Aggiungi un posto in casa

Nell’esperienza dell’adozione, la naturalità dell’amore inclusivo

 di Pietro Casadio
della Redazione di MC 

  Mio padre me lo diceva sempre: mai assentarsi alle riunioni di Messaggero, finisci sempre con l’essere fregato.

E infatti salto un incontro e zac, arriva puntuale la mail del direttore che mi commissiona un articolo, un’intervista, per la precisione, «a una coppia con figli in affido o in adozione». Non avevo neanche finito la frase e sapevo già chi avrei intervistato: Debora e Fiorenzo, con due figli “naturali”, Matteo e Maria Vittoria, e una figlia adottata di origini nigeriane, Marvellous, “Meravigliosa”. L’incontro si combina in fretta: c’è, mi pare, un bel desiderio di condividere quella che, dice più volte Debora, è stata un’esperienza “epocale”. E per me, devo ammetterlo, è stata una fregatura… davvero molto bella.

 Partiamo dall’inizio: perché avete scelto l’adozione?

Venivamo da una seconda gravidanza complicata che lasciava supporre che non ce ne sarebbe stata una terza. Ci eravamo rasserenati, pensando che questo fosse il progetto del Signore per noi. Poi un giorno, mentre parlavamo coi nostri figli, Matteo, che aveva otto anni, ci ha fulminato con un’affermazione che è rimasta nella storia della nostra famiglia: «Con tutto quello che voi fate per gli altri, vuoi che non possiamo accogliere un bimbo che non ha un papà e una mamma!». Poi, con fare da sindacalista: «Perché io un fratellino lo vorrei proprio».
Subito abbiamo un po’ stemperato gli animi, tuttavia la sua provocazione non è caduta nel vuoto: ci abbiamo pensato e ripensato, abbiamo fatto qualche incontro informativo e ci siamo detti “perché no? proviamo a valutare”. Abbiamo chiamato i ragazzi e ci siamo presi sei mesi di tempo, fino alla fine dell’anno. Non avevamo appuntamenti per il 31 dicembre, perché avevamo un nostro appuntamento: ognuno di noi quattro doveva scrivere su un foglietto se voleva o no fare questa pazzia. Ognuno personalmente, nella piena libertà di poter dire di no. E a sorpresa, devo dire, c’è stata l’unanimità.

 A quel punto come si è concretizzata la scelta?

Dal momento in cui dai la disponibilità agli assistenti sociali, si apre un nuovo mondo e inizia un percorso un po’ in salita: ti ribaltano come un calzino, vogliono capire le dinamiche familiari, sapere tutto di te, vedere se la casa è accogliente. È un percorso lunghissimo: per noi è durato cinque anni! Nel corso degli incontri con assistenti sociali e giudici è venuta fuori l’idea dell’adozione internazionale. Una scelta bellissima, anche se economicamente molto impegnativa: guardandoci indietro vediamo che è stata forse un’incoscienza, ma condita di quanta provvidenza! C’è chi fa un mutuo per un’auto di lusso, noi l’abbiamo fatto per una cosa più importante. Le cose buone prima si fanno, poi si pensano. L’Africa è stata la prima scelta e, tra i vari stati, la Nigeria. Il percorso adottivo è stato svolto interamente in loco, durante un unico lungo soggiorno di due mesi. Questo ovviamente ci lasciava molti dubbi, perché noi avevamo altri due figli da gestire.

 Siete partiti da soli?

Saremmo dovuti partire da soli! Ma la Provvidenza… Il 7 marzo 2012 arriva la telefonata. Dicono che c’è una bimba di sedici mesi, nata sieropositiva ma negativizzata alla nascita, e chiedono alla mamma: “Sei disponibile ad accoglierla?”. Come quando una madre si rende conto di essere incinta e sceglie di andare avanti. E noi abbiamo scelto questa gravidanza! E lì è iniziata l’avventura. Siamo andati a Torino a fare le carte e là scopriamo che per problemi tecnici non si riusciva a partire subito, ma slittava tutto a fine giugno. A quel punto ci siamo guardati e ci siamo detti: “Partiamo tutti!”. Tutto si è incastrato perfettamente: quando deve andare così, va così.

