Il figlio logora chi non ce l’ha

Nella Bibbia, apparentemente, non c’è futuro senza discendenza

di Lidia Maggi
teologa e pastora battista

 Per capire qualcosa delle aspettative bibliche che ruotano intorno al bisogno di generare non è sufficiente ricorrere alle categorie sociologiche, evocando il contesto patriarcale, dove la prima funzione della donna è quella di generare, così da garantire nuova forza lavoro al clan.

In gioco c'è molto di più: c'è la storia della salvezza di un intero popolo. La storia, che oggi percepiamo come disciplina astratta, fatta di memoria documentabile, nelle Scritture è qualcosa di molto più concreto. Lo segnala già il fatto che non esiste nella lingua ebraica antica un termine equivalente. Non troviamo un astratto singolare; in sua vece, un nome collettivo, toledot, che letteralmente vuol dire “generazioni”. Nella Bibbia, la storia rimanda alla generatività, ai corpi, al succedersi delle generazioni. È storia partorita. E quando viene meno un figlio, la storia si chiude, il futuro sottratto.

 Nessun figlio è abbandonato

In questo orizzonte, con grande ironia, la Bibbia mette in scena i padri e le madri della fede spesso segnati da una sterilità difficile da superare. Padri e madri sterili: che paradosso! La prima esperienza di sterilità la troviamo già con i progenitori di Israele. Abramo è chiamato da Dio ad uscire dalla sua terra al seguito di una promessa di discendenza. Abramo ha un fratello morto che, tuttavia, nella sua percezione, è più vivo di lui. Ha generato un figlio, Lot, mentre lui, benché sposato, sperimenta la sterilità, trovandosi perciò destinato alla morte, all'oblio, senza futuro.
Dio, però, lo visita, promettendogli una lunga progenie, numerosa come le stelle del cielo. Peccato che gli anni passino senza che il figlio tanto atteso arrivi. Se Dio è latitante e non mantiene le sue promesse, allora ci penserà l'intraprendente Sara, ad assicurare una discendenza. E così, nella complessa storia d'amore tra Sara e Abramo, entra in scena Agar, la schiava egiziana. Sara decide di utilizzare la giovane donna per soddisfare il suo desiderio di maternità. Un utero in affitto. Attraverso il corpo della sua ancella, Sara potrà diventare madre. Abramo, senza opporsi al desiderio della moglie, si unisce ad Agar. Le cose però prendono una china pericolosa: quando Agar scopre di essere incinta, alza la testa nei confronti della sua padrona. Si consuma così lo scontro tra due donne che, nella struttura patriarcale occupano ruoli ben diversi: Sara è vecchia, sterile, ma ricca e potente, moglie legittima del patriarca; Agar è giovane, fertile, ma schiava e straniera.
Agar è proprietà di Sara, ma è lei che porta in grembo il figlio di Abramo: qualcosa vorrà pur dire? Sara non si arrende. Si lamenta della situazione con Abramo e questi, con il coraggio che lo caratterizza, declina ogni responsabilità fino a lasciare la serva in completa balia della moglie gelosa. Anche per Abramo Agar è solo una proprietà da usare a proprio piacimento. Per sottrarsi ai maltrattamenti della padrona, Agar fugge, proprio come faranno gli ebrei in Egitto. E nel deserto Agar fa un incontro inatteso. Dio la raggiunge e la rifocilla; poi la esorta a ritornare a casa. Fuori dal clan non c'è speranza di vita per una donna incinta! Dio la rimanda a casa con una solenne promessa: suo figlio non sarà schiavo come lei. Sempre più increduli, con il passare degli anni, sia Sara che Abramo hanno smesso di aspettare il compimento di una promessa ormai irrealizzabile per quei corpi avvizziti. E invece il figlio arriva con una grande risata. Iniziano, allora, nuove preoccupazioni per la matriarca. Deve disfarsi di Ismaele, il primogenito di Abramo, il figlio partorito da Agar. Sara non ha nessuna voglia di dividere con quel fratello scomodo l'eredità di Isacco. Ordina, dunque, ad Abramo di cacciare la madre con il bambino. E Abramo obbedisce!

La sterile ha partorito

Il conflitto tra donne diventa un tema comune nella narrativa biblica, quando si affronta il problema della sterilità. Lo vediamo nella storia di Anna, futura madre di Samuele. Anna è sterile e viene derisa dall'altra moglie del marito, Peninna, soprattutto in situazioni pubbliche. Elkana prova a proteggere Anna dalla vergogna del non avere figli e dalle umiliazioni della rivale. Ma Anna non mangia e piange. Elkana prova allora a consolarla con parole tenere e solenni. Lui la ama ed è convinto che quell'amore valga più di dieci figli (I Re 1, 8). La felice intuizione che ci possa essere un matrimonio felice anche senza procreazione scivola sul dolore di Anna che ritiene Dio responsabile di quell'assenza. Piange, invoca e prega fino a patteggiare con Dio sulla sua maternità: se avrà un figlio, lo consacrerà a Dio.
Lasciamo sullo sfondo gli intrighi complessi delle storie qui evocate per mettere in evidenza due fili dell’intreccio narrativo che sembrano fare da controcanto all'idea che senza un figlio viene meno la benedizione di Dio.
Il primo è quello che emerge dalle strane scelte di Dio: sembra preferire la sterile alla donna fertile. Come nel conflitto tra Lia e Rachele, le due mogli del patriarca Giacobbe: nonostante conceda a Lia più figli, Dio sceglie Rachele per aprire il futuro e compiere la promessa. Allo stesso modo, tra Anna e Peninna Dio sceglie Anna, la donna disperata e inconsolabile per la sua sterilità. Non solo Dio preferisce gli ultimi e non i primogeniti, ma ha un'attenzione speciale verso le donne che partono da un'iniziale sterilità.

L’alternativa c’è

Il secondo filo dell'intreccio narrativo, più sottotraccia ma ben presente in molti racconti, consiste nella messa in questione del desiderio di un figlio ad ogni costo. Sara per diventare madre utilizza il corpo della sua schiava; ma, una volta risolta la sua sterilità, grazie all’intervento di Dio, Sara si disfa del fardello ingombrante da lei stessa progettato e, per interposta persona, “generato”. Assecondando la volontà della moglie e cacciando Agar e il bambino nel deserto, Abramo li avrebbe condannati a morte certa, se Dio non fosse intervenuto. Che Dio si faccia garante non solo della sterile ma anche del destino di Agar, la schiava egiziana, fino a crescere con lei suo figlio è un buon antidoto nei confronti di letture troppo univoche su tematiche complesse e delicate come il desiderio di maternità. Lo stesso filo rosso lo troviamo nella storia della madre di Samuele, sebbene intrecciato con fili diversi da quelli utilizzati nella storia di Sara. Qui Dio si fa carico di Anna; la preferisce alla fertile Peninna e le concede il figlio tanto desiderato. Tuttavia, con le parole d’amore di Elkana, il racconto mette in questione la convinzione che un matrimonio sia benedetto solo se ci sono figli. Pensiero che inizierà a farsi largo nella Bibbia e che ritroveremo nell'amore della coppia del Cantico dei cantici. In quel giardino, i due giovani innamorati mettono in scena un amore fatto di baci e carezze donati senza la preoccupazione di generare, unicamente per il piacere di dare e ricevere amore. Anche quell’amore è generatore di futuro.