Mani in alto, Ego in basso!

La piena genitorialità è arrendersi all’alterità del figlio

 di Giovanni Salonia
frate cappuccino, psicoterapeuta

 «I vostri figli non sono figli vostri... […] sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.

Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono. I figli non sono i vostri figli». Così il famoso canto di Gibran ricorda ai genitori che non sono proprietari dei figli. Non sono loro che danno la vita ai figli, ma è la vita che dona loro dei figli. «Avere un figlio»: è proprio in questa formulazione il rischio di un equivoco. Si ha un figlio ma non come oggetto di possesso: come 'vita da custodire', come dono. Non sono i genitori che donano la vita ai figli, ma è la Vita (Dio) che dona ai genitori il figlio. Lo stupore di questo dono è infinito: da esseri umani imperfetti, limitati, caduchi, fragili, nasce ciò che li trascende, che va oltre le loro capacità e - tante volte - ben oltre la loro volontà e le loro aspettative. Concepiscono ciò che il loro pensiero non oserebbe concepire. 

Non tradite i vostri figli

Avere un figlio tra le mani connette con Dio. Dare la vita è un evento troppo grande, troppo bello: appartiene a Dio. È da Dio. È forte, perciò, la tentazione della donna quando “ha fatto un figlio” di “farlo suo”, di renderlo sua proprietà, di sentirsi l'unica responsabile, l'unica capace di prendersene cura.  Ma - si sa - questa falsa appartenenza è un tradimento della vita, del figlio e dello stesso suo corpo, il quale sa che ha ricevuto un seme da un altro corpo, che ha dovuto mettere in circolo quelle reazioni neuroendocrinologiche proprie di quando si riceve un corpo estraneo; il suo corpo sa che quel figlio non è 'suo' ma appartiene ad una coppia di corpi. La memoria corporea le ricorderà sempre, nell'intimo più intimo del suo corpo, che il figlio non le appartiene: lei lo ha ‘fatto’, ma non da sola. Ecco perché deve consegnarlo. Diversamente, tradirebbe il figlio perché gli negherebbe una verità che ogni figlio cerca: «Chi è mio padre?». Una verità che costituirà elemento centrale della sua identità. Tradirebbe la vita: si accorgerà che il figlio da lei fatto non risponde alle sue esigenze, né fisiche né relazionali. Da qualche altra parte, infatti, è stata decisa la forma del figlio che in lei si è formato. E, dopo che è nato, sarà la vita a decidere salute e malattie, crescita e ritmi.

 Sogno o son desto?

Il figlio del desiderio - del sogno - diventa così il figlio reale quando viene condiviso. La prima grande conversione dal desiderio alla realtà del figlio è proprio il collocarlo in questa triplice appartenenza: Dio (la Vita), la madre e il padre. Rischiano di diventare moralistici tutti i discorsi che ricordano alle madri come comportarsi, come limitare le proprie aspettative in modo da non imprigionare il figlio reale dentro il figlio 'sognato'. Non sono le teorie che riportano il 'figlio del sogno' al 'figlio reale'. Genitori lo si è innanzitutto nel corpo. In quel corpo che ha vibrato nell’incontro con un altro corpo, in quel corpo che ha sentito crescere dentro di sé un essere sempre più presente, sempre più vivo e interattivo. In quella mano di padre tante volte poggiata sulla pancia che cresce a cogliere i movimenti di quell’esserino che magari gli somiglierà e a cui potrà insegnare tanto della sua virilità e del suo calore. L’essere genitori è scritto nel corpo. Nel corpo - ci insegna la Gestalt Therapy e confermano le neuroscienze - ognuno sa ‘chi sono io’. Non ha senso dire ad una madre come comportarsi con il figlio. Ha senso aiutarla a ricordarsi del suo corpo di madre. Di fronte ad una madre possessiva, che impone i propri progetti al figlio, l'unica strada per riprendere il cammino della pienezza è dirle due sole parole: “Guardi suo figlio e ascolti il suo corpo”. Guardando il figlio negli occhi si accorgerà che è altro, non è sua protesi, non è suo oggetto. E saprà anche che il suo essere ‘genitore di’ è sempre anche un essere ‘genitore con’. Ascoltando il proprio corpo farà memoria del suo utero, di colui che l'ha fecondato, di colui con cui l’ha atteso. E infine ritornerà a pensare a Colui che ha donato la vita. Questa terza memoria esplode intensa e potente quando la coppia sperimenta il dolore di non poter avere figli.

 L’altro e l’oltre

Ma c’è altro che riporta, inesorabilmente, dal figlio dei sogni al figlio reale: incontrare il figlio reale nella sua insopprimibile alterità. Nel figlio si sperimenta uno dei compiti più belli e più difficili che la vita richiede: custodire chi non hai scelto. Il figlio è l'alterità che pretende una continua maturazione, un continuo rinunciare ai bisogni per aprirsi al dono, perché quello che mi è stato donato va accolto, va custodito, anche in quelle caratteristiche o in quelle attese che il figlio legittimamente presenta ma che al genitore non sono gradite o che - molte volte - gli richiamano proprio le caratteristiche che lui non ha accettato di sé: «Puoi scacciare il diavolo dal tuo orto, lo ritroverai nell’orto di tuo figlio» (Pestalozzi).
Accompagnare la crescita di un figlio richiede così un processo di discernimento: «Quello che voglio per mio figlio» è per il suo bene o per un mio bisogno? Domanda che, ancora una volta, necessita del ricorso all’altro genitore perché possa trovare una risposta coerente: nella ineliminabile diversità di genere e di sentire fra i due genitori, i desideri di un genitore sono verificati e purificati dal confronto con il desiderio dell'altro genitore. 
La reciprocità dei loro desideri deve affrontare un ulteriore discernimento: confrontarsi con la Via (con Dio), che non è mai come la desideriamo ma che, nel suo presentarsi reale e inatteso, spesso difficile e arduo, ci invita a scoprire che ogni alterità è un 'oltre' che ci apre una realtà molto più affascinante e ricca di quanto avessimo osato sperare. Forse il genitore celebra la propria pienezza di genitore proprio nell’arrendersi al figlio, nel vederlo come è, ringraziando di lui come del dono più bello che avesse mai potuto ricevere. Ed ecco che il rimando a Dio o alla Vita («non sono i vostri figli ma sono i figli della Vita») svela così il segreto di ogni paternità e maternità: si genera un figlio, è vero, ma - in ultima analisi - si genera un fratello. Genitore e figli sono figli della Vita, di Dio. È proprio questa realtà ultima che, declinandosi in tante melodie, approda al 'Padre Nostro', in cui è racchiuso il segreto perché il figlio reale sia custodito nella sua integrità. Custodire l'integrità di un figlio - che è fratello - porta l'integrità dei genitori a pienezza. Così i figli imparano a onorare i genitori: a riconoscere - al di là della gratitudine per ciò che si è ricevuto e della rabbia per ciò che non si è avuto - la loro dignità, il loro essere non 'dèi' ma fratelli, anche se genitori.

 Dell’Autore segnaliamo:
GIOVANNI SALONIA - ROSARIA LISI
Isteria e Gestalt Therapy. Quando tutto è pertinente
Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2019, pp. 144.