Un po’ losco e un po’ disperato

La musica rap cerca autori che trasformino in arte il grido di riscatto

di Walter Gatti
giornalista

Image 086Scardinate le gabbie della metrica

Prima c’era il rock e il pop, il blues e il soul, il jazz e le canzonette. Poi ad un certo punto è “scoppiato” il rap e la parola ha preso il sopravvento sulle sette note, sulle chitarre, sulle batterie. La storia ci spinge a guardare verso gli anni ’70 e ’80, quando i giovani neri delle suburre americane hanno iniziato a divertirsi ad esprimere disagi, rabbie ed illusioni “cantando sopra” le linee melodiche di canzoni famose del rock o del rhytm’n’blues. Nel 1986 il genere riuscì ad oltrapassate i confini del popolo di colore, quando un trio del Queens, i Run DMC riuscì a scalare le hit parade di mezzo mondo rappando su Walk this Way, celebre pezzo rock degli Aerosmith. Per la prima volta questo bizzarro modo di fare musica si imponeva anche nel pubblico bianco americano e in quello europeo. Il resto è storia recente: alcuni personaggi ne hanno fatto un genere dalle vendite colossali, ma soprattutto l’idea di usare le parole in modo diverso, con maggior libertà metrica senza problemi di intonazione, è divenuta di uso quotidiano. È il sogno che divenne realtà: chiunque - anche chi non sa tenere in mano una chitarra - può far musica (come nel punk). Chiunque può raccontare le storie del proprio ghetto, come Coolio nella celebre Gangsta’s Paradise: «Non posso vivere una vita normale, sono stato allevato a colpi di frusta / devo così stare vicino ai ragazzi del quartiere / guardare troppa televisione mi ha fatto inseguire i sogni. / Sono uno stupido cresciuto con i soldi in testa / ho la pistola in mano e uno sguardo cattivo / sono un gangster criminale e uccido i rivali della mia gang / e i miei amici soffrono perciò non risvegliare la mia rabbia, stupido / la morte non è nient’altro che un battito di cuore che se ne va / Io vivo la vita, cosa posso dire? / Oggi ho 23 anni, ma vivrò fino a vedere i 24? / Per come vanno ora le cose, non lo so»

Il rap, che nella sostanza equivale ad un uso della parola, del linguaggio, del discorso calato all’interno delle misure della canzone e del ritmo, è divenuto poi un calderone informe e a volte anche di bassa lega. Al suo interno ci si trovano gli attacchi politicizzati dei Public Enemy come pure la desolazione urbana del bianco Eminem, la furbizia di Puff Daddy, la miscela di temi dei Black Eyed Peas, i richiami all’orgoglio black di Notorius Big e Snoop Dogg. Con l’andare del tempo la connotazione rap si è in qualche modo innestata nel rock (si veda l’operazione crossover dei Red Hot Chili Peppers) e si è adattata anche al soul-pop diventando pane quotidiano per tutte le popstar, da Madonna a Prince, da Janet Jackson a Rihanna, da Jay-Z a Busta Rhymes, perdendo gran parte della potenzialità istintiva e sociale iniziale e trasformandosi in una rimescolatura di tematiche sessuali, proponendo video-clip gettonatissimi che non escono dal cliché del “mi spoglio il più possibile” e del “sono l’uomo più macho e tosto del pianeta”. Ma questo fa parte del mercato e la musica, purtroppo, oggi si vende così, inversamente proporzionale ai centimetri di stoffa indossati in un clip in rotazione su MTV. Per fortuna ogni tanto risaltano fuori cose belle e interessanti, cose come Where is The Love della posse multietnica dei Blackout Eyed Peas: «Le persone uccidono, le persone muoiono / I bambini si feriscono e li senti piangere / Riesci a mettere in pratica ciò che predichi? / e porgeresti l’altra guancia? / Padre, Padre, Padre, aiutaci / Mandaci una guida dall’alto / Perché le persone continuano a chiedermi / Dov’è l’amore? (dov’è l’amore?) / Dov’è l’amore? / Dov’è l’amore, l’amore, l’amore»