E così il 21 giugno siamo arrivati in Nigeria, un’esperienza che resterà nella nostra memoria per sempre. Una grande ricchezza per tutta la famiglia. È stato come aver partorito: la stessa emozione, lo stesso trasporto avuti per il parto, quando abbiamo tenuto in braccio Marvellous per la prima volta. Siamo stati in orfanotrofio dieci giorni a fare avvicinamento, intanto che Matteo e Maria Vittoria intrattenevano tutti gli altri bambini. C’è una grande consapevolezza, fra di loro, su cosa fossimo venuti a fare. Il primo giorno ci è venuto vicino un bambino e ci ha chiesto «Per chi siete qui?». Da pelle d’oca.

 Che rapporto avete con il passato di Marvellous?

Dopo le inevitabili difficoltà dei primi mesi, abbiamo fatto della narrazione di tutto ciò che era accaduto il nostro motivo conduttore. Andando a letto ci raccontavamo dell’Africa. Abbiamo costruito un libro della memoria, con le sue prime foto, che abbiamo consumato dal tanto che è stato letto assieme. E le abbiamo sempre parlato di Constantine, la sua mamma naturale, come una di casa. Una mamma che di fronte ad alcune difficoltà non si è data per vinta, ma ha cercato una soluzione e si è preoccupata di dare a sua figlia un futuro. Tante piccole scelte che ha fatto per Marvellous nei primi mesi di vita lo dimostrano. Poi certo, Marvellous ora inizia a sentire il peso dell’abbandono. Si chiede “Se Constantine mi ha tenuto nella pancia, come fa ad avermi lasciato andare via?”. Una domanda che ci sarà sempre, per lei, a cui non si sa proprio rispondere.
Abbiamo sempre cercato di avere relazioni con altre famiglie adottive, che abbiano in particolare dei bambini nigeriani con lo stesso percorso di Marvellous, accomunati, come dicono loro, “dalla fortuna di avere le mamme bianche”. Abbiamo, per caso o per necessità, conosciuto e incontrato tanta gente nigeriana del posto. E cerchiamo di vederci, ogni tanto, sempre con la voglia di parlare di Africa, perché sappiamo che Marvellous ne ha bisogno. Noi possiamo raccontarle quello che abbiamo visto in due mesi, ma l’Africa è tanto di più.

 Come hanno reagito le persone a questa vostra scelta e alla vostra famiglia “allargata”?

Le nostre famiglie inizialmente hanno fatto un po’ fatica. Quando glielo abbiamo detto hanno assecondato la nostra scelta, l’hanno accettata, ma forse non condivisa fino in fondo, la pensavano una scelta eccessiva. Però poi quando Marvellous è arrivata è entrata nel cuore di tutti. Inoltre abbiamo una fortissima rete di amici che vuole un gran bene a Marvellous e che sono, come dice lei, “gli zii adottivi”.
In generale noi italiani non siamo ancora molto capaci di accoglienza. A parole magari sì, ma nei fatti stiamo molto sulla difensiva. Fortunatamente Marvellous è una bambina molto solare e molto affettuosa e questo l’aiuta: noi le abbiamo spiegato che non tutti sono accoglienti allo stesso modo e lei ha capito che se qualcuno la prende in giro o la evita perché è nera, è perché ha paura della sua diversità. Ci lascia ovviamente l’amaro in bocca quando qualcuno, vedendo Marvellous, ci guarda come se fossimo pazzi o ubriachi. Sinceramente la maggior parte dei giorni, se così si può dire, noi non ci rendiamo nemmeno conto del fatto che ha la pelle nera. È nostra figlia, cos’altro bisogna aggiungere?