Mayday, Mio Dio
Ristabilire il canale comunicativo dei giovani con Dio, amandoli
di Michele Papi
frate cappuccino incaricato dell’accoglienza nella Casa Frate Leone di Vignola
Gesù è radicale! Così come ci dà tutto, ci chiede tutto. Non si accontenta di una percentuale di amore, tutto o niente, un cuore indiviso.
Purtroppo, nella maggioranza dei giovani che incontro nei gruppi parrocchiali o agli scout, lo slancio coraggioso verso il futuro inseguendo un sogno, da sempre tratto costitutivo di questa età di passaggio dalla fanciullezza all’età adulta - come ci ricorda il papa anche nell’ultima esortazione postsinodale Christus vivit - sembra essersi spento.
Il radicalismo prima citato è la cosa che oggi crea più problemi ai nostri ragazzi che sono bloccati nelle loro scelte da una folle paura dei limiti che costellano la vita di ogni uomo. Immersi in un mondo di immagini in rapida sequenza, di musica poco impegnata, di istruzione sempre più nozionistica e finalizzata alla produzione, spinti dai loro genitori o educatori verso la ricerca di un perfezionismo impossibile, verso una competitività esasperata, i ragazzi sono spesso in balia di maestri malati di giovanilismo che, invece di fare espandere la personalità dei piccoli loro affidati, li costringono a misurarsi con loro in un confronto impari.
Le nuove generazioni sono fatte oggetto di sfida da parte di adulti che tali non sono. Così esse perdono il fascino della vita stessa, entrano nell’ansia da prestazione, smarriscono la fiducia nelle proprie possibilità e nel futuro, vengono risucchiate nel vortice del “tutto sotto controllo” senza saper accettare le sfide della vita quando queste si presentano; si ritrovano incapaci di muoversi in quella incertezza di fondo che caratterizza ogni scelta e che chiama in causa la fede, il sapersi affidare. Lo diceva bene il pastore Martin Luther King: «Per fare il primo passo non hai bisogno di vedere tutta la scala», oggi sembra impossibile questa prospettiva evangelica.
L’anoressia spirituale
Davanti a questa paura dell’ignoto e del rischio della fede vivono da ‘squali’, bisognosi di essere l’unico oltre che il primo, da “narcisi” incapaci di vere relazioni con gli altri, da accattoni di consenso (like) oppure da “sdraiati” incapaci di vedere un senso nelle cose che potrebbero fare. La Gioia che ci prospetta il vangelo, alla quale non si stanca di rimandarci papa Francesco in ogni suo intervento, è di un’altra pasta, non ha il sapore dello stordimento da sostanze né quello del successo sociale, è la felicità di una vita piena, realizzata, riconciliata con i limiti propri e altrui, capace di resistere ad ogni minaccia esterna perché fondata sull’amore indefettibile di un Dio che si è annullato fino alla morte in croce per farsi nostro compagno sulla strada. Il fascino del vangelo sta tutto qui: si tratta di un fascino allo stesso tempo dotato di una forza dirompente e di una immane debolezza. Eppure questo messaggio oggi fatica ad intercettare intere generazioni che, come dice in un suo saggio di successo don Armando Matteo, sembrano aver perso le antenne per ricevere le frequenze dello Spirito Santo (A. Matteo, La Prima Generazione Incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Rubettino - 2010).
Il fascino, inteso etimologicamente come magica potenza di attrazione e seduzione, chiama in causa l’ambito affettivo. Dio in Gesù ci chiama ad una relazione sentimentale con lui e con i fratelli basata sull’amore come capacità di dono senza riserve. Questa dimensione mi pare si scontri oggi con un aspetto che ho notato in molti dei ragazzi che incontro e che vorrei sottolineare, cioè l’analfabetismo emotivo. Per anni abbiamo dato la colpa dell’allontanamento dalla fede al materialismo e al consumismo che distraevano i giovani fornendo risposte artificiali alla loro fame spirituale e sostituivano alla narrazione evangelica della vita di Gesù il possesso di cose. Oggi mi pare si possa parlare invece di vera anoressia spirituale ed emotiva, di una impressionante apatia e passività rispetto agli stimoli, ai tentativi di catechesi anche lì dove la predicazione viene ascoltata con rispetto, senza contestazioni ma nemmeno reazioni.
