La tenerezza, questo sentimento così raro oggi, ma così centrale nel vangelo. Nel centro dell’Italia c’è chi ne ha fatto il caposaldo della propria vita di fede, producendo una esperienza in cui si mescolano le carte delle solite divisioni interne dei ruoli ecclesiali, ma anche in cui si trova modo di recuperare tutto quell’umano famigliare ferito, appassito, deluso, per un amore faticoso, finito o mai nato. Coppie, consacrati, single, figli, genitori. Tutti protagonisti nella ricerca di una vita di fede centrata sulla tenerezza.

Gilberto Borghi

 Là dove la tenerezza abita

La diakonia ecclesiale della famiglia

 Un prete e sette coppie

Siamo nel marzo del 2002, a Perugia.

Sette coppie decidono di inventarsi una forma di condivisione di vita, in cui poter sperimentare di essere famiglia per le famiglie, di essere una comunità di vita e di servizio, in cui accogliere e accompagnare altre coppie in difficoltà, sposi in situazione irregolare, separati e risposati, genitori soli con figli. E decidono di centrare questa loro esperienza sulla tenerezza intesa come capacità di prendersi cura di tutti con un atteggiamento costruttivo e gioioso. Una bella scommessa. Sostenuta dall’allora Vescovo della Diocesi mons. Chiaretti, e dall’intuizione di mons. Carlo Rocchetta, ideatore e anima di questa esperienza.
Mons. Rocchetta, già famoso per il suo impegno di docente di teologia - in cui si dedicava in particolare alla famiglia e al suo carisma, insegnando a Roma, Firenze, Assisi, Bologna - ad un certo punto, sente forte il desiderio di tradurre in pratica le sue intuizioni e di dedicarsi totalmente alla famiglia e in particolare alle coppie in crisi e ai loro figli, ai coniugi soli e separati. È un’esigenza interiore profonda, come una vocazione nella vocazione, che lo porta a lasciare le cattedre e gli altri impegni a livello nazionale per dedicarsi a questa missione e far così nascere il Centro Casa della Tenerezza.

 Voto di tenerezza e diversità delle diakonie

Questa intuizione e la passione di chi la vive, ha generato attualmente una comunità più vasta e più variegata, che vede anche la presenza di un sacerdote e di due consacrate laiche, e almeno una ventina di gruppi territoriali sparsi per l’Italia. Qui le coppie che vivono all’interno della comunità sono autonome, anche economicamente, ma si impegnano a contribuire alla vita e alle attività della Casa con il 10 % del proprio stipendio e con la disponibilità nelle diverse attività. Un’appartenenza alla comunità suggellata dall’emissione del “Voto di tenerezza”, che diventa definitivo dopo cinque anni, ed è una consacrazione a Dio-Infinita-Tenerezza per essere tenerezza nel vissuto coniugale e nel servizio alle altre coppie, alla Chiesa e al mondo.
Infatti, essi, offrono colloqui, sostegno psicologico, incontri di preghiera e ritiri. Organizzano, inoltre, corsi di educazione all’amore, percorsi di fede per fidanzati e incontri sul rapporto educativo tra genitori e figli. In particolare, chi fa parte stabilmente del centro familiare Casa della Tenerezza segue uno specifico Libro di vita nel quale sono descritti anche i servizi (chiamati diakonie) che il centro offre: diakonia dell’accoglienza-accompagnamento pastorale delle coppie e delle famiglie, dei separati e dei risposati, dei genitori soli e dei loro figli; diakonia della formazione per operatori pastorali (formazione dei formatori), studenti di teologia, giovani, fidanzati, sposi e genitori, ma anche fanciulli e adolescenti; diakonia della comunione, proponendosi come luogo di incontro e di riferimento spirituale per tutte quelle coppie e famiglie, single e persone consacrate che desiderano sperimentare di più la comunione ecclesiale; diakonia della ricerca, in particolare sulla teologia del matrimonio e della famiglia, del suo valore rispetto al cammino di fede e alle realtà ecclesiali.

