vita, è uno degli aspetti più crudeli della carcerazione. Il distacco netto dai figli per la detenzione toglie quell’autorevolezza che si conquista giorno per giorno e che è necessaria ad un corretto percorso educativo. Questo non significa che i figli dei detenuti siano del tutto privi di una istruzione genitoriale, ma in questo tempo in cui tutti sono costantemente connessi, con un facile superamento delle distanze, è assurdo dover vivere questa condizione di totale distacco, senza mezzi di comunicazione adeguati, nelle forme e nelle quantità, per realizzare una maggiore vicinanza familiare, oltre il breve colloquio settimanale.
Se tutto si limita a quell’incontro, come si può riuscire, nel poco tempo a disposizione, a far capire al figlio dove si trova il padre o la madre, perché è lì, quando tornerà a casa? Come si può gestire questa lacerante lontananza che non si può colmare in un’ora alla settimana? Alcuni di noi, per evitare di affrontare questa difficilissima situazione, prendono la decisione netta di non incontrare affatto i figli a colloquio, infliggendosi un “di più” di pena sul piano emotivo ed affettivo, sperando di minimizzare il dolore per i propri cari; altri raccontano ai figli di esser qui in istituto per lavorare, altri ancora magari inventano altre storie: ognuno cerca di attutire il colpo come può, nel modo che ritiene meno doloroso o meno dannoso per la famiglia.
In ogni caso, però, la sofferenza è tanta, ed i rimorsi ed il dolore per non poter stare a fianco a ciò che di più caro abbiamo al mondo non possono essere superati. La vita è strana: mettiamo al mondo i figli facendo di tutto per farli stare bene, augurandoci che non soffrano mai, ed invece è proprio da noi che si generano le loro sofferenze, a causa dei nostri errori e delle nostre incoscienze. La ferita che adesso mi tormenta produrrà una cicatrice che mi segnerà per anni; sono infatti consapevole che, anche dopo il ritorno a casa, i ricordi di questa sofferenza affettiva mi accompagneranno sempre. Questo è vero, ma sono anche certo che l’amore trasmesso da un figlio con una carezza mi riporterà alla realtà, ricordandomi che sono sempre genitore, genitore dentro!

Marco Mangianti

 La verità sotto il tappeto

«Come mi rapporterò in questo periodo con i miei figli?». È una delle tante domande che accompagnano i padri e le madri che vivono la condizione detentiva, e che evidenzia come la pena della privazione della libertà può avere conseguenze drammatiche che vanno ben oltre la finalità della pena stessa. La risposta non è facile, e dipende dai tanti fattori specifici che riguardano le tante storie familiari toccate dal dramma della detenzione; senz’altro un elemento che fa la differenza nell’affrontare la situazione è l’età dei figli.
Non ho avuto la fortuna di essere padre, per varie vicissitudini; provo però ad immedesimarmi nella questione e penso alla velocità ed all’immediatezza dei mezzi di comunicazione di cui oggi tutti, tranne noi, possono avvalersi. Finché il figlio è in tenera età le piccole bugie possono bastare a mascherare la verità: «Papà lavora qui», ad esempio, può essere una buona scusa per giustificare l’assenza da casa e lo svolgimento dei colloqui in un luogo strano, spesso lontano e in edifici poco accoglienti. Ma basta qualche anno in più, più o meno all’inizio del percorso scolastico, per rendere inutile, se non dannoso nascondere la verità. Le informazioni viaggiano in modo capillare ed incontrollato e la rete può rivelare, magari attraverso amichetti o loro genitori, ciò che mai si vorrebbe dire al proprio figlio. Per questo penso che sia meglio affrontare la realtà con i propri figli, scegliendo i tempi e cercando le parole giuste, anche se immagino che possa essere una prova molto difficile; penso alle immancabili domande, anche insolite e sorprendenti, che il piccolo farà al genitore, se, come mio nipote, ad ogni risposta domanderà “perché?”.

Maurizio Bianchi

  Un giorno, forse

È forse banale dire che per un uomo ricevere il dono di un figlio è la cosa più bella che può capitare, e che chiunque nel profondo ha questo desiderio? Non sempre la vita è come la si desidera e anche questo sogno, così grande e importante, a volte non si realizza. Nel mio caso l’unica volta in cui mi sentivo davvero pronto a diventare padre, condividendo l’esperienza con la mia compagna di allora, successe un imprevisto orribile, che ha interrotto bruscamente il sogno che stava diventando realtà. La perdita del bambino, solamente a parlarne e a ripercorrere i ricordi di quei momenti, suscita in me sentimenti di profondo dolore.
Ricordo il tempo dell’attesa, nei nove mesi prima del parto, scandito dalle ecografie con cui vedevo il mio piccolo crescere, gli acquisti dei vestitini, il suo muoversi e scalciare nella pancia quasi volesse comunicare con me; poi, il buio. Nonostante la sofferenza, sento che quei momenti sono stati davvero belli e pieni di vita. Penso che diventare padre sia una grande responsabilità, e che la detenzione complica molto questo rapporto fondamentale. Certo, se un padre recluso ha la fortuna di vedere crescere il proprio figlio in modo maturo, educato e con solidi valori familiari, può trovare una grande consolazione nella fatica della detenzione, ed essere orgoglioso e comunque realizzato.
Sono convinto che per la maggioranza dei genitori detenuti i figli rappresentano l’ancora di salvezza a cui aggrapparsi per trovare la forza di affrontare i giorni difficili, e che il primo pensiero appena svegli, e l’ultimo prima di addormentarsi sono per loro. Alcuni di noi sono qui per aver cercato con scelte sbagliate di dare una vita migliore proprio a quei figli che ora piangono, e che sono comunque la loro vita e la loro forza. I figli possono riuscire, nonostante gli anni che passano, a tirare fuori il meglio di noi, e quei sentimenti di bontà e dolcezza che nel duro ambiente carcerario spesso devono essere nascosti per non apparire deboli.

Luigi Milazzo