Un rivelatore di questo a mio avviso sta anche nel fatto che le emozioni represse tendono poi ad emergere in modo incontrollato e dirompente non appena i giovani sono invitati a fermarsi per guardarsi dentro. Questa emotività fuori controllo, dove la commozione funge da valvola di sfogo ad emozioni non correttamente incanalata nel quotidiano, spesso impedisce l’instaurarsi di una vera relazione affettiva, di una vera apertura all’altro e a Dio della propria intimità.
Essere testimonianza
Dove ci porta questa misera e parziale analisi? Se prendiamo come postulato il fatto che il vangelo non può perdere il suo fascino intrinseco che gli deriva dalla potenza dello Spirito Santo, dal fatto di contenere proprio le risposte giuste alle domande esistenziali, le istruzioni originali che il costruttore/Creatore ha allegato al suo prodotto/creatura, come possiamo riattivare nei giovani i canali ricettivi? Pensare al vangelo come ad un testo da leggere e far leggere, magari distribuendolo ai crocicchi delle strade, non mi pare la risposta giusta, soprattutto se pensiamo al rapporto che i giovani hanno con i testi scritti, il tanto citato analfabetismo funzionale che nel nostro caso potrebbe declinarsi come l’incapacità di leggere un brano evangelico mettendolo a contatto con la propria vita; mi è capitato più volte di riscontrare questa difficoltà nei gruppi che seguo. Tante volte i ragazzi non si pongono nemmeno il problema di approcciarsi alla lettura del vangelo come capitava alla nostra generazione, magari spinta da uno spirito critico.
L’unica strada forse percorribile resta quella esistenziale, cioè la testimonianza della vita di persone che, conquistate da quella buona notizia, si spendono costantemente per metterla in pratica, per costruire il Regno di Dio sulla terra. Non era forse così agli albori della nostra fede? Non è stato il fascino della martyria di persone che, come ci ricorda la Lettera a Diogneto, «Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… condannati gioiscono come se ricevessero la vita», a portare giudei e pagani di ogni provenienza e condizione sociale all’incontro con Cristo? Probabilmente non ci rimane che annunciare ai giovani del nostro tempo l’amore di Dio amandoli veramente, di un amore forte come quello che ci ricorda don Milani nella sua lettera-testamento ai suoi figli adottivi: «Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non è vero che non ho debiti verso di voi. L'ho scritto per dar forza al discorso! Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che Lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto. Un abbraccio, vostro Lorenzo».
L’unica via
I giovani cercano ancora questo amore, a volte inconsapevolmente, si sciolgono davanti ad adulti disposti a voler loro bene e a prendersi cura di loro così come sono, senza giudizi o secondi fini. Il nostro mondo e la Chiesa missionaria hanno bisogno di adulti consapevoli, riconciliati con l’adultità, non schiavi della pretesa di restare eternamente giovani, non impegnati in una lotta disperata per rendere inoffensivo chi giovane lo è veramente. Figure di questo tipo penso possano affascinare tremendamente e diventare nelle mani dello Spirito strumenti efficaci, capaci di condurre al vangelo, a Cristo, a Dio.
Esistenze donate come quella di Gesù, perché gli uomini abbiano la vita in abbondanza. In primo luogo questa responsabilità deve pesare sugli uomini di Chiesa, troppo spesso percepiti come portatori di inconfessabili egoismi e invidie, dediti a lotte ipocrite, simulacri di un dio minaccioso che ti tarpa le ali con assurdi divieti. L’aver lasciato passare questo messaggio diabolico è uno dei grandi scandali della nostra Chiesa, così come il tollerare ancora chi usa la morale come un’arma contro chi fa problema, anziché irradiare la bellezza di una vita orientata a Cristo. Gesù non perde mai il suo fascino, egli è il Creatore che assume la condizione di creatura per mostrare ai figli amati di Dio la loro vera dignità e per indicare la strada dell’amore come unica via alla felicità.