 Dalla periferia al centro

Il centro di questa esperienza è, ovviamente, la via della tenerezza e della consacrazione a Dio infinita Tenerezza, come percorso peculiare della propria identità spirituale. Ciò è indubbiamente un aspetto molto trascurato dalla teologia e dalla pastorale ed in qualche modo rivalutato dall’attuale pontefice. Ponendo al centro della propria spiritualità e della propria azione pastorale la tenerezza, ovviamente si accenta il coinvolgimento emozionale e corporeo, rispetto alla comprensione razionale dell’adesione di fede e ciò è sicuramente una dimensione interessante ma anche nuova, dal punto di vista pastorale, che offre, alla condizione attuale della cultura post-moderna, la possibilità di essere intercettata dal messaggio del vangelo proprio là dove essa tende a “domiciliarsi”: nel cuore e nel corpo delle persone più che nella loro riflessione razionale.
La spiritualità della tenerezza come progetto di vita, stupore di essere, di amare e di adorare diventa allora l’anima del sacramento nuziale e della sua piena attuazione. La tenerezza in senso forte, come capacità degli sposi di vivere relazioni positive, di simpatia e empatia, accogliendosi, donandosi e condividendo il proprio cammino, in un ri-innamorarsi sempre nuovo, che trova fondamento in una concreta esperienza di Dio-tenerezza e un incontro vivo con Gesù.
Questa scelta mostra almeno due caratteri particolari su cui vale la pena soffermarsi. Intanto fare della tenerezza di Dio-Trinità l’anima mundi, l’anima di un’autentica civiltà della vita e dell’amore, tende a promuovere una cultura di tenerezza come cultura della solidarietà, della cordialità e della convivialità. Cosa quanto mai necessaria nei tempi che viviamo, sia sul piano sociale, in cui sembra dominare invece un sentimento tra il rancore e la paura, di sfiducia verso l’altro, anche all’interno delle famiglie e delle relazioni affettive. Sia soprattutto all’interno della Chiesa, in cui, a fronte di una sempre più marcata tendenza a doversi schierare teologicamente, sembra oggi dominare una esigenza di “vittoria”, in termini di maggiore potere sulla fazione opposta.

 “Chiesa domestica, famiglia comunitaria”

L’intuizione di mons. Rocchetta è perciò davvero un antidoto forte, radicato nell’esigenza dell’oggi, sia sociale che ecclesiale, in cui si cerca di trovare un punto di recupero importante della dimensione fondamentale che sta alla base della convivenza umana: quella tenerezza che rende possibile le relazioni sociali in cui le persone continuino a sentirsi umani, tutti accomunati dalla medesima condizione e destino; e che rende possibile anche una relazione affettiva sessuale che diventi amore  e che poi che si apra ad una famiglia.
In secondo luogo, sul piano più ecclesiale, in questa esperienza si dà corpo ad una nuova visione della Chiesa: una famiglia di famiglie. Nonostante il grande lavoro fatto in questi ultimi decenni per riportare la famiglia al centro della vita ecclesiale dobbiamo ancora costatare che, spesso, la Chiesa non riesce concretamente a pensarsi come “famiglia”. Ma se il Vaticano II definì la famiglia “chiesa domestica”, allora potremmo definire la Chiesa come “famiglia comunitaria”. Questo aspetto investe ovviamente la necessità di un cambio di prospettiva del ruolo laicale e delle famiglie in particolare, rispetto al ruolo sacerdotale. Ma, come brutalmente i numeri dei preti ci ricordano, sarà inevitabile che il ruolo sacerdotale non riesca più a reggere, da solo, il centro propulsore delle comunità reali. Perciò l’intuizione del Centro della tenerezza mostra tutta la sua profezia, quando tenta di vivere una condizione ecclesiale in cui l’esperienza famigliare è la categoria per interpretare ogni altro ruolo nella Chiesa.