Perchè Giotto e non Marcovaldo?

Il francobollo celebrativo dell’ottavo centenario dell’incontro di san Francesco con il Sultano presenta l’affresco di Giotto della Basilica di Assisi con il fuoco dell’ordalia, come sfida per verificare la vera religione.


Anche stando al racconto della Legenda maior di san Bonaventura, fonte di Giotto per il ciclo francescano di Assisi, quel fuoco non fu mai acceso! Né vi è alcuna altra fonte attendibile che faccia menzione dell'ordalia tra il santo di Assisi e un campione della fede islamica. Inoltre la suddetta Legenda Maior, in merito all'incontro con il sultano, risulta per più di una ragione inattendibile: i dignitari del sultano fuggirebbero per codardia appena Francesco lancia la sfida? E il sultano non fa che prendere atto della codardia dei suoi sudditi? Possibile? Nessuna delle biografie ufficiali precedenti ne fa menzione, sebbene il ministro generale Crescenzio da Jesi avesse ordinato nel 1247 a tutti i confratelli di redigere le loro testimonianze da conferire nella Vita secunda di Tommaso da Celano. Per quale motivo il celanese non avrebbe riportato un fatto così significativo? San Bonaventura, autore della Legenda Maior, scrive a quarant’anni dalla morte di Francesco di una vicenda dai contorni incerti: l’ha ricostruita, in tempo di crociate, per dimostrare con un miracolo la superiorità della fede cristiana.
Francesco difficilmente avrebbe messo alla prova Dio proponendo un'ordalia tra campioni di fede opposta. Tutte le fonti concordano sul fatto che san Francesco si meritò la stima e l'ammirazione del sultano: come sarebbe stato possibile a fronte di un atteggiamento arrogante e provocatorio nei confronti non solo del sultano stesso, ma della fede islamica? Appare quindi assai più verosimile che tale ammirazione il santo di Assisi se la sia guadagnata attraverso una testimonianza di incontro sincero. Il capitolo XVI della Regola non bollata, scritta dal Santo nel 1221, al ritorno dall’Egitto, ricorda quale debba essere l'atteggiamento di "coloro che si recano tra i saraceni": essi dovranno professarsi cristiani, ma al tempo stesso essere sottomessi ad ogni umana creatura, e solo quando sentiranno che piacerà a Dio.
Francesco, anche in quell’occasione, fu uomo dell’incontro e non della sfida e dello scontro.
La pala d’altare nella cappella Bardi di Santa Croce in Firenze presenta quella che è forse la prima rappresentazione pittorica dell'episodio, databile intorno al 1260, attribuita al pittore fiorentino Coppo di Marcovaldo: qui non c'è né sfida né fuoco, ma Francesco che predica al Sultano e a un folto gruppo di dignitari musulmani tutti intenti ad ascoltare le parole del Vangelo. Con Coppo di Marcovaldo siamo circa a quarant'anni prima di Giotto, e lo spirito dell'opera sembra nettamente più affine a quella che verosimilmente pare essere stata la testimonianza di Francesco in terra d'Egitto. Perché dunque non celebrare l’ottavo centenario di questo memorabile incontro dell’anno 1219 con il dipinto di Marcovaldo, certamente meno famoso, ma più antico e certamente più veritiero?

Valeria Mattioli - Modena

  Visitare il carcere non è tempo perso

Su MC di maggio alle pagine 29-31 avete riportato l’articolo di Emanuela Tarantini che parla della visita di un gruppo di studenti dell’Istituto “Il Guercino” di Cento al carcere di Bologna. Io sono una di quelle studentesse e vi scrivo per condividere qualche mia impressione.
Ci siamo messi in viaggio per il carcere alle 7.40. Eravamo molto emozionati e pieni di aspettative per la mattinata. Una volta arrivati, abbiamo visto un imponente edificio grigio, che suscitava timore, stupore e curiosità.  L’incontro con i detenuti è avvenuto nella chiesa del carcere. Qui abbiamo ascoltato le loro emozionanti storie, i loro sbagli e i loro pentimenti. Abbiamo fatto anche numerose domande. Dopo l’incontro con i detenuti abbiamo visto le aule in cui hanno la possibilità di studiare e la loro biblioteca centrale. La visita si è conclusa alle 12 e siamo tornati a casa.
Molte volte ci siamo sentiti dire che portare gli studenti in carcere è tempo perso perché non impareranno niente di istruttivo. Io invece ho imparato di più in questa visita che in molte ore di lezione. Ho capito cos’è la dignità e il rispetto dei diritti dell’uomo e della donna; ho imparato cos’è la capacità di riconoscere i propri errori.
Credo che questa esperienza serva ai ragazzi per porsi delle domande, per essere meno superficiali, per vedere la realtà in tutta la sua complessità, non giudicando troppo in fretta, ma cercando di capire. Inoltre, oggi con gli smartphone, i social network e la tecnologia, noi giovani siamo più esposti ai pericoli, alle cattive persone e alle abitudini nocive. Per questo abbiamo bisogno di esempi concreti che ci aiutino a capire quanto una piccola devianza possa cambiare la nostra vita.
Da molti i detenuti vengono ancora considerati scarti della società, persone che meritano di essere dimenticate e maltrattate Ma in realtà, grazie a questa esperienza, ho capito che non è così: sono solo persone che hanno bisogno di amore e di rispetto.
La gente non riaccetta gli ex-detenuti nella società perché ha paura che ricommettano gli stessi errori. Ma come possiamo non dare loro una seconda possibilità, se errare è umano? Io sono una ragazza di tredici anni: non sono nessuno per giudicarli. Io credo molto, forse fin troppo, nell’umanità, nella bontà e nelle oneste intenzioni di ciascuna persona. Credo che ognuno abbia diritto ad un aiuto in caso di necessità. Forse mi potranno considerare ingenua, ma io credo di essere soltanto positiva in un mondo così negativo e pieno di tragedie.
Alcuni detenuti sono stati emarginati e non voluti durante la loro vita, e a un certo punto non sono più riusciti a trattenere il loro rancore e sono esplosi. Altri hanno vissuto sempre normalmente e non si sarebbero mai immaginati di finire in carcere, ma la vita riserva anche brutte sorprese. Abbiamo ascoltato moltissime storie diverse fra loro, accomunate dal pentimento e dal desiderio di essere nuovamente accettati.
Spero che la visita della nostra istituzione scolastica abbia portato, oltre a una maggiore chiarezza sul carcere per noi, un po' di conforto e di serenità per loro.

Giulia Marseglia - Cento

 

La domanda di Valeria è legittima. Una risposta sbrigativa potrebbe essere la seguente: chi ha commissionato il francobollo celebrativo aveva sott’occhio la raffigurazione di Giotto... Una risposta più seria e motivata si può trovare nel recente e documentatissimo studio di Giuseppe Buffon, Francesco l'ospite folle - Il Povero di Assisi e il Sultano. Damietta 1219, Edizioni Terra Santa, Milano 2019, che verrà presentato dall’Autore il 28 settembre in Piazza Maggiore a Bologna nel contesto del Festival Francescano.
Grazie a Giulia per aver condiviso con noi le sue riflessioni molto costruttive e “mature”. Visitare i carcerati fa certamente piacere a loro, può far bene a noi e, secondo la parola evangelica (cfr. Mt 25), ci fa incontrare Gesù stesso.

Dino Dozzi