Anche per tè

 di Lucia Lafratta
della Redazione di MC

 Bologna, piazzetta Prendiparte n. 4, sotto le Due Torri, lunedì, alle 14,30, puntuali, alcuni tra coloro che utilizzano i servizi della Caritas si ritrovano per partecipare all’incontro mensile. Il tè delle tre, la rubrica che i lettori trovano in ogni numero di MC, nasce lì, in quella saletta, attorno al basso tavolino preparato con cibo e bevande. Dopo qualche anno dall’inizio della collaborazione, nata dalla fantasia di Elisabetta, abbiamo chiesto, come redazione, il permesso di partecipare - non più di tre pesone, mi raccomando - all’incontro, per capire e ringraziare. Ricevuto il permesso e sciolto il dilemma saio sì saio no per il direttore, perché, inutile negarlo, l’abito fa il monaco, ci siamo presentati all’appuntamento il 5 marzo scorso, ultimo giorno di carnevale.
Non so se i partecipanti fossero stati avvertiti, ma nessuno ci ha chiesto chi fossimo (saio no, ovviamente) e perché ci trovassimo lì, il che ha reso semplice assaggiare sfrappole e castagnole e prendere posto assieme a chi arrivava alla spicciolata, mentre Maura e Cristina preparavano l’essenziale scena teatrale, necessaria al racconto scelto per introdurre il tema: la violenza. Maura e Cristina, con semplici scialli sul capo e sulle spalle, accovacciate su bassi sgabelli, si sono trasformate in Betsabea e Susanna. Due donne, due storie di violenza che, se mai ce ne fosse ancora bisogno, dicono che la Bibbia non è un libro per gente pia e timorata di Dio, ma una miniera di storie che dicono di donne e uomini di carne e sangue - quanta carne e quanto sangue nelle vite di Betsabea e Susanna - che subiscono e fanno violenza, che vanno a finire a volte bene a volte male, e difficile capire perché e per come, forse quel Dio lo sa. Tutti i presenti, anche quelli che già sapevano come sarebbe andata a finire, ascoltavano come non lo sapessero, potenza della recitazione e della capacità di far penetrare parole e gesti nel profondo vissuto di ciascuno. Potenza della sapienza del cuore e della mente di chi conosce le persone e le loro storie e sa come muovere sentimenti e intelligenze per aiutare a riconoscere la propria storia e riuscire a maneggiarla con cura senza ferire se stessi e gli altri, senza farsene travolgere.
Quando le “attrici” hanno tolto gli scialli e li hanno ripiegati, ci siamo alzati anche noi tutti dalle pietre attorno al pozzo, riappropriandoci del tempo e del luogo, ma solo per lasciarci condurre dalla sapienza di Maura nel portare ognuno nel proprio vissuto, regalando con parole semplici e perciò efficaci la capacità di raccontare di sé: «Oggi non si parla “contro” qualcuno, siamo qui per prendere consapevolezza degli atti di violenza, fisica o psicologica, nostri verso gli altri e anche degli altri verso di noi». Quando, come redazione di MC, abbiamo accolto con entusiasmo la proposta della Caritas, credo che non ci fosse chiaro come si potesse sviluppare la collaborazione, cosa ne sarebbe scaturito e, certamente io, ma so di poter parlare a nome di tutti, non immaginavo quel che ho visto e udito. Sì, leggere l’articolo che ogni mese viene elaborato come frutto del tè delle tre non può rendere appieno l’atmosfera dell’incontro, le pause, gli sguardi, i sorrisi, le cupezze, il peso delle esperienze negative e positive.
Quello che è stato detto con profondità di pensiero e di parola, con sofferenza e con sincerità mi ha colpito e disorientato per l’allenamento a leggere situazioni, vicissitudini, storie personali e a comunicare con parole precise, affilate, essenziali, sentimenti positivi e negativi già macinati o in via di ripensamento, la capacità, il coraggio di esporsi di fronte a persone conosciute e sconosciute con equilibrio. Pensando al nostro quotidiano, ai rapporti familiari, di amicizia, di lavoro, di socializzazione, non è facile trovare momenti di incontro e riflessione collettiva simili a quell’ora in cui si beve il tè. Forse le corse quotidiane per far tornare il puzzle delle nostre vite e arrivare a sera spuntando impegni assolti e attività portate a termine, ci esimono - o forse dovremmo dire ci salvano - dal fermarci seduti in cerchio attorno ad un basso tavolino con il solo, gravoso compito di guardarci dentro cercando di far risuonare in noi le voci di Betsabea, stuprata dal re Davide che fa uccidere suo marito Uria e perde il figlio, e dalla giovane e bella Susanna che, allora come ora, deve difendersi dalle calunnie dei maschi vecchi e potenti ai quali, come sempre, popolo e giudici sono propensi a dare credito.
Papa Francesco l’ha capito meglio e prima di tutti, e ha cominciato a chiederci di uscire dalle nostre stanze sicure per andare nelle periferie, mettendoci in cammino come lui, con quelle scarpe comode e consumate. Uscire non solo per aiutare gli emarginati, e così acquisire meriti davanti a Dio e agli uomini, uscire se vogliamo trovare noi stessi, se vogliamo, almeno un po’, avvicinarci alla nostra verità più intima, fatta di tutte le Betsabee, Susanne, giovani re e vecchi lubrichi, di tutte le storie di bene e di male, mischiate indissolubilmente insieme, che gli autori della Bibbia, perché no? guidati da quello che chiamiamo Dio, ci raccontano con durezza, realismo, passione, audacia.