Image 090Quadro italiano

E l’Italia? I più attenti ricorderanno che già Celentano aveva sperimentato ante litteram una forma di rap quando aveva inciso Prisencolinensinanciusol, nel 1972, inventando parole di finto inglese che seguivano una bella linea ritmica funky. Più vicino a noi ci sono Frankie Hi Energy, DjAx, Jovanotti, Assalti frontali, Sottotono, Fabri Fibra, gente dalle estrazioni diverse, più o meno legata ad una vita di periferia e di metropolitana, qualcuno in grado di esprimere davvero con forza una percezione raminga del proprio presente. È il caso di Joe Cassano, radicale rapper bolognese scomparso giovanissimo per eccesso di stupefacenti, che nel 1999 scriveva: «Dio lodato per questa chanche che m’ha dato, / non la butto via manco se finisco il fiato / Johnny dalla strada for the rap soldato / Dalle vie di Bo-lo da solo o con la click / Faccio a singolare Hip un pandemonio a microchip... Gente araba con me qua come Saddam Salam / alecom, alecom salam ya / Ora te lo dico sono qua per fare flow finche il mondo m’ha sentito / Senti me non ce n’è sono assoluto geniale / Il tempo che son ma si butta già il pugnale / Dal business della busta alla rap industria / Sei fai parte della banda continua con la smista / A colpi di macete si esce dalla giungla”

Fatica di vivere e giornate senza via d’uscita, frullatori esistenziali e mancanza di prospettiva, pressoché totale mancanza di trascendenza e necessità di affermazione nella socialità immediata: anche da noi si affermano i temi di un’istintività grezza, che sconfina nella denuncia sociale come nei casi celebri di Fight da Faida di Frankie Hi Nrg («Sud non ti fare castrare dal potere criminale / che ti vuole fermare: / guastagli la festa, / abbassagli la cresta, / guarda la sua testa rotolare nella cesta. / Libera la mente da ogni assurdo pregiudizio: / è l’inizio della fine del supplizio, / che da secoli ti domina, / ti ingoia e ti rivomita, / potere di quei demoni, che noi chiamiamo “uomini”, / che uccidono altri uomini, / che sfruttano noi giovani, / che tagliano le ali, agli angeli più deboli, / Potere che soggioga») o di In Italia di Fabri Fibra («dove fuggi? / in Italia le ragazze corteggiate / in Italia le donne fotografate / in Italia le modelle ricattate / in Italia impara l’arte / in Italia gente che legge le carte / in Italia assassini mai scoperti / in Italia volti persi e voti certi / in Italia. / Ci sono cose che nessuno ti dirà... / sei nato e morto qua, / sei nato e morto qua, nato nel paese delle mezze verità»).

Il bandolo da ritrovare

La sensazione finale è comunque che il rap - italiano o internazionale, scivolato nel più commerciale hip hop oppure più fedele alle tensioni del sociale - abbia abbastanza perso il bandolo. Più trova riscontro commerciale, meno rispolvera la sua rabbia ed umanità. Così forse è del nostrano Jovanotti uno dei punti più alti e veri della nostra canzone impegnata nell’utilizzazione delle metriche care al rap. Il titolo della canzone è Fango. «Io lo so che non sono solo / anche quando sono solo / io lo so che non sono solo / io lo so che non sono solo / anche quando sono solo… la tele dice che le strade son pericolose / ma l’unico pericolo che sento veramente / è quello di non riuscire più a sentire niente, / il profumo dei fiori l’odore della città / il suono dei motorini il sapore della pizza / le lacrime di una mamma le idee di uno studente / gli incroci possibili in una piazza / di stare con le antenne alzate verso il cielo / io lo so che non sono solo… l’unico pericolo che senti veramente / è quello di non riuscire più a sentire niente / di non riuscire più a sentire niente / il battito di un cuore dentro al petto / la passione che fa crescere un progetto / l’appetito la sete l’evoluzione in atto / l’energia che si scatena in un contatto»

Sarebbe stato difficilissimo mettere un testo così lungo e articolato all’interno di una canzone pop: ecco il segreto semplice del rap e delle forme che a lui si avvicinano. Ma come sempre le forme servono all’arte (di qualsiasi arte si parli) e quindi han bisogno di persone che le realizzino al meglio, nel caso specifico di musicisti con personalità. Il rap, forma rivoluzionaria di parola in musica, non sempre oppure non più, sta arrivando a tener fede alla freschezza dei suoi esordi. Riuscirà in futuro a riprendere la forza delle “sue cose da dire”? Quella forza di umanità anche losca e disperata? Vedremo se tra un disco milionario e l’altro riuscirà a riemergere gente che saprà restituire alle parole una forza maggiore di quella - molto più attrattiva - dei dollari facili...