Spesso nelle traduzioni si perdono sfumature della lingua originale, importanti, però, per capire il vero significato delle parole. È il caso dell’espressione italiana “raccolta fondi”, che sinteticamente indica l’insieme delle attività che un’organizzazione non profit, per esempio, mette in atto per raccogliere le risorse necessarie per realizzare i propri progetti.

a cura della Segretaria del Festival Francescano

 

Raccogliere relazioni

Fundraising: il copione sconvolto dall’incontro

 di Caterina Pastorelli
della Segreteria del Festival Francescano, addetta alla raccolta fondi

 Una relazione di fiducia

L’espressione originaria fundraising è composta dalla parola fund, che significa “fondo” e dal termine raising che deriva dal verbo to raise, cioè raccogliere, ma anche alzare, far crescere.

Ed è su questa sottile sfumatura del termine fundraising che si giocano il successo e le difficoltà di una raccolta fondi perché, come qualcuno ci insegna, non si raccoglie dove non si è seminato, e per raccogliere è necessario coltivare, quindi dedicare cura, tempo e attenzione, che sono poi gli elementi indispensabili per costruire una relazione di fiducia.
Può essere difficile da comprendere, ma la raccolta fondi è anzitutto questo: una relazione di fiducia che si crea con i singoli donatori, ma anche con le aziende o con le istituzioni. Le risorse che ciascuno ha a disposizione, infatti, sono limitate: soldi, servizi, tempo… Ciascuno deve scegliere accuratamente a chi dedicarle e la fiducia, in questa scelta, gioca un ruolo fondamentale.
È ciò che abbiamo capito in dieci anni di raccolta fondi per il Festival Francescano e ciò che, appuntamento dopo appuntamento, ci stimola a entrare in relazione e in dialogo con le aziende, le istituzioni e le fondazioni che incontriamo e con le quali non basta chiedere, anche se occorre farlo, superando i timori e una qualche reticenza sull’accostare i soldi a un progetto di evangelizzazione, ma anche dialogare, in uno scambio reciproco di valori, esperienze, punti di vista.

 Festival questuante

Ebbene sì, anche il Festival Francescano fa raccolta fondi. Deve farla, perché, per offrire in ogni edizione oltre 150 eventi, tutti gratuiti, ha bisogno di diversi soggetti che, condividendone gli obiettivi e fidandosi di ciò che viene realizzato in piazza, ne sostengono la realizzazione. Forse, dall’esterno, non si ha percezione di ciò che l’organizzazione di un evento di questo tipo comporta: spese di progettazione e gestione, noleggio attrezzature, comunicazione e pubblicità, contributo agli ospiti che intervengono, cachet spettacoli, affitto di spazi… tutte voci di spese che devono essere coperte da fondi che si cercano, si raccolgono e si fanno crescere. Il desiderio del Movimento francescano dell’Emilia-Romagna, promotore dell’iniziativa, è infatti quello di non pesare economicamente solo sulle risorse delle singole famiglie religiose che lo costituiscono. Una necessità, ma anche un’opportunità per “testare” il Festival Francescano, trovando sostenitori, alcuni anche inimmaginabili, al di fuori della propria ristretta cerchia francescana, e scoprendo, con piacere, che davvero san Francesco continua, oggi, a parlare a molti e che molti, anche se non con un saio addosso o un tau al collo, cercano di rendere concreti i valori che il Santo di Assisi ci ha insegnato più di 800 anni fa.

 Il saio che invita al racconto

Il saio è ciò che padre Dino, direttore scientifico del Festival Francescano, indossa tutte le volte che incontriamo un possibile sponsor, non per esibirlo, come fosse un attaccapanni, ma per raccontare una storia, che questo abito porta già scritta in sé, che risale a san Francesco, ma che cammina con le nostre gambe. Se il Festival Francescano nasce per portare il messaggio di san Francesco in piazza, tra la gente, attualizzandolo e concretizzandolo, forse anche questi incontri sono già festival, perché il saio irrompe nelle sale di attesa delle grandi aziende, tra badge per l’ingresso e divanetti in pelle, tra tacchi e cravatte, tra corporate social responsability e business plan. È impossibile non notarlo: ciò che apparentemente è fuori luogo richiama l’attenzione, a volte con uno sguardo accogliente, altre con uno sguardo reticente, ma in ogni caso con la curiosità di scoprire perché siamo in azienda.
In attesa di essere ricevuti dal presidente dell’azienda o dalla persona con la quale, dopo svariate telefonate e mail, siamo riusciti a prendere appuntamento (perché forse, alla fine dei conti, una delle cose più difficili nel fare la raccolta fondi è “farsi notare” e farsi mettere a disposizione una prima, limitatissima risorsa, quale è il tempo) ripassiamo il “copione”: padre Dino racconterà il Festival Francescano, che cos’è, com’è nato, quali sono gli obiettivi… e io spiegherò perché un’azienda dovrebbe sponsorizzare il Festival, cosa ci può offrire (soldi, ma non solo!) e cosa noi possiamo offrire in cambio. Ci chiamano, possiamo accomodarci, ci raggiungeranno subito. Entriamo nella sala riunioni e inizia il solito “siparietto”: ci guardiamo attorno; cerchiamo di interpretare i quadri alle pareti; ci sediamo, poi pensiamo che siano meglio altri posti e cambiamo sedia; mangiamo una caramella; sfogliamo le riviste e, non appena entra il nostro interlocutore… il copione salta!

 Fenomenologia del copione saltato

Salta perché quel saio, il più delle volte, porta le persone ad aprirsi, a raccontare e a raccontarsi. C’è il presidente di un’associazione di categoria che ricorda con affetto gli anni in cui ha studiato in seminario, lo stesso di padre Dino, quasi negli stessi anni (e poi si scopre anche che sono originari dello stesso paese, forse da bambini hanno giocato a calcio insieme); c’è il segretario generale di un’importante fondazione che condivide le sue riflessioni sul ruolo dei cristiani di oggi e che ci invita a rileggere un brano di papa Benedetto XVI su una Chiesa che ritroverà se stessa e rinascerà semplificata e più spirituale; c’è la titolare di un’azienda agricola che ci spiega il suo impegno nel dare un presente dignitoso e un futuro di speranza ai molti dipendenti immigrati che assume e le fatiche che affronta per andare incontro all’altro; c’è l’imprenditore edile che ci racconta di come sta cambiando l’azienda, confidandoci le sue preoccupazioni; c’è chi ci sostiene da sempre e che, anno dopo anno, continua a stimolarci per rendere il Festival migliore; c’è chi non ci può dare un contributo, ma ci mette in contatto con chi potrebbe farlo; c’è chi si domanda cosa direbbe san Francesco di un evento così; c’è chi si scusa, ma preferisce sostenere iniziative caritative, piuttosto che culturali…
Sia che la risposta sia positiva (speriamo!), sia che sia negativa, questi incontri si trasformano il più delle volte in vere e proprie prove di dialogo, nelle quali “attraverso parole” andare incontro all’altro e incontrare l’altro e “attraverso parole” iniziare a portare tra la gente il messaggio di san Francesco. Consapevolezza che, a volte, aiuta ad affrontare i no che si ricevono e a vivere la raccolta fondi non come una questua, ma come una relazione, da vivere con lo stile di Francesco.