Basta un poco di sale
Riconosciamoci in una Chiesa che può essere minoranza fertile e feconda
di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC
Con tutto il disonesto, chiassoso e inconsapevole splendore dei loro 14 anni, come richiesto dal loro parroco, aspettano di confessarsi.
Il primo ad entrare, Ronaldo, non vorrebbe, ma la cresima deve farla, perché, «se mi rifiutassi, farei soffrire inutilmente mia madre!». Non va a messa perché gioca a calcio, gli chiedo se è bravo, dice di sì e, finalmente, gli brillano gli occhi. Trovato l’aggancio scopro le carte: «il sacramento lo ricevi, perché non dare a Gesù una possibilità? Potresti dirgli: “io penso di chiuderla qui con te e con la parrocchia, tu però con questa cresima hai un’occasione per farlo vedere anche a me che ci sei davvero e che sei forte!”». Mi guarda incuriosito, dice che questo può farlo. Accetta l’assoluzione, e io resto nel dubbio: voleva soltanto andarsene o si è aperta una feritoia?
Lolita mi travolge con una valanga di parole e di questioni. Per non sembrare scema ha provato a fumare, ma non le è piaciuto. «Se non le provi non sai come sono le cose!». Osservo che potrebbe diventare rischioso provare ogni cosa per vedere se ti piace e lei, «bè, no, non è che ho provato tutto. Sono ancora vergine, sai?». Fa per alzarsi, le chiedo se vuole ricevere il segno del perdono di Dio, lei sbuffa e dice: «fa’ come ti pare!».
A Fonzie la catechista ha detto di entrare, ma lui fragile e sfacciato come gli adolescenti sanno essere, dice che nella sua vita tutto, proprio tutto, tza, «va bene così com’è» e taglia l’aria con la mano destra. Ostenta una sicurezza esagerata e simpaticamente goffa, e io, invaso da tenerezza ed inquietudine, lo lascio andare con i miei auguri e senza assoluzione.
Bambini o burattini?
Dubbi e pensieri mi fanno ressa dentro. L’evidenza che gli automatismi dell’iniziazione cristiana sono invincibilmente arrugginiti si somma alla constatazione che la chiesa italiana reagisce continuando a sbattersi (inutilmente?) per la preservazione di quegli automatismi. Intanto i segni sacramentali, imposti dal tradizionalismo di genitori e di un clero, forse credenti, forse vuoti, forse superstiziosi, ma di certo conniventi, invece di accompagnare i ragazzi in una crescita responsabile, contribuiscono a rattrappirli nella condizione di burattini legnosamente manovrati. È anche per questo che la maggior parte di loro, dopo la cresima, starà più lontano possibile dalle nostre chiese? E se qualcuno, un giorno, dovesse raccontargli che la fede in Cristo è una relazione interpersonale con un Dio, che ci ama e attende con pazienza e passione la nostra risposta libera, gli crederanno?
Certo, diverse diocesi, stanno sperimentando percorsi innovativi di catechesi. Tanti, se non tutti, provano a coinvolgere le famiglie. Alcuni stanno riportando la cresima al suo luogo naturale, prima e non dopo la prima comunione, prima, o almeno sulle soglie, delle peggiori burrasche adolescenziali. Scelte forse necessarie, ma, credo, del tutto interlocutorie e drammaticamente insufficienti, se non raccoglieremo sul serio la sfida che i ragazzi pongono alla Chiesa con la loro insopprimibile richiesta di libertà e verità.
Non è roba nostra
La difficoltà di trovare una modalità efficace di accompagnare i ragazzi verso l’incontro con Gesù e la sua proposta evangelica, ai miei occhi, è lo specchio di una difficoltà ben più generalizzata. Quella di una chiesa appesantita dalla zavorra di troppe nostalgie del passato e troppe paure del presente, che, con insufficiente consapevolezza, rimane indecisa in mezzo al guado, tra la “cristianità” del tempo in cui i confini della comunità ecclesiale sembravano coincidere con i confini della comunità civile e la società aperta e postcristiana di oggi, in cui visioni diverse, a volte conflittuali, dell’uomo, del mondo e di Dio, si trovano l’una a fianco dell’altra, a condividere lo stesso spazio e lo stesso tempo. In questa società pluralista non sarebbe più utile ripensare e ristrutturare il percorso sacramentale secondo la prassi della chiesa dei primi secoli? Allora, proprio come oggi, la Chiesa era una minoranza tra molte altre e, generalmente, erano gli adulti a ricevere i sacramenti.
Soprattutto, credo che questo tempo di crisi, dentro ad una scorza respingente, nasconda opportunità preziose. Ad esempio, quella di riconoscere che la fecondità attraversa la comunità ecclesiale, noi che le apparteniamo e chi in essa esercita carismi e ministeri, ma non appartiene né alla comunità, né a nessuno di questi. Essa non è roba nostra adesso, non lo era prima, non lo sarà mai. Solo lo Spirito è sorgente, prima e primordiale, di vita evangelica rinnovata. In termini più biblici: abbiamo finalmente l’occasione di rivederci, non solo in Sara che genera Isacco, ma anche in Sara che “ride e pensa”, perché fatica a credere all’annuncio dell’angelo ad Abramo, “fra un anno, tua moglie, avrà un figlio”. In Agar che nel deserto sente la morte che minaccia lei e il figlioletto Ismaele.
Antica e nuova Chiesa
E allora, mi pare evidente: è lo Spirito che con straordinaria pazienza ci sta guidando ad un incontro rinnovato con Cristo. Un incontro che spinge ad uscire da sé stessi, non tristemente funzionale alla cancellazione della scomoda alterità dell’altro; che non ci salva dall’ineluttabile e terribile babau di un confronto dialogico che, aiutandoci a comprendere meglio ciò che è essenziale nel tesoro della nostra identità e tradizione, potrebbe chiederci di mettere in secondo piano ciò che essenziale non è.
Con forza i segni dei tempi ci invitano a metterci in cammino verso una chiesa che, sapendo di aver bisogno di imparare, sappia anche ascoltare e non solo e sempre rivendicare il proprio ruolo di maestra e la bontà del proprio insegnamento. Una chiesa povera, una chiesa dei poveri. Una chiesa che, avendo permesso alle lacrime di lavarle gli occhi, veda le cose del mondo (cfr. papa Francesco, Christus vivit). Una chiesa che conosca e pianga sulla propria fragilità e non condanni nessuno, essendo compagna di ognuno, come lei pieno di fragilità. Una chiesa che non tema di alzare la voce a nome dei poveri. Una chiesa come poco lievito che fa crescere tutta la pasta, come poco sale che dà sapore. Una chiesa che non tema di essere criticata perché crede e segue Gesù povero e crocifisso e da lui, dal suo Spirito e dalla sua parola, con fiducia, si lascia guidare.
Eccola, contempliamola questa chiesa santa che riceve la vita dal Padre, e sa di non far figli attraverso la sagacia dei suoi piani pastorali, ma perché il Signore, nella sua bontà, continua a donargliene gratuitamente. Contempliamola e lasciamoci attirare da quella bellezza che non è sua.
Una chiesa così, che da sempre ha iniziato ad essere così. In lei io ri-inizio a camminare per essere così. Oggi, per tutti noi, fratelli, è il giorno di un antico e nuovo inizio.